Siccità, Virzì torna con un film sull’inaridimento delle relazioni umane (recensione)

Scenario apocalittico eppure molto familiare in una Roma dove non piove da tre anni. Cast stellare per protagonisti così veri e fragili da mettere in moto un film corale di grande impatto. Una nuova pandemia in arrivo è la goccia che manca e che fa traboccare il vaso. Si esce dalla sala con un nodo in gola e tanta sete


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Si esce dalla sala con un disperato bisogno di bere, dopo la visione di Siccità, il nuovo atteso film di Paolo Virzì a distanza di quattro anni dal suo ultimo lavoro come regista (Notti Magiche – 2018). Eppure qualche sorso non basta per deglutire lo stesso Ovo Sodo che ha lanciato lo sceneggiatore e regista romano nell’olimpo dei grandi autori del nostro paese ed erede della commedia all’italiana.

Certo i protagonisti di Siccità non fanno altro che bere e cercare acqua, individuata come bene più prezioso visto che in città non piove da ben tre anni. Alle cene gli amici si regalano casse d’acqua come bene di lusso, gran lunga più prezioso del vino francese. Il Tevere è completamente prosciugato, vengono alla luce persino nuovi tesori di epoca romana, ma è l’animo umano ad essere realmente inaridito ed è così che conosciamo i personaggi di questo affresco grottesco e così veritiero che abitano le nostre case, i nostri uffici e istituzioni.

LA REALTA’ DEL WATER GRABBING E IL FILM DI VIRZI’

367 giorni crisi idrica a Roma, meno dodici giorni alla chiusura delle condutture d’acqua. In questo clima, il film si apre necessariamente con gli scontri in piazza, prodromo di una possibile “water war” come la guerra dell’acqua che negli ultimi decenni ha già investito nella realtà vari paesi tra cui la Bolivia del 2000.

Nel 1999 infatti, la gestione del servizio idrico della terza città boliviana passa dal pubblico ad una società privata internazionale. Il triplicato costo dell’acqua spinge gli abitanti a manifestare. A seguito a feroci scontri nelle piazze,  il Governo revoca la legislazione sulla privatizzazione dell’acqua, anche se le battaglie legali avranno un lungo epilogo.

Questo tema reale e di attualità, da cui prende spunto anche Paolo Virzì in Siccità, è il cosiddetto water grabbing, ovvero “accaparramento dell’acqua”. Si tratta di tutte quelle situazioni in cui un governo, un gruppo organizzato o più spesso una corporation, prende il controllo o devia a proprio vantaggio risorse idriche, sottraendole quindi alle comunità locali. Tutto questo innesca ancora oggi le Water Wars, le guerre per l’acqua, in tutto il pianeta.

La Roma di Siccità non fa eccezione, dove una azienda idrica privata, nell’indifferenza o connivenza delle istituzioni, giura, mentendo, di non utilizzare neanche una goccia d’acqua pubblica per riempire le piscine delle lussuose ville dei VIP e la polizia allontana le folle dalle fontane pubbliche. Ma se vi aspettate un film apocalittico e di impegno civico uscirete delusi dalla sala.

Secondo lo stesso regista Virzì, lanciare messaggi attraverso i film è sbagliato. La missione di chi racconta è semplicemente raccontare. Nei 124 minuti di film, si racconta allora l’umanità alle prese con la finzione e contemporaneamente la verità dell’animo umano che eventi catastrofici aiutano solo a mettere in luce.

GRANDI PROTAGONISTI, UNA GRANDE STORIA

Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Elena Lietti, Tommaso Ragno e la stessa Claudia Pandolfi più volte scelta da Virzì nei suoi film, interpretano rispettivamente un detenuto che proprio non voleva uscire di prigione, un autista alle prese con un matrimonio finito e una figlia adolescente, una madre lavoratrice che non riesce a capire il figlio e che mal sopporta il marito, un attore di teatro in disgrazia ossessionato dalla propria immagine sui social e una dottoressa senza più passioni con un compagno che la tradisce. E poi ancora una giovane musicista, un artigiano caduto in disgrazia, oppresso dai debiti (Max Tortora), insomma tante storie in questo film del regista premiato nel 2017 con il David nella categoria Miglior regia per il film La Pazza Gioia .

Le loro storie finiranno certo inevitabilmente per intrecciarsi, ma non è questo l’aspetto rilevante. Sono tutti personaggi fortemente tridimensionali. Li possiamo vedere e quasi ri-cononoscere nei nostri vicini di casa o persino in noi stessi spettatori in sala, aridi, bugiardi, molesti, egocentrici.

FILM ALLUVIONALE

Scritto durante la pandemia, Siccità è anche un film che fotografa il momento storico, pandemico e di crisi climatica che stiamo ancora attraversando. E’ un film alluvionale, come ha detto l’attore Silvio Orlando. Secondo l’attore napoletano infatti, il film si intitola Siccità, ma è in grado di sedimentare qualcosa nello spettatore, come fa il fiume Nilo quando trasporta i sedimenti durante la deposizione.

Sono i personaggi a trasportare quei semi, anche se l’impressione usciti dalla sala è quella di non sapere dove esattamente sono andati a depositarsi, su quale sponda, che fine hanno fatto, mentre quel che resta allo spettatore e certamente la sete e ancora sete.


Non mi preoccupa il cambiamento climatico. – recita Monica Bellucci nel film, nel ruolo di un’attrice famosa. – Mi preoccupa cosa diventeremo”.

-Nel prossimo futuro avremo acqua ovunque a causa delle inondazioni (…)
-L’acqua arriverà fino a qui?
-A che piano siamo?
-Al sesto.
-Allora no, tranquilla.