Californie, una ragazza cresce davanti alla macchina da presa (recensione)

Mischia realtà e fiction il film ora in sala Californie di Cassigoli e Kauffman. In questo riuscito esperimento neorealista gli spettatori restano ipnotizzati dalla giovane protagonista di una trama di formazione ambientata al sud


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C’è poco sole a sud della Californie di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman. Torre Annunziata, comune della città metropolitana di Napoli, Jamila (Khadija Jaafari) ha poco più di dieci anni,  si è trasferita qui con la famiglia da più della metà della sua vita e ora neanche se lo ricorda più il Marocco. Ama parimenti il Cous cous, la pizza, la Sprite. Il kinder bueno sopra ogni altra cosa.

Del sole di Napoli non vi è traccia perché i pensieri di Jamila sono nebulosi e più la vediamo crescere nel film, più questi pensieri avvolgono tutto ciò che la circonda. Il lungometraggio è stato girato infatti nell’arco di ben cinque anni, così i desideri della protagonista cambiano come è normale a quell’età. I sogni di Jamila certo sono un po’ diversi da quelli di alcuni suoi coetanei, eppur tutti si somigliano, cercando il proprio posto nel mondo.

Jamila non si sente pienamente accettata dalle compagne di scuola e costruisce un muro dentro e fuori di sé. “In questo momento tu non sei importante” le dice il maestro di Boxe e allora cosa lo è? “Andare via, in Marocco, dove mi capiscono” sembra pensare Jamila che ormai di anni ne ha dodici. Comincia a saltare la scuola, a lavorare come parrucchiera, come ancora lavorano troppi bambini in Italia. Racimola segretamente i soldi per il biglietto di un aereo che scopre di non poter prendere senza autorizzazione dei genitori.

Le frustrazioni si alternano in questo racconto di formazione. Ogni obiettivo sembra proprio lì davanti, eppure sfugge. Ad esempio Scappare in Marocco a dodici anni non le è possibile, il trasferimento in quella stessa terra paterna, solo due anni dopo, è tutto ciò che proprio non vuole, l’appuntamento con l’amore giovanile è impedito dal lavoro minorile e sottopagato che porta avanti. Una via di uscita però esiste, deve.  “C’è una crepa in ogni cosa, ma è proprio da lì che arriva la luce” le dice un influencer direttamente sul telefonino e Jamila la cerca quella luce nella crepa e noi con lei per tutta la durata del film.

La giovane protagonista adultizzata di Californie buca lo schermo, come dicono quelli bravi. I registi Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman l’hanno incontrata durante le riprese del docufilm Butterfly, che racconta la storia della campionessa Irma Testa, prima donna pugile italiana a partecipare ai giochi olimpici, medaglia di bronzo ai Giochi di Tokyo 2020. Khadija Jaafari che interpreta Jamila in quegli anni era infatti una bambina che si allenava nella stessa palestra della campionessa e sognava di diventare un giorno come Irma Testa.

Gli autori hanno deciso di costruire allora un film nell’arco di cinque anni, che riprende la tradizione del cinema del reale, ma al tempo stesso la trasforma in quest’opera a cavallo tra documentario e fiction. Tanti i primi piani che dedicano alla giovane e ai suoi pensieri nella costruzione di una storia talmente credibile che non aggiunge ulteriori elementi allo sviluppo della trama al fine di confondere e immergere ancor di più lo spettatore nel limbo tra fiction e docufilm.

Gli anni di Jamila che vediamo passare velocemente davanti al grande schermo, non sono come dovrebbero essere. Come l’insegna del centro estetico dove doveva lampeggiare la scritta “California” e che per errore diventa “Californie”. E allora sul litorale Marconi di Torre Annunziata, con Jamila in acqua e un palazzone sullo sfondo, a guardar bene non vediamo le lunghe spiagge della California, bensì quelle della Californie. “Californie Dreamin’”.