Venezia 71 – A Frederick Wiseman il Leone d’oro alla carriera

Meritato riconoscimento per il grande documentarista americano, che nei suoi lavori ha raccontato in maniera problematica le istituzioni sociali del suo paese.

Venezia 71 Frederick Wiseman Leone d’oro alla carriera

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Il documentarista statunitense Frederick Wiseman riceve oggi il Leone d’oro alla carriera al festival di Venezia: l’altro premio alla carriera è stato assegnato a Thelma Schoonmaker, montatrice di fiducia di Martin Scorsese. Il premio a Wiseman è il suggello di una stagione all’insegna del documentario, testimoniata dal Leone d’oro a Sacro Gra di Gianfranco Rosi l’anno scorso e la vittoria all’ultimo festival di Roma di Tir di Alberto Fasulo, che deve molto allo stile documentaristico.

Il fascino del documentario oggi è forse legato alla sua modalità di lavorazione, che richiede molta preparazione e lunghi tempi spesi sul campo per studiare il contesto, con un’attitudine da antropologi. Al cinema bisogna spesso fare tutto velocemente: il documentario sembra un lusso che si oppone al cinema mainstream, alla ricerca di uno sguardo più meditato e rispettoso su cose e persone.

Questa è una delle chiavi del cinema di Wiseman, che in una quarantina di titoli ha raccontato principalmente le istituzioni sociali americane: il manicomio criminale in Titicut follies (1967), la scuola in High school (1968), il dittico di Hospital (1968) e Welfare (1975) su ospedali e assistenza sociale, un reparto per malati terminali in Near death (1989), la vita di una comunità in Belfast, Maine (1999).

Non si pensi a semplicistici lavori di denuncia: in questo senso, si perdoni la banalizzazione, Wiseman è l’opposto di Michael Moore. Quelli di Moore sono film a tesi che sfruttano la sua ingombrante presenza per costruire discorsi unilaterali. Wiseman invece si rende invisibile, per ottenere uno stile nel quale contraddizioni e ambiguità emergano dai fatti stessi. Per questo i suoi sono racconti corali, con molti personaggi: per restituire la complessità del reale e mostrare attraverso i dialoghi la molteplicità delle tesi e la dialettica interna alle istituzioni.
http://youtu.be/9-XSlOWAJMw
Wiseman ha talvolta definito il suo lavoro “reality fiction”: consapevole che, se raggiungere la veridicità dei fatti è l’obiettivo, è però impossibile restituirli in maniera “oggettiva”, perché la macchina da presa e la forma cinematografica del racconto costituiscono necessariamente un filtro, che comporta un certo grado di manipolazione dei contenuti. La rappresentazione trasparente della realtà non si ottiene facilmente: e anche noi spettatori comuni, dopo quindici anni di fasulli reality show, abbiamo capito che la realtà si nasconde sotto uno strato di pregiudizi che stanno nell’occhio di chi filma e nell’atteggiamento di chi è filmato.

Non basta accendere una telecamera e riprendere: per raggiungere il massimo grado possibile di realtà bisogna immergersi sotto la superficie degli stereotipi ed essere disposti a comprendere, salvaguardando la ricchezza di senso e l’ambiguità intrinseca delle cose. Questo fa Wiseman in ogni aspetto della lavorazione: la fase di osservazione prima e durante le riprese, il suono in presa diretta, la coralità delle storie, il montaggio che svela e non dimostra. Il cinema di Wiseman, siamo franchi, non è per tutti i gusti: speriamo che il Leone d’oro lo aiuti a ottenere la meritata diffusione.