Per capire l’impatto che ha avuto la morte di Richard Attenborough, deceduto il 24 agosto a novant’anni, basta leggere il tweet che gli ha dedicato il primo ministro inglese David Cameron: “La sua interpretazione in Brighton Rock fu fantastica, magnifica la regia di Gandhi: Richard Attenborough è stato uno dei grandi del cinema”. “Sir Richard” ha attraversato da protagonista sessant’anni di cinema, in cui è stato attore, produttore e regista: una multiforme carriera coronata dagli 8 premi oscar vinti nel 1983 per Gandhi.
Per chi ne conosce le tarde interpretazioni, il miliardario sognatore di Jurassic Park (1993) di Spielberg e il dolce Babbo Natale di Miracolo nella 34.ma strada (1994), è difficile credere che agli inizi Attenborough impersonò la più malvagia figura del cinema inglese: il feroce assassino diciassettenne Pinkie di Brighton Rock (1947), diretto da John Boulting e tratto da un romanzo di Graham Greene. Era un filone quello dei film sugli spiv, piccoli boss che nel secondo dopoguerra gestivano i traffici illeciti di quartiere: un genere che, non lesinando ritratti raccapriccianti, testimoniava le contraddizioni del paese appena uscito da una pesantissima guerra. Contro quelle pellicole tuonò addirittura in parlamento il ministro Harold Wilson: e proprio l’interpretazione di Attenborough colpì particolarmente il pubblico britannico, per lo stile glaciale da ispirato e psicopatico lucifero, che tra un crimine e l’altro discetta di inferno e paradiso.
Dello stesso tenore è l’altra sua grande interpretazione, L’assassino di Rillington Place n. 10 (1971) di Richard Fleischer, dove è uno strangolatore seriale, spaventoso perché dai modi educatissimi e pacati. Tra questi due ruoli interpretazioni come quella del filmone hollywoodiano La grande fuga (1963) di John Sturges, dove finalmente poté recitare la parte di un ufficiale britannico tutto d’un pezzo, lui che durante la guerra aveva prestato servizio nella Raf. In quegli anni fondò pure la casa di produzione Allied Film makers, mostrando un certo talento imprenditoriale, con film di successo che coglievano lo spirito del tempo: il drammatico La tortura del silenzio (1960), diretto da Guy Green, dove Attenborough interpretava efficacemente il protagonista, un operaio in rotta col sindacato, e Un colpo da otto (1960), una commedia di Basil Dearden dove un gruppo di ex militari organizza una rapina.
E poi, naturalmente, c’è la carriera da regista: cominciata con una commedia musicale pacifista, Oh che bella guerra! (1969), e proseguita sui toni magniloquenti di filmoni bellici come Quell’ultimo ponte (1977). Monumentale fu anche Gandhi, kolossal biografico di successo planetario, illuminato dall’interpretazione mimetica di Ben Kingsley, seguito nello stesso genere dal meno fortunato Grido di libertà (1987), sul leader antiapartheid Steven Biko. L’ultimo grande impegno produttivo fu Charlot (1992), nel quale mancava proprio il calore della comicità di Chaplin, ma straordinaria per maniacale adesione fu l’interpretazione di Robert Downey Jr. Alla fine fu proprio la vena d’attore, e di direttore d’attori, la cifra migliore di Attenborough, ed è ciò che più resterà di un artista che ha segnato una lunghissima stagione del cinema britannico e internazionale.