Dopo tre anni torna Ruggeri, ora possiamo ripartire

Rouge torna a pubblicare un album di inediti, undici canzoni, accompagnate sul mercato dal lancio di un nuovo singolo, la punkeggiante La Fine del Mondo

MILANO, ITALIA - JULY 9 : Enrico Ruggeri attends RAI's press conference of program schedules for the television season 2019/2020 on July 9, 2019 in Milan, Italy.


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Adesso, forse, potremmo davvero parlare di ripartenza. Non di ritorno alla normalità, perché quello che abbiamo vissuto negli ultimi due anni e anche questi stessi giorni tutto sono fuorché normali, il fatto che io abbia adottato questo come incipit in qualche modo prova a attestarlo, ma di ripartenza sì. Perché sta per tornare Enrico Ruggeri. Non che se ne sia mai andato, non lo ha fatto musicalmente, tirando fuori sporadicamente qualche canzone, poche certo, ma ovviamente meglio che niente, penso a L’America (canzone per Chico), penso a La Rivoluzione, che di questo ritorno è stata in qualche modo apripista, penso alla recentissima Parte di me, tirata fuori in versione video come regalo per i fan, a digiuno in effetti da troppo tempo, non lo è sicuramente stato sui social, nei quali ha avuto modo di continuare a comunicare il suo pensiero, spesso andando controcorrente, lui che è stato punk prima di noi, e, va detto, molto spesso dando anche adito a vere e proprie polemiche, vuoi perché ultimamente avere un pensiero proprio è diventato quasi inaccettabile (o inaccettato, fate voi), vuoi perché il suo essere iconoclasta lo ha sempre portato a dire parole scomode, pure con la consapevolezza che in Italia dire la propria, se la propria non coincide col pensiero unico è sempre un rischio, a volte quasi un rischio mortale.

Ma oggi, dopo tre anni dall’uscita di Alma, suo ultimo lavoro di studio, ecco che Rouge torna a pubblicare un album di inediti, undici canzoni, accompagnate sul mercato dal lancio di un nuovo singolo, la punkeggiante La fine del mondo. Un album, questo cui il nostro ha lavorato per tre anni, prima volta in una carriera quarantennale che così tanto tempo passasse tra una pubblicazione e l’altra, con una squadra di lavoro, la sua band, che col tempo è diventata sempre più compatta, con una personalità che trapela perfettamente dal sound rock, con aperture che sfociano quasi nel prog, penso a certi passaggi di batteria, spesso anche new wave, la presenza del basso pulsante a caratterizzare i brani più veloci. Un album che, forse anche in virtù del tanto tempo passato in studio coi ragazzi, sicuramente in virtù dell’aver applicato radicalmente il decalogo presentato sui social proprio in queste ultime ore, una sorta di Dogma 93 del rock, dal non usare sequenze all’incidere sempre qualcosa che sia perfettamente replicabile dal vivo, con passaggi simpatici quali il cantare senza leggere il testo in studio, covo la speranza che l’idea di ispirarsi al Dogma 93, almeno nello stilare il manifesto più che allo stilare questo preciso manifesto, in effetti da sempre adottato, sia nato dalla lettura di questo mio pezzo di qualche tempo fa,

suona davvero bene, come ai vecchi tempi, come forse è sempre successo, sfido io a trovare album che suonassero male. Undici canzoni perfettamente infilate in scaletta, una alternanza di lenti e mossi, con picchi verso l’alto in brani quali la già citata La Rivoluzione, di questa ho già scritto qui,

la strepitosa Non sparare sul cantante, sorta di brano alla Wall of Voodoo con un testo che andrebbe fatto recitare a memoria a tanti ignavi che animano il nostro ambiente, passando per il riuscito connubio con Francesco Bianconi, conosciuto a Musicultura, pefettamente a suo agio nella ruggerianissima Che ne sarà di noi, o La mia libertà, ma davvero è difficile operare scelte, in tal senso. Un lavoro che ci mostra un Enrico Ruggeri in splendida forma, sono di parte ma sono di parte perché mi piace vincere facile, le parole dei testi tutte scelte con la cura che tutti gli riconoscono, meno provocazioni e più riflessioni anche amare di quante i malpensanti avranno previsto, se La Rivoluzione non aveva nulla a che spartire con le aspettative malriposte di chi si immaginava chissà che inno alla ribellione contro chissà quale dittatura sanitaria, parlo ovviamente di chi ha erroneamente confuso le idee precise di Ruggeri con il vociare confuso dei no vax, santo Dio avere idee proprie non implica essere parte di un altro coro, La fine del mondo non parla certo di apocalisse, si tratti di pandemie o di guerre, e Deo gratias che a Rouge sia passata l’idea di una copertina del disco che lo voleva ritratto come nell’iconografia sovietica di quando ancora esisteva l’URSS, giocando su certe sue somiglianze con Lenin, sai il casino che sarebbe scoppiato oggi, molto meglio la foto di quando andava al Berchet, vederlo nella tipica posa che ci siamo abituati a vedere mentre è sul palco, solo con quasi cinquant’anni di meno è una vera chicca. Insomma, un ritorno atteso, il suo, assolutamente a fuoco, undici canzoni una meglio dell’altra, la verve dei tempi d’oro, la poesia dei momenti più ispirati, un ritorno cui veramente dovremmo guardare come un momento di ripartenza, perché se in questi anni si è fermato anche un macinatore come lui, beh, vuole dire che sono stati davvero anni di immobilismo, e saperlo di nuovo on the road, prima con l’album e subito dopo con dei live, live nei quali immagino gli sentiremo cantare anche le nuove canoni, non può che essere una bella notizia. La è sicuramente per me, che amo la sua musica, che apprezzo il suo andare costantemente controcorrente, per la sua strada, che spesso è anche la mia, benché nell’immaginario io e lui dovremmo essere decisamente ascrivibili a faziose differenti. Il fatto è che Rouge è stato punk prima di me, certo, e sicuramente prima di voi, ma lo sono stato anche io, punk prima di voi, e se non lo sono stato, se anche non lo fosse stato lui, è evidente che lo siamo ora, noi a andare per la nostra strada, i cori e i belati non ci hanno mai preso più di tanto. 

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