Tutto può cambiare: New York torna a suonare la sua sinfonia

Mark Ruffalo e Keira Knightley incarnano la positività di una città che ha ritrovato la sua voce, in una commedia leggera e intelligente.

Tutto può cambiare con Mark Ruffalo e Keira Knightley

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Dan (Mark Ruffalo) è un produttore musicale newyorchese in crisi, non riesce più a scoprire talenti. Forse è colpa sua, forse è colpa del mondo della musica, ormai fatto di manager rapaci e ambienti di lavoro asettici come una galleria d’arte contemporanea.

Dan ha un dono, sa sentire la musica: quando ascolta Greta che canta accompagnata solo dalla chitarra (Keira Knightley, la voce è sua) è capace di immaginare l’intera orchestrazione, animando letteralmente gli strumenti sul palco. E capisce che è il talento su cui puntare. Greta, da parte sua, è stata appena mollata dalla rockstar egoista Dave (un discretamente masochista Adam Levine, voce dei Maroon 5, che mette in scena tutti i difetti dei cantanti di successo).

Il produttore in disgrazia e l’amante delusa, entrambi alla ricerca della seconda occasione (grande tema della cultura americana). Ma non hanno un soldo per produrre il disco. Dan e Greta si aggirano con iPod e cuffiette per New York, ascoltando la musica che piace loro (Sinatra, Stevie Wonder): una colonna sonora che pare estratta dal cuore stesso della città e sembra appartenere al suo ritmo genetico.

Di qui l’idea: registrare in presa diretta per strada, scegliendo le location più adatte a ogni brano, il laghetto del Central Park, il tetto di un palazzo, una fermata della metropolitana. Comporre una colonna sonora della città accogliendo nelle canzoni la musica che trasuda da New York e dalla sua gente.

Come Manhattan di Woody Allen, Tutto può cambiare è una sinfonia di New York, firmata dal regista e sceneggiatore irlandese di Once, John Carney. Una commedia interamente giocata sulla musica, che riattiva l’universo emotivo di una città la cui musa per un decennio almeno è restata spenta.

Negli anni Zero del post 11 settembre non sarebbe stata possibile una rappresentazione così vivace e positiva di New York. Il decennio precedente è stato quello della 25ª ora di Spike Lee: una città a lutto, dove Ground Zero è l’incisione chirurgica di un tumore che ha sfigurato in modo indelebile Manhattan. È il decennio di World Trade Center di Oliver Stone, che racconta la capacità di reazione del paese per esorcizzare la paura. O addirittura l’azzeramento dello sguardo dell’episodio di Iñárritu nel film collettivo 11 settembre 2001 dove, mentre si sentono le voci della tragedia, lo schermo è quasi sempre nero, funereo: il dramma è irrappresentabile e la ferita non sembra rimarginabile.

Ma “tutto può cambiare”: si può superare il trauma riuscendo, come Dan e Greta, ad ascoltare la musica dell’esistenza che la città in realtà non ha mai smesso di suonare. E puntando esplicitamente sul melting pot che ha fondato l’America come la conosciamo: e infatti la band del disco improvvisato per strada è assolutamente eterogenea, comprende folksinger, musicisti hip hop, colti strumentisti classici. Il sogno americano ricomincia: con la voglia di ripartire di una piacevole e intelligente commedia, dove puntualmente arrivano successo e lieto fine, anche se non proprio quelli che ci si aspetta.