Non penso di potermi definire un uomo particolarmente timoroso. Per mia natura tendo a affrontare la vita in maniera spavalda, a testa alta, volendola dire tutta anche con una certa spericolatezza. Non parlo di nulla che abbia a che fare col correre rischi fisici, non corro in auto, non bevo, non uso sostanze stupefacenti, cerco per quanto possibile di stare attento alla salute, parlo di lavoro, di rapporti personali, non sono uno che si tira facilmente indietro.
Ma c’è una cosa che realmente mi terrorizza, e lo dico conscio che esporre i propri punti deboli sia sempre rischioso, che succeda qualcosa ai miei figli.
Potrei estendere la cosa a tutti i miei cari, amici compresi, anzi, le cose stanno esattamente così, ma nei confronti dei figli, credo, subentra qualcosa di irrazionale, di primitivo, ci accorgiamo fragili e vulnerabili, e al tempo stesso capaci di tirare fuori energie e forze che neanche sapevamo di avere.
Ho quattro figli, e queste paure, con il tempo, non si sono divise prima per due e poi per quattro, ho due gemelli che di fatto hanno raddoppiato in un sol colpo il loro numero, semmai hanno elevato all’ennesima potenza quelle paure, esattamente come del resto succede con l’amore, prima si ama con tutto se stesso il primogenito, poi quell’amore raddoppia, non è una torta che viene divisa in due.
Leggere quindi la notizia della morte di Michele Merlo, ventotto anni, transitato da Amici col nome d’arte di Mike Bird, e poi approdato in Universal col suo nome di battesimo, mi ha lasciato senza parole. Non perché lo conoscessi, non ho seguito l’edizione cui ha preso parte, non è mai capitato che ci incrociassimo, né per motivi che hanno a che vedere col mondo della musica, ma proprio perché mi sono immedesimato coi suoi genitori, immagino poco più grandi di me, e con l’angoscia e il dolore che ora li sta attanagliando.
Un dolore che non riesco a immaginare, se non provando un senso di angoscia annichilente, una assenza che diventerà parte della quotidianità, riempiendo spazi, occupando il tempo in pianta stabile, per niente o poco affievolita dal passare dei giorni, dei mesi, degli anni, certo addolcita dall’amore che i suoi tanti fan hanno dimostrato in queste ore, ma pur sempre un dolore di quelli dal quale non si esce.
Un dolore che, da genitore, credo sia assoluto anche per quell’idea di essere sopravvissuto al proprio figlio, e anche al dolore di averlo perso in maniera così assurda, una emorragia cerebrale dovuta a una leucemia fulminante, lo spettro di un errore sanitario, quella frase pubblicata sui social che faceva riferimento a un ritorno subitaneo a casa dal pronto soccorso, dove il tutto era stato bollato come “delle placche”, un normale mal di gola. Non che servano nemici contro cui scagliarsi, in questi momenti, il dolore non fa prigionieri, pretende una resa incondizionata, lascia dietro sé solo macerie. Sopravvivere alla morte di un figlio, e sopravvivere al dolore, dolore che al momento sembra sia insormontabile, credo sia uno degli aspetti più angoscianti, perché immagino, no, non immagino, posso vagamente supporre, sul momento l’idea di essere fisicamente inghiottiti da quel dolore sia la sola possibilità ipotizzabile, ma di dolore non si muore, poi, quasi mai.
Un dolore che, Michele Merlo era amato da un pubblico giovane, quello che segue Amici, un pubblico giovane che probabilmente, glielo auguro, non ha ancora avuto modo più di tanto di fare i conti col lutto, con l’elaborazione del lutto, con la morte. Questi che dovevano quindi essere i giorni della ripartenza, della rinascita, che si trasformano in giorni di sgomento, le frasi delle canzoni che diventano a loro insaputa preghiere, il volto che, condiviso sui social, ammanta tutto quel mondo effimero e vacuo di una malinconia livida.
Non conoscevo Michele Merlo, né di persona né artisticamente, non conosco quindi i suoi genitori, ma è a loro che va in questo momento il mio pensiero, una preghiera da genitore a genitore, un pensiero che non pretende di essere balsamico, ma che è sincero. A loro e ai suoi fan, giovani che stanno provando per il loro amore per la musica quello che potrebbe essere il loro primo dolore, quel senso di ingiustizia che purtroppo è caratteristica non secondaria del nostro essere uomini nel mondo.
La terra ti sia lieve, Michele, e il dolore sia lieve a quanti ti hanno amato.
Leggere certe notizie e pensare ai figli è automatico, ti capisco. Riposi in pace, poverino.