Le università migliori d’Italia? Sono al Nord

La parola a Elena Caruso, studentessa Optima Erasmus a Bonn


INTERAZIONI: 7

Poche sorprese nella graduatoria del Sole 24 Ore sulla qualità delle università italiane. Gli atenei migliori si trovano al Nord, con Trento e Verona che dividono il primo gradino del podio. Subito dietro il Politecnico di Milano e l’Alma Mater di Bologna. E ancora Padova, Venezia, Siena. Solo a metà classifica, alla posizione 29, la Sapienza di Roma. Per trovare un ateneo del Sud, Salerno, bisogna scendere la classifica fino al 23esimo posto, l’Orientale è 36esima, l’UNICAL è al 46esimo posto, la Federico II è 56esima, ancora più in basso l’Università di Bari. 61esima e ultima la Parthenope di Napoli. Nessuna sorpesa anche dagli atenei privati, con il San Raffaele al primo posto seguito da Luiss e Bocconi pari merito. Due le categorie analizzate, didattica e ricerca, che però includono molteplici indicatori. Nuovi criteri infatti sono stati utilizzati per stabilire la graduatoria rispetto a quella pubblicata annualmente dal Censis/La Repubblica, dal peso degli stage curriculari in azienda all’assegnazione di borse di studio, al giudizio dei laureandi e ai loro sbocchi ccupazionali. Un criterio questo che però manca di omogenerità, visto che AlmaLaurea non comprende tutti gli atenei, mentre altre università, come Luiss e Bocconi, svolgono analisi interne, rendendo i dati non confrontabili. Un passo in avanti si è invece svolto in questo senso nel campo della ricerca, dopo che l’Anvur ha pubblicato la Vqr (valutazione della qualità della ricerca) per misurare i risultati di tutti i dipartimenti universitari.
Abbiamo chiesto le opinioni di Elena Caruso, studentessa Optima Erasmus a Bonn e all’ultimo anno di giurisprudenza all’Università di Catania (51esima nella graduatoria del Sole 24 Ore).

Come commenti questi risultati disastrosi per le università del Sud?

Ammetto che i risultati riguardo gli atenei del Sud (escluso Salerno) non mi hanno stupito, sono la conferma di un dato noto, piuttosto. Da studentessa di uno di questi Atenei, Catania, non ho certo bisogno di aspettare questi risultati ufficiali per sapere come vanno le cose. Ma in generale è l’Università italiana, nonostante la sua gloriosa storia, a essere allo sfascio. E anche i migliori atenei italiani non sono competitivi a livello internazionale. La nostra è una università stagnante. Talvolta ho l’impressione di vivere dentro a un museo pieno di dinosauri (per carità con le dovute eccezioni) incapaci di narrare la realtà presente. L’università italiana è espressione di un mondo che è al crepuscolo e che annaspa malamente a restare a galla nel futuro. Quello che voglio dire è che noi studenti italiani del 2014 studiamo esattamente (fatti gli irrinunciabili “aggiornamenti” di programma, pensiamo al campo giuridico coi continui cambiamenti della legislazione) come studiavano i nostri professori nati negli anni Quaranta. Accumulando nozioni su nozioni. Siamo enciclopedie ambulanti e custodi di un sapere (quando va bene), ma non sviluppiamo nessuna competenza “pragmatica”, ossia critico- logica utile nella realtà odierna. Ecco: abbiamo una formazione statica, insufficiente in un mondo “dinamico” che si muove su ben altre coordinate.

E quali possono essere le conseguenze di questo sistema educativo statico?

E’ molto semplice. Mentre il bravo universitario italiano a 24 anni fresco di laurea magari cum laude conosce (se va bene) solo l’inglese sta ancora a chiedere ai genitori di finanziargli un altro (inutile) master, i nostri coetanei di Taipei o di Helsinki conoscono tre lingue e l’educazione a cui devono provvedere è quella dei loro figli, perché con ogni probabilità hanno messo sù famiglia. Non voglio apparire una che parla per luoghi comuni o che fa la snob con le proprie origini, dico solo che il nostro sistema universitario crea infelicità e infelici. E frustrazione. Non prepara gli studenti ad affrontare il mondo che c’è oltre le rassicuranti mura dell’Ateneo, e da qui il dramma giovanile di questi anni. Non è che non ci sia lavoro, il problema è che non serve usare il nostro sapere in maniera canonica come ci hanno insegnato. Dobbiamo ricominciare da capo e reinventarci. Per quanto riguarda Catania la facoltà di giurisprudenza che frequento ha un approccio molto tradizionale, è un ottimo training per chi intende continuare a studiare (per concorsi per esempio) perché di certo la cosa che si impara meglio è stare incollati alla sedia per 20 ore a studiare no stop. Per quanto riguarda il confronto Catania-Bonn, posso confermare quanto ho scritto qualche tempo fa in un post sul blog di Optima Erasmus a proposito della mia esperienza con la giornata “Academicus”, e cioè che qui a Bonn ci sono molti momenti aggregativi che creano appartenenza, identità. Ciò che mi è sempre mancato a Catania.