Dov’è Baltimora?

La domanda mi sembra decisamente più interessante, oltre che significativa per quel che riguarda il futuro prossimo dei finalisti di X Factor


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A una settimana dalla fine di X Factor 2022 dovrei mettermi a scrivere qualcosa riguardo l’andamento dei quattro finalisti fuori da quel programma. Solo che aver scritto le pagelle con mia figlia Lucia per sette settimane credo mi esenti da una pratica del genere, anche perché una domanda mi sembra decisamente più interessante, oltre che significativa per quel che riguarda il futuro prossimo di detti finalisti: dov’è Baltimora?

Ma andiamo come sempre con ordine.

Tutti, credo, spero, conoscono Sinead O’ Connor. Cantautrice irlandese, passata alla storia per una cover, destino baro, e per una foto, destino barone, la cantatrice calva con gli enormi occhi liquidi ha da tempo perso la sua strada, complice una vita impietosamente dura, ma la sua Nothing Compares to U, scritta da Prince per The Family, una delle sue tante band satellite e poi portata in vetta alle classifiche di mezzo mondo da Sinead, è sicuramente parte della storia della nostra cultura popolare (a fianco dell’immagine di lei che dà alle fiamme una foto di Papa Giovanni Paolo II). Ecco, Sinead O’ Connor ha un fratello, Joseph, che a sua differenza non si affatto perso per strada, anzi, si è premurato di raccontarla bene (La fine della strada è uno dei suoi più famosi romanzi, anche se i miei preferiti sono in assoluto Il gruppo, storia di una band, The Ships, davvero appassionante, e Cowboys and Indians, che racconta la vita di Eddie Vertigo, il primo punk di Dublino). Romanziere e saggista, Joseph detto Joe, classe 1963, ha alle spalle quasi una ventina di libri, uno dei quali è lo spunto da cui vorrei partire, qui e ora. Nel libro Dolce libertà- un irlandese in America, infatti, Joe ci racconta del suo peregrinare per gli Stati Uniti, alla ricerca di tutti i luoghi che si chiamano a Dublino. Un gran bel libro, al pari dell’altro saggio, Il maschio irlandese in patria e all’estero, che a suo tempo mi ha dato più di uno spunto su quel che avrei potuto fare io, nel magico mondo dei libri funziona anche così. Ricordo, infatti, erano i primi anni zero, di essere andato coi pochi mezzi che si aveva allora, la rete c’era ma non era certo quella di oggi, e soprattutto non esisteva Google, le enciclopedie, per contro, da tempo erano diventate in via di estinzione, come i panda, a cercare se in America, o in altri luoghi del mondo, esistessero città col nome di Ancona, la mia città natale. Dovete infatti sapere che per anni, pur vivendo a Milano, ho continuato a scrivere costantemente di Ancona, un rapporto evidentemente irrisolto che ha richiesto non poche energie. Ne trovai una in Illinois, nella contea di Livingston, una cittadina che prendeva evidentemente il nome dal capoluogo delle Marche e per un po’ di tempo è stata un importante snodo della Santa Fe Railways, prima di essere sostituita da Kansas City, come nel secondo episodio di Cars, destinata a diventare poco più di una città fantasma, immagino. Al punto che oggi, a distanza di una ventina d’anni da quella mia scoperta, Wikipedia neanche ne indica il numero di abitanti. Indica invece la sua breve storia, fondata nel 1854 da Orsn Shackleton e Joseph Gumm, proprio per farci passare il treno, quindi dotato di una piccola stazione e in seguito anche di un ufficio postale, come in un episodio di When Calls the Heart, il nome scelto dai minatori anconetani che lì vicino, a Streator, erano andati a lavorare scavando carbone, poveri nostalgici di una terra lontana. La cosa mi ha colpito, in realtà mi ha colpito più ora che lo sto scrivendo che allora, perché proprio pochi anni prima, esattamente nell’ottobre del 2000, io e Cristina Donà, cantautrice allora come oggi massima espressione della nostra musica d’autore, non solo al femminile, per un certo tratto anche con mia moglie Marina, abbiamo attraversato gli Stati Uniti, sulle orme di Bruce Springsteen, la scusa, proposta al nostro sponsor, Gente Viaggi, Dio benedica il suo direttore di allora Silvestro Serra, la scusa, dicevo, il ventennale dell’uscita del doppio album The River. Siamo partiti dal New Jersey, Newark, esattamente come il Boss, per andare a fare tappa a New York, poi a Freehold, suo paese natale, quindi Atlantic City, e via a Philadelphia, Cleveland, Pittsburgh, Chicago, dove appunto ci ha raggiunto Marina, e poi giù verso Normal, cittadina dell’Illinois dove insegnava David Foster Wallace, mio idolo assoluto in quei giorni, e poi diretti a Omaha, in Nebraska, stato che ha dato il nome a un capolavoro di Springsteen, passando per Des Moines, in Iowa. Poi in aereo fino a Los Angeles, e di lì a San Francisco, passando per Carmel, città il cui sindaco era Clint Eastwood, con tappa obbligatoria nel nirvana dei beatnik, Big Sur, tappa conclusiva nella Twin Peaks sbagliata, quella di Frisco. Ecco, quando siamo andati quindi negli USA, il viaggio è durato un mese, mica due giorni, siamo passati, scopro ora, a due passi da Ancona, Illinois, perché è proprio da quelle parti che si viaggia per andare da Chicago a Normal, città che dista a appena quarantatré miglia da Ancona, lì in mezzo a enormi distese di campi di grano. Farci tappa sarebbe stato doveroso, ma a questo punto credo proprio che finirà che dovrò tornarci appositamente, magari per chiudere una volta per tutte questo conto in sospeso.

Non so esattamente perché mi sia ritornato in mente quel libro di Joseph O’ Connor, vedo che in Italia è uscito nel 2005, ma probabilmente l’ho letto in originale, all’epoca leggevo molti più libri in originale che tradotti, né so come mi sia venuto in mente di andare a cercare Ancona nella mappa degli USA, facendo questa anomala scoperta, per altro a casa di David Foster Wallace, conservo ancora da qualche parte la pagina della guida telefonica col suo numero, che ho debitamente strappato e messo via, senza ovviamente telefonargli, non ci siamo andati, perché ai tempi cullavo l’idea che i miti dovessero rimanere distanti, e il mio omaggio all’autore di Infinite Jest sarebbe stato proprio il libro che di quel viaggio racconta, God Less America, un reportage davidfosterwallaciano pieno di note e di digressione, prima e vera prova di forza con lo stile giornalistico che mi ha portato, col tempo, a scrivere come scrivo, e comunque lui non era nato lì, a Normal, come credevo, ma a Ithaca, nello stato di New York, e lì ci viveva perché insegnava scrittura creativa all’università, presto si sarebbe trasferito a Claremont, in California, dove sarebbe morto suicida il 12 settembre 2008, mentre Marina si imbarcava per un viaggio negli USA che avrebbe, per la nostra famiglia, inaugurato una lunga sequela di viaggi, aerei e spostamenti.

Di Ancona, per altro, ce n’è anche un’altra, sempre scoperta a quei tempi, sull’onda del libro di Joseph O’ Connor, nella Contea di Mansfield dello stato di Victoria, in Australia. Un paese, anche in questo caso, ben distante dal mare, di soli duecentoottantasette abitanti. A attraversarla, gli australiani non sembra gente così originale, Ancona Road. Come l’Ancona dell’Illinois è sorta alla fine dell’Ottocento, e prende il nome da minatori anconetani giunti lì per raccogliere l’oro nella limitrofa miniera. Come l’Ancona dell’Illinois, la chiusura della miniera, lì era la stazione, ha portato a rendere Ancona, Australia, poco più di una ghost town lontana da tutto e tutti. Di Milano, o meglio, Milan, venni a sapere a suo tempo, ce n’è una in Michigan, negli USA, sempre dalle parti dei grandi laghi, cittadini di poco più di seimila abitanti, diviso tra le contee di Monroe e di Washtenau, una in Tennessee, nella contea di Gibson, di quasi ottomila abitanti, una in Ohio, nella contea di Erie, di milletrecento e rotti abitanti, una in Georgia, tra le contee di Telfair e quella di Dodge, mille abitanti, una in Indiana, contea di Ripley, millenovecento abitanti, una in Kansas, contea di Summer, ottantotto abitanti, una in Minnessota, contea di Chippewa, trecentosessantanove abitanti, una in Missouri, contea di Sullivan, millenovecentosessanta abitanti, una in New Hampshire, contea di Coos, milletrecentotrentatré abitanti , una nello stato di New York, contea di Dutchess, duemilatrecentosessanta abitanti, e una in New Mexico, contea di Cibola, tremiladuecentoquarantacinque abitanti. Ce n’è anche una di duecentosettanta abitanti in Canada, nel Quebec, e una nel dipartimento di Caqueta, in Colombia, di settemilaquattrocento abitanti. Sempre poca roba, insomma, ma sufficiente, volendo, per tirarci su un libro come quello di Joseph O’ Connor, del resto la sorte di Dublino non è molto più florida, sempre che prima o poi mi decida una volta per tutte a fare la pace col mio aver lasciato le mie radici da tempo.

Cercando però ora di Ancona, Illinois, in rete, mi sono imbattuto in un’altra Ancona, sempre presente negli USA, di cui ignoravo l’esistenza. SI tratta di una razza di polli, gli Ancona, appunto, che dal porto della mia città natale sono partiti verso la fine dell’Ottocento, prima diretti in Inghilterra, e infine negli Stati Uniti, destinati a trovare in quei lidi un certo successo. Una razza autoctona, nelle Marche, caratterizzata da un piumaggio picchiettato di bianco su sfondo nero, sì, dalla città della Settimana Rossa di Errico Malatesta sono partiti un gallo e una gallina neri, seppur con cresta orgogliosamente rossa, e dalle zampe gialle macchiate di nero, solo le uova sono totalmente bianche, deposte in gran numero durante l’anno, tra le centottanta e le duecentocinquanta a gallina. Un pollame che ebbe talmente tanto successo che, nel 1898, diciotto anni dopo quel primo viaggio partito per nave dal porto di Ancona, in Inghilterra nascerà il Club dell’Ancona, club che vedeva iscritti avicoli amanti di questa particolare razza. Non si ha evidenza di un gruppo simile anche negli USA, ma nei fatti ancora oggi, in Pennysilvania, Ohio e California del Sud ci sono grandi allevamenti di polli Ancona, nome che altrimenti fa strabuzzare gli occhi a chiunque mi chieda da dove vengo, con me lì a spiegare che è quella città che si trova a metà strada tra Rimini e Pescara, e no, non si trova in Abruzzo, ma nelle Marche, di cui è capoluogo, beata ignoranza. Oh, del resto ci sono le galline livornesi e quelle padovane (da noi si dice “gallina padovana” di chi va sempre in giro, credo che caratteristica di quest’ultima sia razzolare indefessamente), perché mai non ci sarebbe dovuta essere anche una gallina o pollo Ancona? Curioso, lo dico da anconetano in esilio da oltre venticinque anni, che dalla mia città natale siano partiti per conquistare il mondo non esploratori o artisti, ma polli, non me ne voglia il poeta Franco Scataglini, da tempo scomparso e a cui il comune, Dio li fulmini, ha dedicato una tristissima strada della zona industriale priva anche di numeri civici, o Baltimora, vincitore della diciassettesima edizione di X Factor, con i Via Verdi di Diamonds, e non solo di Diamonds, il solo artista pop uscito da queste zone.

Baltimora, per altro, nome all’anagrafe di Edoardo Spinsante, è a sua volta il nome di una città, oltre seicentomila abitanti, in Maryland, oltre che a suo tempo nome di una band italiana ideata dal produttore Maurizio Bassi e con un cantante nordirlandese, Jimmy McShane, titolare di una hit mondiale quale Tarzan Boy è stata nel 1985. Con lui in lineup musicisti che poi si sarebbero fatti apprezzare come turnisti, Giorgio Cocilovo alla chitarra solista, Claudio Bazzanti alla chitarra acustica, Pier Michelatti al basso e Lele Melotti alla batteria. Tanto per entrare e uscire nell’autofiction, o forse in questo caso è nel memoir, io e Giorgio Cocilovo abbiamo condiviso il palco del Barfly, storico locale musicale marchiagiano, prima a Recanati e poi in Ancona, l’8 aprile del 2008, esattamente il giorno prima che i carabinieri ponessero i sigilli a quella attività. L’occasione la mia partecipazione, in coppia con una esordiente Malika Ayane, al Festival Contro Canto, in una edizione che ci vedeva dividere il cartellone con David Byrne, Antony and the Johnson e Mauro Pagani, tra gli altri, lei a cantare e io a leggere alcune cose mie, in questa formula di reading/concerto che per anni avrei portato in giro per l’Italia anche con altri artisti. La prima volta di Malika con la faccia su un manifesto, azzarderei, non fosse che di lì a breve avrei rotto definitivamente con lei, raccontando poi il tutto nel libro Cantami o diva- A Sanremo tra fiori e foglie. Fine del biografismo, almeno per questa frase.

Baltimora, quindi, parliamo di lui, e torniamo alla domanda da cui queste mie parole hanno mosso i primi passi. È finito a X Factor nel momento in cui si pensava il programma stesse toccando il suo punto più basso, parlo di audience, certo, con quel mezzo milione di spettatori in media a puntata, e di qualità dei concorrenti, lui destinato a essere un outsider, gIANMARIA, detto Giommaria per il suo trasformare in o tutte le vocali, vincitore annunciato, questo salvo scoprire, nell’edizione successiva, quella del 2022, che si può fare molto peggio, su entrambi i fronti. È passato di lì, e senza che nessuno ci scommettesse su un fico, ha vinto, così ha scelto il pubblico generalista, non quello solo di Sky, ribaltando ancora una volta il risultato (era già successo con Lorenzo Licitra, a superare i Maneskin, e non saprei dire se questo fatto sia una mera notazione cronachistica o un lugubre presagio). Poi si è messo a lavorare esattamente alla medesima maniera di come aveva lavorato fino a quel momento, per conto suo, lontano dalle luci della ribalta, in quella Ancona che è appunto a metà strada tra Rimini e Pescara, non troppo più centrale di quella dell’Illinois. Lo ha fatto perseguendo una sua precisa idea di electropop, sofisticata, elegante, sicuramente contemporanea, ahilui non troppo commerciale, nulla a che vedere quindi col pop da classifica degli altri Baltimora, e neanche col pop che in classifica imperversa adesso, fatto più di urban che di pop, poca attenzione al canto e alla melodia, zero piani armonici.

Difficile dire se avrà successo o meno, idem per i concorrenti di quest’anno, vincitori inclusi, e anche solo che io stia qui a parlare di successo come il successo avesse a che fare con la critica musicale attesta come le storture del mondo dello spettacolo a volte condizionino anche chi è convinto di esserne immune, quel che è certo è che ancora una volta dalla mia terra natale chiunque voglia provare a uscire fuori è destinato a fare evoluzioni quantomeno arzigogolate, magari finendo per approdare alle tavole di tutti quanti, ma facendo prima un giro larghissimo.

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