Per molti Lateralus dei Tool è il capolavoro inarrivabile che ogni artista raggiunge e che, inevitabilmente, lo rende schiavo della perfezione. Si crea quel meccanismo perverso, quindi, che porta il pubblico a cercare sempre quel livello. Probabilmente la band di Maynard James Keenan non ha bisogno di queste etichette, perché non c’è disco dei Tool che non sia nello stato dell’arte. Possiamo dirlo anche per Fear Inoculum (2019), l’attesissimo seguito di 10.000 Days che ha deluso tante persone, ma ne ha saziato tante altre.
Ecco, c’è da sapere che Lateralus dei Tool è qualcosa di più: è calcolo, precisione, spiritualità. Calcolo, perché all’interno troviamo la successione di Fibonacci applicata alle sillabe della title-track e alla disparità delle battute; precisione, perché il disco non è mera esibizione di tecnica ma una messa in atto dell’ingegno che diventa passione, una scultura granitica in cui le chitarre di Adam Jones convolano a nozze in ogni singola battuta con le linee di basso di Justin Chancellor, il tutto sotto l’egida delle percussioni di Danny Carey che rispettano ogni millimetro emozionale.
Spiritualità, infine, perché se Maynard James Keenan darà il massimo con l’espressività di Wings For Marie dell’album successivo, in Lateralus dei Tool ogni vocabolo è un passo verso il superuomo, verso la pace e l’equilibrio. Lo dimostrano tracce come Schism, The Patient, Disposition, Reflection e l’inquieta The Grudge che dichiara gli intenti dalla prima frase: “Indossa il rancore come se fosse una corona”.
Il nucleo di tutta l’opera è inevitabilmente la title track. Con Lateralus i Tool ci guidano verso la consapevolezza e ci conquistano definitivamente. La loro musica supera lo scibile umano e proprio nelle sorelle Parabol-Parabola la voce di Keenan è una campana tibetana in grado di ipnotizzare e confortare. “Sono vivo!”, grida Maynard nel momento più intenso della suite e nel complesso, grazie a Lateralus dei Tool, ci scopriamo vivi anche noi.