La ragazza nella nebbia è il film d’esordio alla regia del romanziere Donato Carrisi, che porta sullo schermo il suo thriller bestseller omonimo, con il mattatore Toni Servillo protagonista. Confortante il risultato al botteghino al primo weekend, quasi un milione di euro, dietro solo alle corazzate It e Thor: Ragnarok.
Al centro della vicenda c’è una sedicenne, figlia d’una coppia appartenente a una rigida confraternita religiosa, che scompare in un paesino di montagna. Il caso viene seguito dall’ispettore Vogel (Servillo), investigatore talentuoso ma vanesio che trasforma la scomparsa in un caso mediatico, attraendo le televisioni fameliche di scoop. Il clamore ha bisogno di un sospettato ideale: Loris Martini (Alessio Boni), professore di liceo appena trasferito, che ha problemi economici e manca d’un alibi decente. Ma siamo sicuri che sia colpevole? Anche perché tutta la storia viene raccontata in flashback dall’ispettore, che si confida, con sospetta camicia sporca di sangue, a uno psichiatra (Jean Reno).
Donato Carrisi per La ragazza nella nebbia ha cercato di fare le cose per bene. S’è affidato a un cast solido, con anche Lorenzo Richelmy, Michela Cescon poliziotta con cappellone paraorecchi che fa subito Fargo e Galatea Ranzi come cronista tv fin troppo d’assalto (i duetti tra lei e Servillo fanno involontariamente pensare a La grande bellezza). Il regista-romanziere poi ha puntato su un’ambientazione inusuale nel nostro cinema romanocentrico, uno sperduto villaggio nelle nebbie alpestri d’una comunità che vive nel più stretto riserbo, un mondo che Carrisi ogni tanto trasforma in un modellino ripreso dall’alto, come un entomologo alle prese con una realtà analizzata in vitro.
L’atmosfera de La ragazza nella nebbia è volutamente poco italiana, e sono evidenti, visto il genere thriller cui il film appartiene, suggestioni visive e narrative di provenienza statunitense, tra cinema e tv (dal Silenzio degli innocenti a Twin Peaks), cui s’aggiunge un impianto di fondo – la confessione flashback dell’ispettore Vogel – che rimanda a Una pura formalità, che è non a caso il meno italiano dei film di Giuseppe Tornatore.
Che il film abbondi di modelli non sarebbe in sé un difetto, visto che, consapevolmente, Carrisi fa dire a Martini che “la prima regola d’un grande romanziere è copiare”. Forse avrebbe dovuto copiare meglio: il ritmo compassato de La ragazza nella nebbia è quasi da fiction all’italiana e non da thriller americano. E l’ambientazione, dopo essere stata accuratamente dispiegata, viene dimenticata lungo la via – la comunità religiosa resta uno spunto appena abbozzato –, in un racconto che punta su temi scontati – il sensazionalismo televisivo – e s’innamora eccessivamente della meccanica della trama, con troppi colpi di scena e troppi spiegoni da romanzo, preoccupati di fornire sempre allo spettatore una lettura trasparente e senza ambiguità degli avvenimenti.
Il risultato è un film in fondo migliore delle aspettative, che però non corre rischi, come ingessato nella sua correttezza scolastica. E così sono gli attori, irrigiditi in ruoli scritti su carta che non diventano mai personaggi, con Boni più credibile di Servillo.