Lo spot di Esselunga difende davvero la famiglia tradizionale?

Dal Presidente del Consiglio Meloni, a Bersani, passando per tutto l’arco parlamentare, il nuovo spot commerciale di Esselunga fa discutere la politica. C’è chi pensa voglia accendere l’attenzione sul divorzio, altri lo accusano di far leva sulla sofferenza dei minori. Ecco tre aspetti che nessuno sembra aver notato


INTERAZIONI: 122

Tre aspetti poco rappresentati sullo spot dell’Esselunga, accusato di colpevolizzare i genitori che divorziano e di rappresentare una strenua difesa della “famiglia tradizionale:

1. Il cortometraggio è perfettamente riuscito, a cominciare dall’incidente scatenante semplice, ma efficace: Una madre non trova più sua figlia al supermercato. L’Attenzione dello spettatore è subito carpita. Non sappiamo se siamo incappati in un thriller, certamente non pensiamo immediatamente ad una pubblicità di un supermercato.


L’elemento “magico” è qui un frutto, una pesca che viene regalata al padre della bambina.
Alla fine del corto, il padre capisce che sua figlia ha mentito, nel tenero tentativo di far riappacificare i genitori.
Arriva il claim in sovraimpressione:

“Non c’è una spesa che non sia importante. Dietro ogni prodotto che compriamo, infatti, c’è una storia che parla di noi”.

Qui non c’è un posizionamento valoriale, un giudizio sulla scena osservata. Anzi, c’è la piena identificazione con essa. Il claim dice: questa storia parla di tutti noi. E il non-detto è quindi “Vieni a comprare da chi ti capisce”.

2. Probabilmente dietro la scelta dello spot c’è anche uno studio della clientela.
Esselunga non è presente nel sud Italia, ma a centro e nord Italia. Il numero dei divorziati nel belpaese non è equamente distribuito. Ad esempio nel 2018 ci sono stati 44 mila divorzi al nord e circa 26 mila al sud.
Lo spot cerca di attirare l’attenzione di tutti, ma anche di strizzare l’occhio ad una precisa clientela che in quei supermercati è quindi di numero certamente superiore rispetto ad altre catene.

3. Non c’è uno scivolone politico, come lo era stato il caso dello spot del parmigiano del regista Paolo Genovese. Genovese in quel caso cade su Renatino, il lavoratore presentato nello spot come dipendente modello, felice di lavorare 365 giorni all’anno, senza ferie, malattie né diritti sindacali “Bravo Renatino!”.


Nello spot di Esselunga “La pesca”, invece, non c’è un vero e proprio scivolone. Non invita a fare più acquisti per non far soffrire bambini o evitare separazioni. E’ una rappresentazione, ben studiata, ma pur sempre fiction. E’ la nostra politica nazionale, insieme ad un certo giornalismo, che in queste ore cerca di prendere a pretesto lo spot per avvalorare, da una parte o dall’altra, le proprie tesi precostituite.