#weprayforpeace, Papa Francesco per la pace in Medio Oriente

La parola a Luca Ciciriello, studente Optima Erasmus a Olsztyn.


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Un momento di preghiera collettivo per invocare la pace tra ebrei e palestinesi nell’area storicamente martoriata del Medio Oriente. Un’idea che da tempo accarezzava Papa Francesco, che avrebbe già voluto realizzarla durante il suo viaggio in Terrasanta lo scorso maggio ma era stato bloccato da problemi logistici e organizzativi.
Durante il viaggio di ritorno il Pontefice aveva dunque annunciato ai giornalisti di voler organizzare quest’incontro in Vaticano, alla presenza non solo dei leader religiosi, ma dei presidenti degli stati di Israele e Palestina, Shimon Peres e Abu Mazen. Un vertice di preghiera dunque, in cui i due leader, il Papa e il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo si sono recati nei giardini Vaticani a bordo di un pulmino, per una preghiera neutra, senza simboli religiosi che potesssero urtare le diverse fedi. Erano anni che i leader dei due stati, ormai a un punto morto nei negoziati di pace, non si incontravano. Da una parte Abu Mazen ha varato un nuovo governo con Hamas, che non riconosce lo stato d’Israele, vanificando così ogni possibliità di dialogo. Da un lato Israele continua ad autorizzare la costruzione di migliaia di nuovi alloggi per i coloni ebrei in Cisgiordania, di fatto territorio palestinese. Per Padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa e organizzatore dell’evento, l’incontro è teso a dimostrare che la pace non si organizza nei summit politici, ma con il coinvolgimento dei media e dell’opinione pubblica. Da qui il lancio del tweet di Papa Francesco con l’hashtag #weprayforpeace.
“Nessuno si illude di far scoppiare la pace dopo quest’incontro di preghiera-aggiunge Padre Pizzaballa-, ma laddove la politica resta atttanagliata da ostilità e diffidenza, la religione riesce a spazzare queti sentimenti negativi”.
Abbiamo chiesto le impressioni di Luca Ciciriello, studente Optima Erasmus a Olsztyn e in questi giorni in viaggio in Israele.

Pensi che queste parole del Papa possano avere un qualche impatto o si tratterà dell’ennesimo appello inascoltato? E in generale credi nella religione come strumento per dirimere i conflitti?

Ho da poche ore letto il tweet del Papa in merito alla pace in Medio Oriente ed è suggestivo per me considerando che in questi giorni sto esplorando il territorio israeliano. Credo che nessun altro capo di Stato avrebbe potuto mandare un simile messaggio di pace se non il Papa, in quanto si tratta di un conflitto che ha radici religiose e che vede gli ebrei alla ricerca della Terra Promessa a discapito però dei palestinesi anche loro abitanti di questi territori da secoli. Se fossi stato in Italia avrei pensato e sperato che le parole del Pontefice avrebbero potuto risolvere la situazione. Questo prima di recarmi in Israele e toccare con mano la realtà israeliana. Sì, perché credo che le sue parole, allo stato di cose attuale, possano smuovere maggiormente soltanto le coscienze dei paesi non implicati in questa vicenda, possano sensibilizzare maggiormente soltanto noi spettatori di questa accesa partita. Utilizzo questa metafora perché è stata la prima riflessione che ho maturato in questi giorni. Così come in Italia o in Europa due tifoserie calcistiche della stessa città fanno di tutto per prevalere l’una sull’altra, qui le tre religioni (anche se quella cristiana è in netta minoranza, circa l’1% a differenza di ebrei, 76% e musulmani, 17% circa) si contendono il territorio. E’ quanto ho sentito e visto a Gerusalemme. Ho visitato la Spianata delle Moschee, un luogo sacro sia per musulmani che per ebrei e ho notato che quando i due gruppi religiosi incrociavano il loro cammino per la piazza, alzavano il tono della voce di modo che la preghiera di un gruppo si sentisse più dell’altra.

Ci racconti le tue impressioni sul posto? Come stai percependo la situazione tra ebrei e palestinesi?

In questi giorni ho visto cose che sino ad ora avevo soltanto immaginato o visto nei film. Mi ha fatto effetto attraversare il checkpoint per recarmi in territorio palestinese (l’ho attraversato due volte in autobus, la prima per andare a Betlemme e la seconda per visitare il Mar Morto) e allo stesso tempo l’ho trovato fuori luogo. Perché queste barriere? Siamo nel 2014 e mi sembra inconcepibile che due popoli possano combattere per la conquista di un territorio. Diciamo di essere nell’era della globalizzazione, dove tutti i confini vengono meno e noi che facciamo? Poniamo un bel muro di cemento per dividere un territorio. Da alcune mie ricerche fatte prima della partenza avevo letto che dal 2005 non ci sono scontri diretti e frequenti tra le due popolazioni e questo è vero. Però sembra quasi che da un momento all’altro possa insorgere una rivolta, possano esserci scontri. C’è un clima di tensione fortissimo, perlomeno questo è quello che ho avvertito in questi giorni. Credo che una miccia, una provocazione potrebbe scatenare migliaia di feriti o addirittura morti. Credo che la via per una risoluzione del conflitto sia ancora molto lunga, anche perchè non vi è la minima integrazione, anzi nemmeno il minimo contatto tra le due etnie. Un cambiamento, però, c’è stato in questi ultimi anni: i palestinesi insorgono meno, a volte sembrano quasi oppressi dall’avanzata israeliana. Che il Papa possa dare avvio ad un processo di mediazione tra i due popoli? Me lo auguro, ma al momento non lo credo possibile.

Papa Francesco, Abu Mazen e Shimon Peres

«Tutti desideriamo la pace. E tutti, specialmente coloro che sono posti al servizio dei propri popoli -ha sottolineato Papa Francesco-, dobbiamo impegnarci a essere gente di pace nelle preghiere e nei fatti”.