Alma P, Un’altra volta e L’aria che tira

Ho ascoltato Alma P e per qualche momento, anche se vivo a Milano, in una zona semicentrale, mi è sembrato di poter respirare una boccata d’aria fresca


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Vivo a Milano, in una zona semicentrale. Ciò nonostante posso dire con una certezza quasi scientifica che capisco alla perfezione quando è quel periodo dell’anno nel quale i contadini, in campagna, sempre che esistano ancora i contadini, concimano i campi. E lo so perché, nonostante io viva a Milano, in una zona semicentrale, ci sono giorni in cui esco di casa e mi arriva come un pugno dritto nel naso la puzza di merda tipica di quando i contadini decidono di concimare i propri campi. Il che, se uno si soffermasse a pensarci, ma vivo a Milano, soffermarmi è da escludere a priori, te lo impongono il giorno in cui i vigili vengono a citofonarti per controllare che in effetti abiti in una determinata casa per poi darti la residenza, il che, se uno però aggirasse le regole e si soffermasse a pensarci, suonerebbe quantomeno paradossale, vivere in una delle città più inquinate d’Italia e avere come unico reale contatto con la natura, non me ne vogliano le campagne green di Beppe Sala, la puzza di merda che certe mattine ci attanaglia come una di quelle cappe aliene che compaiono in certi film, e dalle quali non esce mai niente di buono. Nello specifico, non siamo in un film di fantascienza né horror, dalla puzza di merda che certe mattine attanaglia Milano, avrete capito che questa mattina, non necessariamente questa in cui voi state leggendo ma questa nella quale io sto scrivendo, con la scrittura funziona così, io scrivo ora, voi leggete in un altro ora, che potrebbe arrivare a distanza di poche ore come di anni, forse, vai a capire come andrà a finire tutto questo, millenni, tipo stele di Rosetta, e ci sarà qualcuno, un archeologo del futuro, che cercherà di ricomporre un nostro alfabeto per lui sconosciuto, astruso, incomprensibile a partire da questo mio scritto che parla, essenzialmente di come ora, cioè nel momento appunto in cui io scrivo, intorno a me ci sia una puzza piuttosto mefitica di merda, che poi, è inverno, intorno a me è più che altro metaforico, perché scrivo in casa, le finestre chiuse, fuori è freddo, quindi anche qui ho inscenato una sorta di forzatura spaziotemporale a beneficio del mio scrivere, perché non è ora, mentre sto scrivendo, né ora mentre state leggendo, che sento puzza di merda, tipica dei giorni nei quali i contadini, sempre che esistano ancora i contadini, concimano i loro campi, ma era prima, un’ora fa scarsa, quando sono uscito per accompagnare i miei figli piccoli a scuola, alle sette e trenta di mattina, che ho sentito quella puzza di merda, puzza di merda che, vivo a Milano da ventisei anni, so come funziona, resterà nell’aria almeno fino a ora di pranzo, buon appetito, in bocca al lupo archeologo del futuro che da queste mie parole dovrai provare a capire la nostra lingua, i nostri costumi, magari usando come indicazione la stele di Michetta invece che di Rosetta, ma questa è una battuta scema, a beneficio dei miei concittadini, come me, almeno quella porzione di miei concittadini che vive nel mio quartiere o nella mia zona, oggi vessati dall’arroganza dei contadini, sempre che esistano.

Vivo in in una zona semicentrale di Milano e so quando i contadini, eviterò di ripetere per l’ennesima volta il dubbio riguardo la loro esistenza, vezzo atto a indicare perentoriamente il mio essere cittadino a tutti gli effetti, anche piuttosto poco incline a confrontarmi con ciò che cittadino non è, io nato in una cittadina, Ancona, piccola ma comunque centro più grande della mia regione, capoluogo, e comunque trasferitomi in una città decisamente più grande, Milano, schivando il rischio di cercare la provincia in ciò che provincia non era, via le soluzioni più economiche come l’hinterland, vivo in una zona semicentrale di Milano e so quando i contadini concimano, perché l’aria già di suo irrespirabile di Milano, basta guardare le balaustre nere dei balconi, nere di fuligine e polveri sottoli, hai voglia a lavarle via, per capire che l’aria di Milano sia di suo lurida, figuriamoci se abbiamo pure bisogno di addizionare allo smog la puzza di merda.

Dico questo, e l’ho detto per seicentonovantadue parole, neanche poche, seicentonovanasei, ora, per chiarire senza se e senza ma, che è una soluzione retorica spiccia, certo, anche un po’ abusata, sicuramente, atta a mettere in chiaro senza possibilità di replica quanto si va a dire, lo dico perché, personalmente, trovo questa espressione, “senza se e senza ma”, davvero orrida, quasi volgare, al pari di quelle che si usano ora per accompagnare certi post spicci sui social, “chiedo per un amico”, “dire qualcosa senza dire qualcosa”, dove il verbo “dire” è ovviamente di volta in volta sostituito da una qualche azione, tutti modi spicci, scorciatoie che ti fanno passare dentro aree industriali, le strade sbrecciate, il paesaggio squallido, ma non era questo il luogo dove soffermarsi a ribadire quello che quel “senza se e senza ma” racchiudeva in cinque parole, non state ora a pignoleggiare sul fatto che io poi ne abbia usate altre centotrentacinque per prendere le distanze da quella brutta espressione, saranno pure fatti miei se decido di usare più parole e tempo per specificare il perché di una mia scelta retorica discutibile di quanto ne avrei potuto usare per non ricorrere a quella discutibile scelta retorica?, comunque, dico questo, e l’ho detto per ottocentonovantuno parole, anche più di prima, ovviamente, per chiarire senza se e senza ma che se oggi finirò con darvi l’impressione di avere il culo girato, sempre tenendo conto di quel gap temporale che intercorrerà tra me che scrivo, adesso, e voi che leggete, adesso, considerate sempre che tra voi c’è anche l’ipotetico archeologo del futuro, che più che leggermi starà bestemmiando, vai a sapere quale Dio, nel tentativo di capirci qualcosa, non che a voi la faccenda sia andata molto meglio, sono novecentosettantaquattro parole che parlo prevalentemente di me che parlo, scrivo, è vero, ma in modo colloquiale, e parlo prevalentemente di me che scrivo e di puzza di merda, c’è gente strana a cui affidano spazi all’interno dei giornali digitali, abbiamo appena superato le mille parole, nello specifico, lo dico per gli addetti ai lavori, i seimila caratteri, spazi inclusi, andando così a triplicare, ignoro quale sia il termine corretto per dire chi supera di tre volte, nel senso, so che chi supera di due volte doppia, non so se chi supera di tre volte triplica o tripla, mi sfugge e non ho troppa voglia di andare a googolare per sopperire a questa mia mancanza, scrivo pur sempre per il web, potete ben capirmi, andando così a triplicare o triplare la lunghezza standard di un qualsiasi articolo in rete, senza manco mettere le parole chiave tanto care ai SEO, quelle cioè che nella prima frase di un articolo servono a far entrare detto articolo nei motori di ricerca a partire dal tema trattato, sono pur sempre nato negli anni Sessanta del Novecento, ho pubblicato ottantasette libri, ottantotto a febbraio, altri tre in uscita prima dell’estate, mica vorrete star qui a farmi la lezioncina di come si scrivano gli articoli per il web, se siete arrivati a questo punto vorrà pur dire che ho ragione io, no?, i giri panoramici sono più lunghi, certo, ma tendono a mostrare appunto i panorami, e comunque a essere di norma più sorprendenti delle maledette scorciatoie, ci scommetterei senza se e senza ma, Dio quanto sono scemo, dico questo, e l’ho detto per milleduecenoquarantuno parole, parecchie, milleduecentoquarantatré, ora, per chiarire senza se e senza che se oggi finirò con darvi l’impressione di avere il culo girato, sempre tenendo conto di quel gap temporale che intercorrerà tra me che scrivo, adesso, e voi che leggete, adesso, considerate sempre che tra voi c’è anche l’ipotetico archeologo del futuro, che più che leggermi starà bestemmiando, vai a sapere quale Dio, nel tentativo di capirci qualcosa, non che a voi la faccenda sia andata molto meglio, e giuro che ora la smetto di fare questo giochino metanarrativo, non è narrativa questa, sempre che esista oggi una narrativa che non debba fare i conti con gli altri generi, il giornalismo, magari, la critica musicale, certo, il memoir, l’autofiction, parlo pur sempre di me che ho accompagnato i miei figli a scuola, la puzza di merda sparsa dai contadini nei loro campi, il nostro vivere in una zona semicentrale di Milano, forse siamo pure in area autobiografismo, lo dico forte del fatto che una trentacinquina, forse anche quarantina di quegli ottantasette, a breve ottantotto libri che ho pubblicato sono biografie o autobiografie, senza contare le autobiografie che ho scritto come ghost writer, tra noi ghost writer ci si chiamava ai tempi “negri”, chissà se è possibile farlo ancora oggi, in epoca di politicamente corretto e di cancel culture, dico questo, e l’ho detto per millequattrocentosessantasei parole, decisamente troppe,  millequattrocentosettanta ora, per chiarire senza se e senza ma che se oggi finirò con darvi l’impressione di avere il culo girato, sempre tenendo conto di quel gap temporale che intercorrerà tra me che scrivo, adesso, e voi che leggete, adesso, considerate sempre che tra voi c’è anche l’ipotetico archeologo del futuro, che più che leggermi starà bestemmiando, vai a sapere quale Dio, nel tentativo di capirci qualcosa, non che a voi la faccenda sia andata molto meglio, è perché in effetti oggi mi girava il culo di suo, la sveglia alle sei e quaranta, come sempre, il freddino fuori, la puzza di merda che ci attanaglia. Ciò però, vengo al punto, quello che dovrebbe contenere le parole chiave così care ai SEO, eccolo che arriva dopo novemilaseicentosei caratteri, nessuno ci corre dietro nonostante noi si sia a Milano, in zona semicentrale, perché con la scrittura funziona così, credo, è chi scrive che porta il lettore a casa sua, non viceversa, del resto pensate se scrivendo fossi io a dover venire da voi, dove mi state leggendo, che so?, seduti sulla tazza del cesso, i pantaloni e le mutande arrotolati sulle caviglie, spaparanzati sul divano, la luce intermittente della tv a rendervi la lettura difficoltosa più di quanto già non abbia fatto io, scomodi su un sedile della metro, perché il tipo che sta seduto di fianco a voi sta con le gambe larghe, una volta ho letto un pezzo di una femminista, non ricordo dove e chi fosse, che specificava come questa cosa degli uomini di stare seduti in metro con le gambe larghe, manco avessero trenta centimetri di pacco là sotto, questo la femminista non mi sembra lo dicesse, era lì, sottinteso, è un gesto tipicamente patriarcale, gesto patriarcale che magari state subendo mentre mi leggete, anche se siete un uomo, il patriarcato non guarda in faccia nessuno e il vostro essere uomini bianchi eterosessuali non vi pone certo nella condizione di lamentarvi di alcunché, siete dei privilegiati, sempre che siate uomini bianchi eterosessuali, comunque pensate se mentre mi leggete, magari siete in una vasca idromassaggio che vi siete fatti costruire nella stanza da letto, figuriamoci, non ne faccio certo una questione classista, fossi io stare con voi, e non viceversa, lì a scrutare nella vostra intimità come vi sto facendo scrutare io, certo non sono entrato in certi dettagli piccanti, come potrebbe essere se io vi scrutassi mentre siete sotto le coperte, nella vasca idromassaggio o seduto sulla tazza del cesso, ma scrivendo così tanto ho comunque dato l’impressione di dirvi tanto di me, vai poi a capire se era di me o del me che scrivendo ho deciso di mostrare, magari frutto totalmente di una mia volontà di lavorare su un personaggio, personaggio che coincide con me, parlo in prima persona e quasi esclusivamente di cose che, in apparenza, esulano l’oggetto del titolo, quindi l’argomento che chi segue il SEO vorrebbe spiattellato nella prima frase, siamo quasi dalle parti delle duemila parole, e, sappiatelo, sto andando in bici senza mani da un sacco di tempo, quasi arrogante nel farlo e nel sottolinearlo, milletrecento di queste parole sono contenute in una unica frase, che presenta un numero di relative che farebbe sanguinare gli occhi a chiunque come una Madonna di Civitavecchia, ma se siete arrivati fin qui siete eroici, non c’è certo bisogno che io stia qui a ricordarvelo, che è un’altra espressione retorica tipo il senza se e senza ma, cioè il dire che non vuoi dire qualcosa e, nel dirlo dirla, forma di captatio benevolentiae da supermercato, vi ho sostanzialmente dato uno zuccherino, come si fa coi cavalli, fingendo di non volervelo dare, comunque, basta, sì, oggi ho il culo girato, lo ammetto. E quando uno ha il culo girato, almeno io la vedo così, non potendo cambiare il mio stile di vita e iniziare a alzarmi alle undici, come Scanzi, non potendo cambiare il meteo o il clima, figuriamoci, quando devo organizzare una festa per i figli vado dal cinese a cercare se ha ancora scorte di piatti di plastica, che quelli di carta compostabile mi fanno cagare, non potendo far sparire questa puzza di merda che ci attanaglia, chi ha inventato la faccenda del mal comune e mezzo gaudio era uno cui la vita diceva evidentemente male e cercava alleati, quando ho il culo girato l’unica cosa che penso potrebbe svoltarmi la giornata, a parte una proposta economica di quelle che, però, a memoria, non arrivano quasi mai senza che ti sei sbattuto per ottenerla, è ascoltare qualcosa di nuovo, parlo di musica, che sia a suo modo sorprendente. Tutto questo per dire che ho ascoltato Un’altra volta di Alma P, giovanissima cantautrice toscana che avevo già intercettato al Rumore BIM Festival, l’autunno scorso, e che incontrerò nuovamente a Sanremo tra una decina di giorni, ma di questo parlerò un’altra volta, ho ascoltato Un’altra volta di Alma P e per qualche momento, anche se vivo a Milano, in una zona semicentrale, mi sembrato di poter respirare una boccata d’aria fresca. La trovate qui, https://www.youtube.com/watch?v=gEJ-xPz4PSU. Aria fresca. Capita di rado.