Ucraina, o della rimozione dell’orrore

La guerra cancella la modernità che si stende nel futuro, scaglia di colpo a secoli addietro e riduce gli uomini alla loro preistoria di esseri feroci e generosi, spietati oppure umili fino al sacrificio

KYIV, UKRAINE - Feb. 25, 2022: War of Russia against Ukraine. A residential building damaged by an enemy aircraft in the Ukrainian capital Kyiv


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Sbatti contro le immagini della devastazione in Ucraina e di colpo il mondo non c’è più. Dico il mondo come lo conosciamo, quello dove siamo cresciuti, invecchiati. Non c’è più, non lo ritrovi più. Sprofondi in un immaginario reale, troppo reale di vecchi che arrancano, di bastoni di legno, passaggi improvvisati precari tremolanti, allagamenti e macerie, pareti sfondate, rottami sparpagliati, distruzioni fumanti, umani che si aggirano dispersi, si perdono, con occhi non più umani, troppo umani, occhi che piangono, che pregano, che imprecano, che urlano tra i cascami di una esplosione, biciclette rotte, catorci, resti di elettrodomestici, la quotidianità sventrata prima di essere cancellata, roghi, fuochi ancestrali per scaldarsi, per cucinarsi sotto un ponte o quel che resta di un ponte. E poi le marce, lugubri, spettrali, memori di altre marce, esodi, processioni di fantasmi in fila sotto la neve, valigie di cartone e scarpe vecchie, foulard su teste bianche, passi pesanti e lenti, passi drogati, disperazione spartita, morire per sopravvivere.

Non c’è più, non esiste più il mondo delle macchine e dei viaggi, delle connessioni miracolose, delle chiacchiere istantanee a migliaia di chilometri di distanza, delle fotografie e dei pianerottoli social, delle automobili prodigiose spaventose che vanno da sole, teleguidate da misteriosi collegamenti in un sibilo di silenzio elettronico, non ci sono più le navicelle per la luna o per andare a stanare i marziani, i giocattoli che possono tutti, che ci spiano e ci mentono e ci distraggono e ci distruggono e intossicano ma anche informano, sformano, trasformano, divertono, sorprendono e alienano. Non c’è più traccia dei commerci che partono da un microscopico schermo, un rapido sfiorar di polpastrelli e in poche ore eccoti a casa il vestito, il libro o un altro marchingegno per comperare, per ricevere, per drogarsi. Basta con le tavolette dove puoi leggere e scrivere e disegnare a colori con l’inchiostro elettronico di penne come bacchette magiche. Niente più feticci, sortilegi e stregonerie. Si torna alla concretezza dello stento e della paura, alla fame atavica, all’animale arrostito per strada, lungo il cammino, alle tane per eludere le bombe che piovono, si torna alle cose antiche, che si toccano, che si fanno, una profuga consegna a un inviato una lettera di carta, scritta a mano, con calligrafia contadina, pregandolo di recarla alle Nazioni Unite: il giornalista non ha cuore di non illuderla, la prende, risponde che lo farà.

La guerra cancella la modernità che si stende nel futuro, scaglia di colpo a secoli addietro e riduce gli uomini alla loro preistoria di esseri feroci e generosi, spietati oppure umili fino al sacrificio; cancella anche la loro anima, se un precipizio di ordigni centra un ospedale pediatrico subito c’è chi si affanna a smentire, a mentire, “tutta una falsità, tutta una bugia”, e invece l’unica bugia è quella della coscienza che si nasconde. Finché non tocca a loro. Ma se tutto è menzogna, come si spiega che certe menzogne sono più uguali? È così facile ribaltare la realtà, l’invasore diventa vittima, gli invasi provocatori, perché non si arrendono? Perché resistono? Ed è sempre colpa di qualcuno che c’era prima, dei trattati, degli organismi, dell’Occidente dal quale però nessuno vuole allontanarsi e tutti vogliono raggiungerlo. Funziona il gioco del risalire la storia, ma fino a un certo punto: certo, la famigerata Nato, per dire l’America, ha le sue colpe, spesso criminali, ha regimi costruiti per tutto il mondo, come quello del dittatore zairese Mobutu che, ogni tanto, pigliava cento, duecento criminali a caso e li macellava, poi lasciava liberi gli altri, che uscissero, che riferissero cosa succedeva a chi sgarrava. E Kinshasa, capitale del Paese più feroce al mondo, diventava la metropoli più sicura sulla terra. Mobutu Sese Seko Kuku Ngendu Wa Zabanga, che è stato tradotto come “Il guerriero onnipotente che passa di vittoria in vittoria in una scia di luce senza che nessuno possa fermarlo”, ma in lingala il significato è più carnale, “Il gallo che non risparmia nessuna gallina”. Di Mobutu l’America ne ha fabbricati tanti, ma la Cina, la Russia hanno fatto di meno? Pietro il Grande non fondò il concetto di allargamento imperiale? Oggi Putin non lo recepisce in pieno? Per dire che la Storia, se la risali fino ad Abramo, non lascia innocenti. Ma basta questo a cavarsela, basta il fatalismo intellettuale di chi manipola o amputa la Storia per scrollarsi di dosso l’orrore di una guerra europea, forse mondiale? La militanza, l’ideologia, l’impulso dell’odio cancella la pietas, risolve i sensi di colpa di chi, con la pancia piena e il culo al caldo, non si sa ancora per quanto, dirotta la colpa sugli altri perché un atteggiamento, una ideologia, una militanza, una rabbia meschina contro se stessi valgono più della dignità. E non capisce, non calcola che le due dittature, quella cinese e quella russa, contano proprio su un Occidente che, per quante magagne possa avere, si eccita nella pratica della flagellazione e lascia campo libero. C’è chi ipotizza una scomparsa del Vecchio Mondo nel giro di pochi decenni: ossessioni, forse, certo però che le aggressioni arrivano da tutte le parti, con invasioni, ricatti energetici, campagne orchestrate sulla colpevolizzazione, criminalizzazione e ripudio dei retaggi culturali e artistici, virus misteriosi, politiche sanitarie autoritarie, invasioni organizzate di clandestini, colonialismo commerciale, già adesso l’Italia è acquisita al 90% da intraprese russe, cinesi, legate agli Emirati. Su tutto, come una smania autodistruttiva: della sublime espressione artistica, della sofisticata elaborazione religiosa che ha impregnato, in male e in bene, il pensiero europeo, della infinita speculazione che ha portato alla grande filosofia, alla politica dei diritti e della libertà non deve restare niente, solo vergogna. E questa voglia di pensarsi, di mettersi in discussione sembra giunta al capolinea, a un binario morto fatto di rigetto e di rinnegamento collettivo.

Ne deriva come un cinismo demente, inedito, inspiegabile: “Muoiono bambini? Crollano città? Beh, così è la guerra, che ci volete fare”. E non servono le immagini delle fosse comuni, dei crateri e delle macerie: ma sì, tutte fake news, e allora le altre guerre? Hanno cominciato con la pulizia etnica degli inviati, finora 5 morti e 35 feriti, alcuni mutilati, ma è una festa, come quel gioco del luna-park dove abbatti l’orso. Mi ha scritto uno su Twitter: “Siete tutti giornalai, ben vi sta”. Giornalai, come il comico Beppe Grillo ha insegnato alle masse a chiamarli. La regressione alla brutalità non risparmia nessuno, chi ci sta in mezzo e chi osserva al sicuro. Nel 2022 delle connessioni fulminee, del 5G, della realtà virtuale una guerra europea, primordiale, insensata. Un’altra. Una guerra anacronistica che dirotta tutto fuori dal tempo. Nata per morire, ma le sue rovine restano, seppelliscono gli uomini e durano.