I Mostri, Dino Risi, la famiglia e l’eclissi dei padri

La commedia all’italiana racconta, anche, la crisi del maschio. Che per correre dietro al boom economico ha smesso di occuparsi dei propri figli. Come spiega la spietata galleria di ritratti del film con Gassman e Tognazzi. Appuntamento alle 21 su Cine34

I Mostri

INTERAZIONI: 174

Lo studioso francese e grande esperto di cinema italiano Jean-A. Gili, in un volume fondamentale per la rivalutazione critica della commedia all’italiana del 1980 – che non a caso s’intitolava Arrivano i Mostri – scrisse che il film I mostri, diretto nel 1963 da Dino Risi, è “una vera summa dell’atmosfera dell’epoca”. Un’epoca a cavallo tra fine anni Cinquanta e primi anni Sessanta in cui, come da un altro versante ha rilevato il più autorevole storico del nostro cinema, Gian Piero Brunetta, “la commedia alza il tiro, si carica di più ampi segni, comincia a scoprire la storia degli italiani, la storia di un passato immediato o prossimo che rivisita con irriverenza, con qualche residuo qualunquistico, ma anche con una diversa presa di coscienza”.

È un dato innegabile: “In questo periodo cerniera – aggiunge Gili – Comencini, Monicelli e Risi, senza essersi messi d’accordo ma come se si fosse stabilita tra loro un’intesa segreta – forse anche attraverso sceneggiatori comuni – realizzeranno una serie di commedie che presentano un’immagine dell’Italia e del suo processo storico: scioperi dell’inizio del secolo (I Compagni), prima guerra mondiale (La Grande Guerra), insediamento del fascismo (La Marcia su Roma), dal fascismo alla Resistenza (Tutti a Casa), dalla resistenza alle disillusioni del dopoguerra (Una Vita Difficile), il boom degli anni Sessanta e i primi interrogativi (Il Sorpasso), l’Italia sofferente e miserabile (A Cavallo della Tigre).

La commedia amplia consapevolmente le proprie ambizioni. E se allarga la prospettiva al passato più o meno recente lo fa soprattutto per comprendere come si sia giunti alle rapinose trasformazioni del presente, e per offrire un ritratto veridico dei nuovi italiani, soprattutto maschi, che incarnarono quel drastico rivolgimento che prese il nome di miracolo economico, capace in pochissimi anni di rivoluzionare economia, valori, costumi e consumi del paese.

In questo contesto I Mostri occupa un posto speciale. In primo luogo perché il suo stesso titolo è diventato giustamente proverbiale, un’etichetta applicata all’intero genere della commedia all’italiana, la cui caratteristica principale è stata di riuscire a raccontare negli anni del boom – altro film che si può aggiungere alla lista è proprio Il Boom, sempre 1963, di Vittorio De Sica, protagonista un Sordi che si vende, letteralmente, un occhio per non rinunciare al suo tenore di vita – l’avvenuta mostrificazione del maschio italiano, travolto e reso cinico dalle seducenti opportunità del benessere, che lo trasformarono in forsennato accumulatore di cose (tra le quali la donna, sempre più “oggetto” del desiderio).

L’altro elemento che rende I Mostri esemplare, dell’epoca e del genere cui appartiene, è il suo essere frutto di un’intelligenza collettiva, dato che coagula intorno al film molti dei nomi che hanno fatto la storia della commedia all’italiana. Com’è noto, il progetto originariamente era di Elio Petri, che insieme ad Age e Scarpelli s’era messo a scrivere una galleria di ritratti di gaglioffi che avrebbero dovuto avere tutti il volto di Sordi. Il progetto però non convinceva né l’attore né il produttore Dino De Laurentiis – “Tu sei comunista, vatti a fa produrre questo film da Togliatti!”, disse a Petri. E allora, poiché un altro gruppo con Risi e Tognazzi stava lavorando a una riduzione de Il Maestro di Vigevano di Lucio Mastronardi, avvenne uno scambio.

Così Petri fece Il Maestro con Sordi, mentre I Mostri venne diretto da Risi e prodotto da Mario Cecchi Gori, che aveva sotto contratto Gassman e Tognazzi. E Ruggero Maccari ed Ettore Scola, abituali sceneggiatori di Risi, offrirono il loro contributo al film, che alla fine raggiunse i venti episodi totali, equamente suddivisi tra i due mattatori. Dino Risi a I Mostri aggiunse il suo sguardo scettico e tagliente, e sottopose l’italiano medio, lui che di formazione era medico, a una disincantata seduta di psicoanalisi, senza giudicarlo né condannarlo, però descrivendone certe caratteristiche che sempre più decisamente andavano sedimentandosi. Uno dei tratti distintivi de I Mostri, sottolinea ancora Brunetta, non riguarda tanto la presa di posizione anticonsumista – “più apparente che reale: in effetti nel discorso non c’è condanna, quanto piuttosto registrazione degli eventi” –, quanto l’individuazione della “graduale decomposizione di alcuni istituti, prima di tutto quello familiare”.

Il film descrive impietosamente la crisi della famiglia, in particolare l’eclissi dei padri, ormai in balia di una febbre da accaparramento, tra nuovi riti, miti e status symbol, che li rendono sempre più incapaci di fornire una bussola etica alle nuove generazioni. Non è un caso che il film cominci con L’educazione sentimentale, in cui Tognazzi è un padre becero e ignorantissimo (parla solo per proverbi e luoghi comuni), che al figlioletto (interpretato da Ricky Tognazzi) insegna solo a imbrogliare, giudicandone spietatamente la timidezza (“Mi sembra un morto sto bambino”, dice brutalmente alla moglie). Così il finale dell’episodio – si legge su un giornale che, dieci anni dopo, il figlio ucciderà il padre per denaro – non rappresenta tanto il prevedibile e quasi meritato contrappasso quanto, da parte del figlio, l’avvenuta introiezione di un nuovo modello paterno, non più incardinato su leggi, regole e divieti, bensì sullo sfrenato e trasgressivo perseguimento del godimento, da soddisfare a qualunque costo.

L’episodio “L’educazione sentimentale, con cui si apre la galleria de I Mostri

Sono queste le tesi, rilette in chiave psicoanalitica, di un bel libro di Andrea Bini sull’affiorare di angosce e insicurezze patologiche del maschio italiano, che nel collasso dell’istituzione familiare trova, a sostituirla, solo le opportunità offerte dalla società capitalista, che obbligano però a una rincorsa perenne e frustrante. Quella stessa in cui era già incappato il Bruno Cortona-Gassman de Il Sorpasso (1962), sedicente uomo vincente che corre a tutta birra sulla sua Spider rattoppata, ma che è ridotto a mendicare la compagnia di uno studente incontrato per caso (Jean-Louis Trintignant) per non passare il ferragosto con la madre. E Cortona, naturalmente, è un padre fallito, come quasi tutti gli immaturi protagonisti della commedia all’italiana (lo sono pure, restando a Risi, il Sordi di Una Vita Difficile, del 1961, e Walter Chiari ne Il Giovedì, del 1964).

Nell’episodio de I Mostri “Come un padre”, il gelosissimo Lando Buzzanca è certo che la moglie lo tradisca. Per cui chiede a Tognazzi, il quale per la ragazza è “come un padre”, di parlarle per capire cosa le stia accadendo. Inutile specificare chi è l’amante della ragazza. Nel brevissimo episodio “Il Mostro”, il dato più rilevante non è quello barzellettistico – i carabinieri che hanno arrestato il killer sono fisicamente ben più mostruosi di lui –, bensì il fatto che il criminale, come si evince da un altro titolo di giornale – quella per la cronaca è una vocazione della commedia all’italiana – abbia ammazzato tutti e cinque i figli.

In “Che vitaccia!”, Gassman è uno spiantato che vive in una baracca con la sua numerosissima famiglia. Si sbraccia e dispera per un figlio malato, poi però spende gli ultimi soldi per vedere la partita della Roma. E ancora Gassman, che ne “Il sacrificato” passa da un’amante all’altra, non è ancora diventato padre e già si lamenta: “Altre responsabilità, altre preoccupazioni”. Per non parlare, in “Vernissage”, del papà che, acquistata faticosamente a suon di cambiali l’agognata Seicento, festeggia andando sul Lungotevere a caricarsi una passeggiatrice. Non va meglio ne I Mostri se guardiamo ad altri rapporti familiari: come il povero soldatino veneto di Tognazzi il quale, una volta scoperto che la sorella barbaramente uccisa faceva la prostituta, va dal direttore di un quotidiano per vendere a suon di milioni il diario della ragazza.

Chiaramente, nella sua articolata struttura a episodi, alcuni brevi come uno sketch, altri più complessi – su tutti la degna conclusione de “La Nobile Arte”, malinconico ritratto di due maschi adulti regrediti allo stadio infantile –, I Mostri offre molteplici chiavi di lettura. Alcune più evidentemente satiriche, come il caso dell’onorevole cattolico solo apparentemente tutto d’un pezzo, che salva la forma e s’inventa mille sotterfugi per evitare che scoppi uno scandalo nel suo partito. Tra queste la crisi dei legami familiari costituisce uno dei sicuri cardini del film, ritratto sbigottito di una società senza più padri (e quindi limiti e valori), in cui a scandire i rapporti sono solo le regole del piacere e del consumo.

Continua a leggere su optimagazine.com