Tatuati come mucche o carcerati


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tatuaggiLa bella stagione alleggerisce il guardaroba e scopre i corpi mettendo a nudo non solo muscoli tonici di palestra o infiacchiti dal letargo invernale. Alla pubblica visione si espongono anche epidermidi tatuate in variegata qualità e quantità. L’incontro tra la creatività dei tatuatori ed il gusto dei tatuandi trasforma ogni parte – ma davvero ogni parte – del corpo in una tavolozza di animali, ghirigori, frasi criptate.

Debbo confessare di avere qualche pregiudizio nei riguardi dei tatuaggi e di questo dilagante fenomeno. Forse perché, quando ero bambino, i tatuaggi se li facevano soltanto i carcerati per dimostrare il loro coraggio nell’affrontare le asprezze penitenziarie o perché associo la marchiatura alle mandrie bovine.

Mi spaventa ogni intervento intrusivo sul corpo umano, specialmente quando – come nel caso dei tatuaggi – è indelebile. Naturalmente ci sono tatuaggi e tatuaggi. Quelli piccoli e delicati che compaiono sulle spalle, le braccia e le caviglie sono decisamente meno inquietanti e sfrontati di quelli che si dirigono verso le pudenda in un volgare sentiero di ammiccamenti o addirittura quelli che ricoprono buona parte del corpo anche con frasi oscene.

Un piccolo e grazioso tatuaggio può anche esser accolto con un comprensivo sorriso; un pizzico di futile vanità non guasta nella vita. Mi spaventano, eccome, i tatuaggi abnormi indice – a mio parere – di una personalità disturbata. Chi arriva a tatuarsi in maniera spropositata ha un deficit d’identità che intende colmare verso gli altri con dei simboli identificativi. Quasi ad urlare, io esisto. Come se bastasse trasformarsi in un cartellone ambulante per farsi notare nel vortice della vita.

Personalmente vieterei quelli indelebili, consentendo soltanto l’applicazione di quelli che dopo qualche doccia scivolano via come i pensieri strampalati che li hanno generati.