Storie di luoghi e di amori profani, in nome dell’omissione

Quando avevo un anno è uscita una canzone di Lucio Battisti "Pensieri e Parole" che ha spesso messo in difficoltà il giovane me e che invece oggi ascolto come antidoto alla decadenza contemporanea


INTERAZIONI: 28

In pensieri, parole, opere e omissioni.

Dio quanta banalità in un incipit.

No, Dio non lo posso nominare, lasciamolo da parte.

Ricomincio.

In pensieri, parole, opere e omissioni.

Ecco, la prima volta che ho sentito nominare la parola omissioni è stato negli anni Settanta, decennio che forse più di ogni altro vedrà la presenza di omissis nel suo racconto. Come spesso capitava allora, sono nato nel 1969, negli anni Settanta ero un bambino, il sentire una parola, anche l’impararla, non comportava necessariamente il comprenderla. Mi capitava con i testi delle canzoni dei dischi, allora erano proprio dischi, quelli neri in vinile, che mio fratello Marco ascoltava sullo stereo di famiglia, posto dentro una teca in sala, ne conoscevo le parole a memoria, ma io non capivo l’inglese. Through the whispered promises and the changing light of the bed we both lie, late for the sky.

Lo stesso capitava per buona parte delle parole che ripetevo, lo facevano tutti, durante la messa, sia quelle destinate a noi fedeli, sia quelle che recitava solennemente il prete, che nel nostro caso era quasi sempre un frate, frequentavamo la parrocchia di San Francesco alle Scale.

In pensieri, parole, opere e omissioni, credo di dire l’ovvio, era parte del Confesso, una delle prime preghiere che si recitavano collettivamente nella liturgia della messa. Qualcosa di anomalo, ai miei occhi di bambino, perché si faceva in pubblico qualcosa che, altrimenti, si sarebbe poi fatto in privato, addirittura nascosti dentro una specie di scatola di legno divisa da una grata attraverso i cui fori era quasi impossibile riconoscere il volto di chi ti stava per confessare, questo lo avrei scoperto solo dopo, sul finire di quel decennio. Si procedeva, invece, nel confesso, a rendere pubbliche le proprie vergogne, i propri peccati, i propri fallimenti, contravvenendo a quel che si diceva abitualmente, il non lavare in piazza le proprie colpe, seguendo quello che era un modo di dire popolare, e la voce del popolo, si aggiungeva a volte, era la voce di Dio. L’ordine di quelle quattro parole, asimmetriche, irregolari, ancora non lo sapevo, ma quando si vuole infilare una sequenza di esempi se ne fanno sempre tre, al limite il quarto serve per rovesciarne le istanze, era anch’essa singolare. Pensieri, anche solo il pensare qualcosa di sbagliato era peccato, ci dicevano, non desiderare la donna d’altri, nessuno ai tempi parlava di patriarcato dando comunque a quella parola, patriarca, un peso negativo. Parole, dire qualcosa di sbagliato era un peccato grave, al punto che la sequenza da mandare a memoria dei comandamenti quasi partiva da lì, dopo il categorico Non avrai altro Dio all’infuori di me, ecco che arrivava il Non nominare il nome di Dio invano. Opere, intese non come frutto del talento artistico, della creatività, dischi, quelli che imparavo a memoria senza neanche sapere di cosa parlassero, scomponendo nella mia testa le singole parti strumentali, come nella scena del Requiem dell’Amadeus di Milos Forman, che però ai tempi non era ancora stato girato, quando il morente Mozart detta a Salieri, nessuno lo aveva mai sentito nominare fino a che Forman non lo ha elevato a villain del genio austriaco, dettava sul punto di morte le singole tracce della partitura al collega, Forman, geniale, che ce le fa sentire mentre si affastellano fino a creare il capolavoro. Opere intesi come azioni, perché se è il pensiero e la parola da cui si parte, questo lo avrei capito solo in seguito, l’azione non è certo da meno. Anche perché, sempre quella faccenda della voce del popolo, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, quindi ok caricare le parole di un loro peso specifico, ci campo di parole, ma le azioni, Dio santo, le azioni non possono certo mancare all’appello. Al punto che anche il non compierle, questo il punto, sta lì. Il non fare. Il non agire. Il non prendere una posizione. Il non esprimersi. Il non dire. Omissione, omertà, questa parola, ne sono certo, non l’avevo ancora sentita allora, non se ne parlava, come a darle un senso.

Quando avevo un anno, nel 1970, è uscita una canzone che negli anni successivi avrebbe spesso messo in difficoltà il giovane me, vestito di bianco a fare il chierichetto, nel momento del Confesso a Dio Padre Onnipotente. Una canzone cantata da Lucio Battisti, uno dei cantanti più famosi di quei tempi, strana già allora. Iniziava infatti con la sola voce, carica di effetti, lì a chiedere a una qualche interlocutrice, che fosse una lei era sottinteso, non eravamo ancora in epoca liquida, che ne sapesse di un bambino che rubava, di un mondo tutto chiuso in una via e di una certa ferrovia, più avanti avrebbe anche tirato in ballo un campo di grano e un amore profano. La canzone si intitolava, si intitola ancora, Pensieri e parole, la metà razionale di quell’elenco asimmetrico, e il fatto che nel resto della canzone, anche oggi bellissima, Dio fosse tirato per la giacchetta due volte, come oggetto del suo credere, di Battisti, e come invocazione nel chiedere la forza, era un ulteriore cruccio, non era forse il nominare invano Dio il citarlo in una canzone che passava dentro la radio o nella televisione? Certo, mettere in rima uomo e perdono poteva indicare una via d’uscita, ma questo era davvero troppo per un bambino che più che altro giocava, non necessariamente nel buio.

Oggi ho cinquantatré anni, abito in un palazzo che sta in una via molto legata al lato oscuro di quegli anni, i Settanta, dalle mie finestre il palazzo per cui questa via è famosa e vedo lì dove un tempo si trovava il campo di grano cantato da Battisti, vedo in lontananza quella ferrovia, i miei figli passano le giornate vicino a quel cinema, non più così di periferia. Mi capita di ascoltarla, come antidoto alla decadenza contemporanea, ma finisco sempre per fare le seconde voci, attitudine minoritaria che mi accompagna sin da piccolo, quando durante il Confesso a Dio Padre Onnipotente mi partiva nella mente la storia di una prima volta clandestina in un campo di grano, pensieri profani fatti in buona fede.