Sanremo 2022, quarta serata: le pagelle di Michele Monina

I migliori: Gianni Truppi e La Rappresentante di Lista. I peggiori: Emma, Tananai, Ana Mena e Rkomi


INTERAZIONI: 352

AMADEUS 4

Quando facevo le scuole medie c’era un mio compagno di classe che era vagamente maltrattato da alcuni bulletti della scuola. Niente di particolarmente violento, all’epoca il bullismo era più tollerato, o semplicemente ci adeguavamo a quello che era considerato normale, lo sfottevano perché era oggettivamente un po’ sfigato, lo mettevano in situazioni di imbarazzo con le nostre compagne di classe, aveva soprannomi buffi che ripetevano talmente tanto da essere diventati di dominio pubblico. Io, che non sono mai stato un bullo, anche perché il fisico non me lo avrebbe permesso, mi limitavo a fare l’ignavo, a mia volta abbastanza preso per il culo dai medesimi, non so che ci fosse da ridere, ma mi chiamavano Monelli invece che Monina, dando al principio “vivi e lascia vivere” un che di assoluto, anche laddove forse avrei dovuto solidarizzare con il compagno bullizzato. Non ci avevo mai pensato, a questa faccenda del solidarizzare, fin quando un giorno, un paio di anni dopo la fine delle medie, io e altri amici, un paio ex compagni di classe di quel periodo, non ci siamo trovati davanti una specie di mix tra Hulk Hogan, era il periodo in cui il wrestling arrivava in Italia, e il nostro compagno bullizzato. Nel senso che il fisico era da wrestler, braccia enormi, spalle larghe, pettorali impressionanti, e la faccia era sempre quella da sfigato del nostro compagno. Che i pettorali fossero impressionanti e le braccia enormi non l’ho supposto, perché, con fare vagamente enfatico, il tipo si è strappato, letteralmente, una camicia di dosso, restando a torso nudo, così, nel corso principale della mia città. Il motivo di questo colpo di teatro, lo abbiamo scoperto nei secondi successivi, la sua precisa volontà di picchiarci a sangue, rei, questo lo abbiamo scoperto da quel che ci ha urlato un attimo prima di provare a colpirci, di non aver mai preso le sue difese. Il fatto che lui fosse gigantesco, aveva passato i due anni precedenti a fare quello che all’epoca si chiamava culturismo, forse anche ora, non ho mai fraternizzato con le palestre, non saprei, non implicava, ovviamente, che fosse anche atletico, infatti, molto meno muscolosi di lui, io e i miei amici gli abbiamo fatto vedere quanto la paura fosse benzina per le nostre gambe, scappando a velocità disumane.

Ecco, vedendo quello che Amadeus sta facendo con queste serate estenuanti, lunghissime, inutilmente lunghissime, con un cast di venticinque artisti, metà dei quali da buttare nel cesso e tirare lo sciacquone, ho come l’impressione che da ragazzino Amedeo, questo il suo nome all’anagrafe, abbia vissuto una situazione analoga al mio compagno di classe, e che invece che andare in palestra e provare a picchiare i suoi ex compagni se la stia ora prendendo con tutti quanti.

Detto questo, aver lasciato che la gara andasse a puttane chiamando Jovanotti, autore del brano di Morandi, in ascesa in classifica, e con lui a duettare proprio stasera, è qualcosa di assoluto, l’autodistruzione fatta persona.

MARIA CHIARA GIANNETTA 7,5

La sera di martedì, quando si è trattato di vedere il Festival, come l’anno scorso da casa, in tv, ho realizzato che non ho più i canali Rai a disposizione. L’ho realizzato semplicemente accendendo la tv e non trovandoli sul digitale terrestre. Magari è una questione di riprogrammazione. O forse hanno già cominciato a cambiare frequenze (o come si chiama) e la mia tv non prende più il segnale. Del resto, credo che l’ultima volta che ho guardato qualcosa su un canale Rai risalga alla scorsa primavera, credo Il cantante mascherato, e solo perché c’erano in gara un paio di miei amici, Mietta e Red Canzian. No, forse ho visto le partite degli Europei, non ricordo se le davano sulla RAI o dove. Nei fatti non seguo mai nulla che accada sul servizio pubblico, per cui ho constatato che non avevo quei canali a disposizione. Non mi sono lasciato scoraggiare e ho acceso RaiPlay, andando a seguire il programma lì, con giusto un minuto di delay rispetto la televisione. Questo per dire che non seguo nessun programma Rai, neanche le fiction. Non sarei quindi tenuto a sapere chi sia Maria Chiara Giannetta, perché non ho mai visto Don Matteo, e perché non avrei dovuto vedere la serie di cui è stata recentemente protagonista, Blanca. Invece, per quelle logiche che mi sfuggono, Blanca è finita subito su Netflix, e sebbene io rifugga tutte le serie italiane, non reggono mai il confronto con quelle americane, è un fatto, me la sono vista e mi è anche molto piaciuta. Adoro Maria Chiara Giannetta e avevo quindi grandissime aspettative su di lei al Festival. Aspettative ben riposte. Spigliata, competente, gran ritmo e bel carisma, mai retorica, anche quando si lancia in discorsi seri. Peccato per la gag coi pezzi dei testi delle canzoni, roba da recita dell’oratorio, ma li la colpa è degli autori e di chi ce li ha messi. Brava sul palco, come quando ha girato Blanca. Pure parecchio bella. Evviva.

NOEMI – (YOU MAKE ME FEEL LIKE) A NATURAL WOMAN 7
Noemi ha portato in gara una canzone difficile, molto mahmoodiana, e la sta portando a casa decisamente in crescendo. Nella serata delle cover opta quindi per rimanere nella sua comfort zone, andando sì a interpretare una canzone difficile, ma che fa già parte del suo repertorio. Inizia al piano e si capisce subito che sarà pura bellezza. Ineccepibile.

GIOVANNI TRUPPI, VINICIO CAPOSSELA E MAURO PAGANI – NELLA MIA ORA DI LIBERTÀ 9,5

A Giovanni Truppi, cantautore eccezionale che ha portato sul palco della settantaduesima edizione del Festival la canzone con più alto spessore artistico, va riconosciuto un secondo grande merito, quello di aver convinto a calcare il medesimo palco a un altro artista eccezionale, che da queste parti si è visto spesso a incamerare Premi Tenco, Vinincio Capossela. I due, in ottima compagnia di un maestro come Mauro Pagani all’armonica a bocca, hanno dato vita a una coerentissima versione di Nella mia ora di libertà, brano dall’alto tasso sociale di Fabrizio De Andrè tratto dal suo album Storia di un impiegato, anche qui, una scelta originale, lontanissima dallo strizzamento d’occhi e la ruffianeria di spiattellare al pubblico sanremese quei brani che tutti conoscono e possono canticchiare. Il risultato è stato un piccolo spaccato di vera arte, talento che si transustanzia, andando a farsi carne e voce, che è poi quello che chiunque decida di cantare dovrebbe sempre provare a fare. Valore aggiunto il pianoforte cui Truppi ha segato i lati per creare nuovi suoni inediti e la canotta rossa con un cuore rossonero, simbolo degli anarchici. Si può fare cultura e politica, anche a Sanremo. Tutto bello anche da vedere. Capolavoro della serata.

YUMAN CON RITA MARCOTULLI – MY WAY  5

Già risulti abbastanza anonimo, e senza star qui a fare Checco Zalone, anche io potrei dire che la mia firma è associata a un personaggio, quello cattivo, quello ostile, il tasso del miele, ma lungi da me farlo qui, risultare anonimo essendo comunque palesemente il solo concorrente in gara col colore della pelle scura è cosa difficile, siamo pur sempre il paese che ha attaccato la Cesarini perché chiamata a cocondurre il Festival nonostante non fosse esattamente dentro i nostri stereotipi, già risultai abbastanza anonimo, dicevo, ma se chiami per duettare con te una pianista jazz, bravissima ma sconosciuta al pubblico generalista, dubito che gli appassionati del genere seguano il Festival, invece che un volto noto, che so, un trapper o una cantante tipo Ana Mena, ecco, vuol dire che te la stai proprio andando a cercare l’ultima posizione in classifica. Poi My Way la canti pure bene, seppur la canzone è decisamente più grande di te e fatichi a tirare fuori la canna che il brano richiederebbe, timido dove dovresti essere spavaldo, come canti bene anche il tuo brano, è che ti poni proprio male. Forse non è Sanremo e il Festival il luogo dove portare la tua musica. 

LE VIBRAZIONI CON SOPHIE AND THE GIANTS E BEPPE VESSICCHIO – LIVE AND LET DIE 5

La canzone di Paul McCartney, composta per l’omonimo episodio della saga dedicata a 007 era qualcosa di delizioso. La versione fine anni Ottanta dei Guns ‘N Roses, a suo modo, teneva testa all’originale, impresa non facile, se è Paul McCartney colui con cui ci si va a confrontare. Andare quindi a confrontarsi con due versioni a loro modo iconiche poteva risultare un suicidio, anche se la presenza figa di Sophie and the Giants lasciava ben sperare, voce pazzesca e grande carisma (su Vessicchio non mi esprimo, felice perché sia guarito, ma onestamente non mi sembrava una grande ospitata). Il risultato è qualcosa che non è un suicidio, ma ci si avvicina abbastanza, legnosa e didascalica, nessuna morte ma danni permanenti e irreversibili sì.

SANGIOVANNI E FIORELLA MANNOIA – A MUSO DURO 3

Questa è la perfetta cristallizzazione di quanto da anni sta facendo il Club Tenco, da cui la Mannoia è stata più volte premiata e ospitata. Prendere la storia della nostra musica leggera d’autore, Bertoli ne è un rappresentante mai abbastanza celebrato, e farla fare a pezzi da giovani artisti incapaci di capire cosa stiano maneggiando, con la benedizione di chi, come un vampiro, cerca sangue giovane per mantenersi in vita, poco conta che, proprio come i vampiri, finisca poi per commettere aberrazioni inenarrabile. Non so se sia peggio lui che gigioneggia in stile karaoke su una ferita tagliente come questa, o la Mannoia a recitare se stessa nell’ennesima replica e in chiaro dismorfismo artistico. Da class action contro il Festival.

PS
Quello che ha cantato per tutta l’estate Malibu che canta che non vuole fare il fesso nei concerti, dai, su, facciamo i bravi.

EMMA E FRANCESCA MICHIELIN – BABY ONE MORE TIME 2

Dopo averla vista danzare come un canguro neonato, malferma e goffa, ecco che finalmente Francesca Michielin lascia i panni indegnamente vestiti di direttore d’orchestra e indossa quelli a lei più consoni di cantante. L’occasione è la serata dei duetti, il luogo Baby One More Time di Britney Spears. Il risultato è quella che Fantozzi avrebbe definito una cagata pazzesca, con questa partenza orchestrale, lenta, un Francesco Bianconi che non ce l’ha fatta, un Postmodern Jukebox fuori tempo massimo, ripeto, una cagata, con Emma che ci ricorda, non fosse bastata la sua esperienza a Eurovision anni fa, che l’inglese non è esattamente la sua lingua madre, roba da “schock, because” o da “the cat is on the table”, e la Michielin che invece dimostra che sta al pop quanto Emma sta all’eleganza (anche se rispetto a Emma sembra Beyoncè, va detto). Orribili. Coerenti.

GIANNI MORANDI, JOVANOTTI E MOUSSE T – MEDLEY MORANDI/JOVANOTTI 7

Gianni Morandi la mattina corre. Credo che non ci sia stato telegiornale di questa settimana che non ce lo abbia quotidianamente fatto vedere. Corre e suda, ma soprattutto corre. Lo ha sempre fatto, giocava anche nella Nazionale Cantanti, fino a pochi anni fa, questo nonostante sia un uomo che veleggia verso gli ottanta, e che a ben vedere potrebbe anche starsene immobile risultando comunque giovanile. Ma Gianni Morandi è fatto così, è vitale, frizzante, simpatico, e corre. Per cui con Mousse T a dirigere, uno che ha refrashato la carriera di un gigante come Tom Jones, figuriamo a avere per  le mani Gianni Morandi, e la presenza fisica sul palco di Jovanotti, autore del brano e qui a dimostrarci che saper cantare non è una cosa che si impara solo facendo il cantante, toccherebbe pure avere talento, il nostro da vita a un medley che alterna appunto sue canzoni a quelle del rapper di Cortona.  Il risultato è una specie di corrispettivo canoro di quelle corse mattutine, sudore, movimento, energia, vitalità, anche emozioni, ovviamente, sempre e comunqye voglia di tenere lontana l’età anagrafica da parte di Morandi, voglia di esserci da parte di Lorenzo. Che poi, a dirla, tutta, cosa ci sarà di male a essere anziani o starsene a casa, onestamente, mica l’ho capito… Comunque questa è una operazione che potrebbe portare a vittoria finale, anche perché di lì a poco Amadeus invita nuovamente sul palco Jovanotti, come superospite, tirando la volata a Gianni, che vince la serata e sale al secondo posto nella classifica generale, scalzando Elisa. I due, comunque, sembra abbiano sempre calcato il palco assieme.

ELISA E ELENA D’AMARO – WHAT A FEELING 6,5

Elisa è una delle due pretendenti al trono, gli altri, a loro volta due ma in gara come un sol’uomo, sono ovviamente Mahmood e Blanco, è un fatto. Elisa, a cantare un grande classico di Irene Cara, quella What a feeling che, tratta da Flashdance, ci fa subito venire in mente Jennifer Beals che balla scatenata, gli scaldamuscoli, la voglia di riscatto, gli anni Ottanta. Perché Elisa, in gara con un brano piuttosto classico, nella composizione, una ballad, abbia deciso di portare come cover una canzone danzereccia arrivata dal passato è cosa sulla quale potremmo tranquillamente interrogare gli arcani, il risultato è straniante ma al tempo stesso fascinoso, come qualcosa che non riesci a capire ma ti ostini a fissare. Arrangiamento abbastanza discutibile, enfatico, mentre la ballerina invece è stata impeccabile. Dubbio.

ACHILLE LAURO E LOREDANA BERTÈ – SEI BELLISSIMA 6

A Achille Lauro, l’Achille Lauro che, dopo essersi autobattezzato, nella serata del giovedì ha provato a tirarsi fuori il pistolino, senza riuscirci o volerci riuscire, piace far finta di essere fluido. Non nel senso di incorporeo, intendiamoci, ma nel senso di sessualmente fluido, un tempo avremmo detto ambiguo, oggi finiremmo nella graticola anche solo a pensarlo. Così, dopo aver cantato con Annalisa Gli uomini non cambiano nel 2020, giocando il ruolo di colui che sta un passo indietro rispetto a una donna dominante, che è in realtà quanto di più lontano da un concetto fluido, eccolo replicare l’idea con Sei bellissima, stavolta in compagnia della titolare del brano, Loredana Bertè. Il risultato, e fa strano vista la presenza proprio della Bertè, è loffio quando canta lui, potente quando canta lei, quindi a singhiozzo. Un rigore a porta vuota buttato sul palo, o meglio, un’occasione davvero sprecata, una grande aspettativa tradita, come in quella Oro cantata anche dalla Bertè ma portata al successo da Mango, grande artista puntualmente dimenticato nelle celebrazioni del Festival, o, come succede nel finale de La signora in rosso, uno si fa tutte quelle idee lì, e sul più bello è tutto fumo e niente arrosto. Sei bellissima e la Bertè, comunque, meritano a prescindere.

MATTEO ROMANO CON MALIKA AYANE – YOUR SONG 3

Capisco che essere sul palco dell’Ariston, specie durante la settimana del Festival di Sanremo, sia utile a rivitalizzare una carriera in affanno, come a generare indotto a breve e medio termine. Capisco che avere a che fare con un tiktoker, mentre lo scrivo provo un lieve senso di disagio, confesso, possa a sua volta contribuire a allargare la platea cui ci si rivolge, specie se detta platea non è esattamente oceanica. Capisco che in fondo in tempi miseri come questi un’ospitata, anche in compagnia di chi, in un mondo normale, neanche ci degneremmo di guardare in faccia, non la si può buttare via, l’esperienza secolare della formica e della cicala insegna, ma qualcuno in grado di dirmi perché Malika Ayane abbia deciso di mandare ulteriormente a puttane la propria carriera dopo il noto “non dire nulla che non sia wow” con conseguente pubblicità del dentifricio esiste? Perché a me sembra quasi come quando certi artisti delle neoavanguardie si facevano piantare chiodi nel glande, così, perché attraverso il dolore aprivano le loro porte della percezione, porte che si sarebbe potuto aprire semplicemente usando la maniglia, come tutti. Nota tecnica, bello che Matteo si sia preso la sua tonalità, alla faccia della cavalleria. Cringe.

IRAMA E GIANLUCA GRIGNANI – LA MIA STORIA TRA LE DITA 8,5

Durante tutta la giornata si sono susseguiti voci riguardo una violenta e protratta lite tra Irama e Grignani a causa della scelta del brano da portare sul palco. Irama avrebbe voluto Destinazione paradiso, Grignani La mia storia tra le dita. Una lita violenta, questo dicevano i rumors, che avrebbe lasciato spazio a uno sbrocco, forse in diretta, una sorta di Morgan-Bugo aggiornato al 2022. La cosa da una parte non ci aveva sorpreso, dall’altra ci lasciava ben sperare in una scossa di adrenalina che, per un’altra puntata lunghissima e destinata a finire alle prime luci dell’alba, sembrava quasi salvifica. Nei fatti nulla di tutto questo è successo, e se lite c’è stata, non è arrivata fino a sul palco, tranne il piccolo brivido di Irama che ha iniziato con a fianco un microfono senza nessuno davanti. Grande versione, con un Grignani in splendida forma che prova anche a far cantare l’Ariston. Dirompente. Vorrei uno come il Joker al Quirinale.

PS

Quando Amadeus ha detto “Speriamo di vederti presto, perché noi ti vogliamo più spesso a Sanremo” ho sperato in una testata dritta sul nasone del presentatore, cazzo, sono tre anni che ci prova e non lo prende. 

DITONELLAPIAGA E RETTORE – NESSUNO MI PUÒ GIUDICARE 8,5

Ditonellapiaga è un mostro. Di bravura. Tiene il palco come credo quasi nessuno tra i concorrenti di quest’anno. Come se non avesse mai fatto altro. Si mangia la scena, anche a rischio di mettere la Rettore da parte. Brava, enigmatica, carismatica, una vera popstar. Questa versione della vecchia hit della Caselli è fedele all’originale, fatta appositamente per farci capire di che stoffa sia fatta. Stoffa pregiatissima, davvero.

IVA ZANICCHI – CANZONE 7

Non fosse che le polemiche che ieri l’hanno infangata mi hanno davvero intristita, polemiche costruite a arte e del tutto prive di fondamenta, e non fosse che il suo essere, a ottantadue anni, fuori dai giri giusti l’ha sottoposta allo scherno di certi miei colleghi spavaldi con i liberi battitori ma costantemente a quattro zampe di fronte ai circoletti giusti, sarei stato tentato di darle un 8 a prescindere, fosse pure salita sul palco e avesse intonato Canzone nella versione di Milva appoggiando una mano sotto l’ascella e eseguendola a pernacchie. Invece lei, che è una professionista da ben prima che i detti colleghi fossero in grado di trovarsi il pisello nelle mutande, è salita sul palco e ha mandato a casa un po’ tutti. A partire dall’idea dell’intro con un cameo video di Milva a tutto il brano. La signora avrà anche sbavato un po’, con la voce, ma ha ottantadue anni, io, non so voi, ma come tutti alla sua età forse starò alla bocciofila a giocare a ramino.

ANA MENA E ROCCO HUNT – MEDLEY 2

Potrebbe sempre andar peggio, potrebbe piovere. Ecco. Piove a dirotto.

LA RAPPRESENTANTE DI LISTA CON MARGHERITA VICARIO, GINEVRA E COSMO – BE MY BABY 9

Prendi Phil Spector, e già parti bene, e metti la sua musica in bocca e in mano a un manipolo di artisti che tanto bene hanno già fatto nel mondo alternativo, e che ora, legittimamente, ambiscono a un posto al sole. Il risultato sarà un gioiello assoluto, una specie di distillato di talento, le voci che si intrecciano come se non avessero fatto altro che impastarsi insieme, Veronica a tirare le fila, Margherita Vicario, credo la più importante artista solista che abbiamo oggi nel nostro paese, tra le più giovani, e Ginevra a fare da suo contraltare, con tanto di passi di danza, Cosmo a animare la parte techno, manco fossimo in un rave invece che al Festival. La cosa più contemporanea sentita stasera, e dire che si parla di un brano che risale al 1963.

PS
L’idea che Margherita non sia nel cast e Ana Mena, Rkomi, Sangiovanni, Aka 7even, Tananai, Matteo Romano, Yuman e buona parte dei cantanti in gara sì, lo vado a gridare dal balcone col megafono, è un vero scandalo. Quanta bellezza.

MASSIMO RANIERI CON NEK – ANNA VERRÀ 6

Leggendo di questo duetto, e pensando a quanto successo fin qui, ho pensato che questo Sanremo per Massimo Ranieri è stato piuttosto difficile. Ha cantato piuttosto male la prima serata in cui si è esibito. Non ha dato il meglio di sé nella terza serata. Nonostante abbia una bellissima canzone, in pratica, ha fatto assai meno bene di quanto ci si sarebbe potuto e dovuto aspettare da lui. Poi però chiama Nek a duettare con lui e vien da pensare che dietro ci sia una specie di discorso incomprensibile a noi comuni mortali, qualcosa di situazionista, o quantomeno di allegorico. Perché non puoi chiamare Nek a duettare su un brano di Pino Daniele, santo Dio. Questo ho pensato. Poi ho sentito, e va detto che Nek ha portato a casa la canzone assai meglio di Ranieri, troppo melodrammatico e affatto lieve, in un brano che aveva nella levità il suo cuore. Peccato.

MICHELE BRAVI – IO VORREI… NON VORREI… MA SE VUOI 4

Il discorso sulla tecnica e le emozioni l’ho già fatto, non voglio ripetermi. Qui Bravi incontra una canzone che è un pilastro della nostra musica leggera e non e riesce a non rimanerci schiacciato sotto, perché le emozioni di fronte a certe stecche è difficile da sentire. Spiace.

MAHMOOD E BLANCO – IL CIELO IN UNA STANZA 6

Quando ogni anno, con l’avvicinarsi del Premio Nobel per la Letteratura, si cominciava a fare il nome di Bob Dylan, parlo di prima del giorno in cui in effetti Dylan il Nobel per la Letteratura lo ha vinto, andando poi a blastare in ogni modo possibile l’Accademia di Svezia, si apriva il dibattito sull’annoso tema “i testi delle canzoni sono equiparabile alla poesia”. Certo, non di tutti i testi si parlava, è ovvio, come non dentro tutti i libri di narrativa c’è letteratura, ci mancherebbe, ma il tema è sensato. Io penso di no, nel senso che credo semplicemente che, al pari della poesia e della narrativa, le canzoni siano un genere letterario a se stante, e che in quanto tale possano ambire al Nobel, senza essere confuse con la poesia. Ora, il testo de Il cielo in una stanza di Gino Paoli non è una poesia, ma è sicuramente una bellissima pagina di letteratura sotto forma di canzone. Mi chiedo quindi, e chiedo a voi, perché Mahmood ha deciso di negarci la possibilità di capire una sola parola di quelle scritte a suo tempo dal cantautore genovese e a lui assegnate nella spartizione del testo? Ti sta sul culo per la faccenda dei soldi portati in Svizzera, vero? Se fosse una canzone straniera, a parte il fastidio dei suoi gorgheggi, avrebbe potuto comunque contare sull’ottima orchestrazione e sull’interpretazione molto rispettosa di Blanco, ma santo Dio, è Il cielo in una stanza. Comunque sufficiente.

RKOMI E I CALIBRO 35 – MEDLEY VASCO ROSSI 2

Lunedì Vasco compie settant’anni, e la cosa non può che sorprendere. Colui che, fino a un paio di anni fa, prima cioè della pandemia, riempiva stadi come avesse le energie di un ventenne è di fatto uno che ha la Tessera d’Argento per avere lo sconto al cinema e sui treni. Rkomi, personaggio sulla cui credibilità mi sto ponendo da giorni domande degne di un santone tibetano, decide di omaggiarlo con un medley che, se da una parte vede l’accompagnamento di giganti come i Calibro 35, davvero ottimi arrangiamento, dall’altro sprofonda dentro una interpretazione vocale da scudisciate con strisce di cuoi su cui si è passata la pece, così che attaccandosi alla pelle sia poi in grado di strapparla, lasciando ferite sulle quali pisciare e cospargere sale, prima di finire il tutto con un colpo di badile in testa, via, da buttare in terra sconsacrata. Peggio dei cani.

PS

Oggi è lui a presentarsi a torso nudo, però cagano il cazzo a Truppi per la canotta. 

AKA 7EVEN E ARISA – CAMBIARE 3

L’ho già detto tempo addietro, se mai dovessi trovarmi per ragioni che esulano da ogni logica e, al momento, da ogni mia volontà, a dover posare per un servizio fotografico di nudo integrale, ambirei che ciò avvenisse senza che al mio fianco, sempre al naturale, ci sia Rocco Siffredi. Non che abbia da lamentarmi di nulla, intendiamoci, ma ho un minimo di amor proprio. Non deve pensarla così Aka 7even, che decide di duettare con una delle più belle voci del nostro panorama (con la quale, per altro, lo stesso Rocco ha più volte manifestato volontà di “duettare”), andando a eseguire una canzone di Alex Baroni, a sua volta una delle più belle voci mai sentite, e il risultato è vedere una superdotata cantare con chi è nella norma, e lo dico solo perché, avendo allestito un parallelismo con me, non vorrei manco finire per passare per uno che ha il pistolino troppo piccolo, sono pur sempre uno nato negli anni sessanta, io. Arisa meriterebbe 9, ma in gara c’è coso, lì.

HIGHSNOB E HU CON MR RAIN – MI SONO INNAMORATO DI TE 7

Che dire, lasciamo perdere Mr Rain, che non so perché i due hanno tirato dentro, visto che stavano già filando via bene, confesso che passaggio dopo passaggio mi sto affezionando a questi due artisti, così improbabili per come si presentano sul palco, ma, soprattutto Hu, dotati di una grazia e di una capacità di mettere a nudo l’anima che oggi è davvero rara. Prendono Tenco e lo propongono con grazia e sentimento, magari non con voci impeccabili, ma col cuore e senza pelle, e con un arrangiamento orchestrale davvero coerente e fedele. Forse il più bello proposto dall’orchestra durante la serata. Se l’arrangiamento l’ha fatto Melozzi, che dirigeva l’orchestra, che dire?, è proprio vero che l’abito non fai il monaco, e che uno può avere un talento e seppellirlo dietro tonnellate di dichiarazioni sciocche.

DARGEN D’AMICO – LA BAMBOLA 5,5

Dargen è un cazzone. In quanto cazzone, quindi, mi sta parecchio simpatico. Simpatia a parte lo trovo assai talentuoso. L’idea di arrangiamento del brano, che credo sia sua, è assai efficace. Il suo modo di cantarla da ergastolo. Poi però parte col rap e, nonostante io odi chi rappa nelle canzoni altrui, specie nei classici, diventa di colpo preciso come una lama. Insomma, la butta sempre in caciara.

GIUSY FERRERI E ANDY DEI BLUVERTIGO – IO VIVRÒ  SENZA TE 6,5

Quando già Monica Giandotti sta schiarendo la voce per la prima diretta di Uno Mattina ecco che arriva sul palco Giusy Ferreri, che evidentemente sta sul cazzo a Amadeus, due volte intorno all’una mi sembra davvero troppo. Comunque, se parlando di Miele, il brano in gara, dichiaravo un mio desiderio di vedere Giusy Ferreri a interpretare canzoni più ascrivibili al genere canzone d’autore, sempre pop ma non certo i tormentoni con cui negli ultimi anni ha dominato le classifiche, con questa cover di Battisti, impreziosita dal sax di Andy nel finale (prima era alle tastiere), Giusy sembra avermi preso alla lettera, e io non posso che esserne felice.

FABRIZIO MORO – UOMINI SOLI 6,5

Coerentemente col titolo del brano con il quale i Pooh sono andati a vincere il Festival, ormai una vita fa, Fabrizio Moro si presenta da solo sul palco, e porta a casa una versione non indimenticabile, ma comunque decente del brano.

TANANAI CON ROSE CHEMICAL – A FAR L’AMORE COMINCIA TU 2

Dopo la prima esibizione al Festival, disastrosa, Tananai ha fatto una storia su Instagram piuttosto divertente, e anche tenera. Una storia dove diceva, in sostanza, che era convinto di aver fatto una grande performance e che invece, una volta rivisto il filmato, si è reso conto di aver fatto letteralmente cagare, parole sue, e anche nostre. La seconda esibizione, infatti, hanno dimostrato incontrovertibilmente un dato di fatto, non è che Tananai non sappia cantare minimamente, è che non sa cantare minimamente ma non è in grado di rendersene conto al momento. La cover fatta con Rose Chemical, che dal canto suo, non è che sia una spada, una gioiosa versione di A far l’amore comincia tu, conferma questa certezza, per altro andando a imporre a Paolo Sorrentino un nuovo montaggio della famosa scena Cafonal de La Grande Bellezza, con la canzone in questione tormentata da Bob Sinclair e usata, a ragione, come colonna sonora ideale di tanto orrore. La grande bruttezza è qui.

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