The Zone of Interest, alla Festa del Cinema di Roma l’agghiacciante film di Jonathan Glazer sulla cecità di fronte agli orrori dell’Olocausto (recensione)

Alla Festa del Cinema di Roma arriva The Zone of Interest, l'agghiacciante film sull'Olocausto: la nostra recensione.

Credits: A24


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E’ una giornata di sole e una famiglia si gode il panorama sulla riva di un fiume: così inizia The Zone of Interest. Nell’apparenza della normalità più assoluta, il nuovo film di Jonathan Glazer pone l’enfasi sulla cecità di fronte agli orrori dell’Olocausto.

Siamo in piena Seconda Guerra Mondiale. Rudolf Höss e famiglia vivono la loro quotidianità nella spensieratezza; ogni giorno, lui va al lavoro, sei occupa della casa e del bambino piccolo, mentre gli altri figli vanno a scuola. Tutto sembra tranquillo, se non fosse per un particolare. Accanto alla loro splendida villa c’è un campo di concentramento, di cui il comandante Höss è il direttore. A separare queste due realtà c’è solo un muro altissimo, che il patriarca della famiglia spera di coprire con una rete di fiori.

Come se bastasse poco per cancellare le grida e le urla che quotidianamente si ascoltano dal lager di Auschwitz. Noi spettatori siamo quasi complici poiché non ci è dato vedere ciò che accade al di là di quel confine, in quella “zona di interesse”, che è tristemente nota. Piuttosto siamo solo osservatori di quella famiglia alto-borghese che non si accorge minimamente dell’orrore quotidiano al di là del muro. E così, davanti a chi si copre gli occhi e nega gli orrori dell’Olocausto, Glazer ci invita, invece, ad ascoltare.

Tratto dal l’omonimo romanzo di Martin Amis, che racconta la Soluzione Finale messa in atto dai nazisti nei confronti degli ebrei, il regista di Under My Skin rappresenta una situazione paradossale: da un lato l’indifferenza, dall’altra il realismo. L’impatto con la realtà, però, viene svelato mano a mano, in modo che il pubblico si svegli improvvisamente da quel velo di apparenza.

Crudo e agghiacciante, The Zone of Interest è una delle opere che meglio descrive l’Olocausto, anche senza mostrarlo esplicitamente. Perché a volte non servono parole quando tutto ciò che si deve fare è solo ascoltare.

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