Il mio amico Red Canzian

Red Canzian è scampato a una brutta infezione ed è pronto a inseguire nuove idee e nuove canzoni. Ti aspettiamo tutti, Red

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A parte i suoi amici non parla mai bene di nessuno.

Questo che avete letto, per somma sintesi, è una delle vulgate che mi riguardano. Vulgate, forse sto peccando in autostima, non è che ci sia questa folla oceanica a parlare di me. Intendiamoci, non mi lamento, ho un pubblico e il fatto che stiate dando un senso compiuto a queste parole ne è prova provata, comunque la rete che è il luogo nel quale opero prevalentemente ha il simpatico vantaggio di confermare quotidianamente se ci siete e quanti siete, ma forse usare il termine vulgata è troppo.

Diciamo che spesso, abbastanza spesso, quando mi si vuole attaccare, e mi si attacca in effetti parecchio spesso, per quello che dico e più spesso per quello che chi legge distrattamente o anche un filo prevenuto pensa che io abbia scritto, difesa d’ufficio non richiesta, per i latini sorta di ammissione di colpa, oggi vado di ricordi ginnasiali, quando mi si vuole attaccare, dicevo, si usa questo tipo di stereotipo qui, io sarei uno che parla bene solo dei miei amici. Dal che si può desumere, in ordine sparso, che io sia amico di chiunque parli bene, anche di gente che non conosco, penso recentemente a FKA twigs, o che io parli male di tutti quelli che non conosco, o di cui non sono amico, e lasciando da parte FKA twigs viene da pensare che io abbia contenziosi aperti con un sacco di artisti mainstream, specie italiani. Nei fatti, stando a quel che nel corso degli anni ho detto di tanti artisti anche di un certo successo, non fatemi fare un mesto elenco, verrebbe da dire che io abbia una vita sociale piuttosto glamour, ce sia cioè circondato da gente che riempie stadi, vince premi importanti, sforna album che spesso restano nel tempo, come che sia amico di un numero impressionante di donne, le tante, tantissime cantautrici di cui ho scritto e scrivo con una frequenza piuttosto impressionante. Il che apre uno squarcio su quel che si intende per amicizia. Perché se è vero come dicono che i buoni amici si tengono solitamente nelle dita di una mano, numeri alla mano, appunto, io dovrei avere o più braccia della dea Kali o mani con un numero infinito di dita. Per altro, in barba a quel che in giro si dice di me, che io sia una sorta di mix tra il Grinch e un orco, misantropo asociale che si trincera dietro il proprio essere orso per stare lontano da tutto e tutti, specie gli odiati colleghi, di cui a questo punto scriverei spesso male perché miei nemici, vai poi a capire perché, dovrei, sempre in ordine sparso, passare un sacco di tempo in giro, a fraternizzare con le tante amiche e i tanti amici, amici tutti di recentissima origine, visto che praticamente nessuno è della mia città natale, Ancona, città nella quale sono nato, cresciuto e maturato, fino all’età di ventotto anni, e che nessuno credo abbia lavorato con me in editoria, questo era il mio lavoro nei primi anni di permanenza a Milano. Una facilità di fare amicizia invidiabile, del resto sono dei gemelli, e anche una capacità di portare avanti l’amicizia nonostante io abbia una famiglia impegnativa, quattro figli portano via un sacco di tempo, faccia un lavoro solitario di suo, scrivo libri, attività che in genere si fa da soli, a meno che non si scrivano libri a più mani, e in effetti ho scritto anche libri a quattro mani, anche a sei, in un caso, e soprattutto notoriamente non sia mai presente in tutti quegli eventi mondani, feste, eventi, presentazioni, conferenze stampa, in cui in genere si fraternizza con gli altri, complici i buffet e la consapevolezza di essere parte di un ambiente che, fino alla pandemia, era una specie di oasi felice, oggi più qualcosa di simile alla New York apocalittica per la quale si muove Jena Pliskinn.

In realtà è vero, ho amici tra i cantautori e artisti di cui scrivo e scrivo quasi sempre bene, e ho amiche tra alcune delle cantautrici di cui scrivo con grande enfasi e entusiasmo. Sono diventati tutti tali, amici e amiche, parlo ovviamente degli amici e delle amiche, una minima porzione tra quanti di cui scrivo, per due motivi principali, quasi sempre i medesimi, un mix tra stima, che mi ha spinto a provare a approfondire la conoscenza, stima immagino e spero ricambiata, e pelle, senza la prima non mi sarebbe mai venuto in mente di provare a conoscere meglio l’artista, e spesso io non voglio conoscere gli artisti, per non rimanerne deluso, senza quel feeling dato dalla pelle, l’amicizia non è una cosa che parte dalla testa, penso, razionale. Questo fatto, di aver voluto conoscere qualcuno che stimavo, a volte è successo anche di essere contattato per i medesimi motivi, poco cambia, e di aver poi avuto un buon feeling, laddove poi è stato possibile lavorarci con un qualche tipo di frequentazione, non necessariamente fatta di quantità, la qualità ha un peso fondamentale anche nelle amicizie, i social e il telefono hanno fatto il resto, ha portato a nuove amicizie, poche, alcune fraterne (si dice fraterne anche dell’amicizia tra uomo e donna, patriarcato maledetto), altre un po’ meno strette, ma comunque importanti. Quando si tratta di scrivere di questi amici, nuovi amici, sempre nati da una stima precedente, ripeto, tendo a fare quel che faccio di solito, dico quel che penso, a causa della mia scarsa memoria, se dicessi cazzate neanche me ne ricorderei, un po’ perché la stima da cui l’amicizia è nata, penso, era fondata sul fatto che io sia un tipo sincero, diretto, che dice appunto sempre quello che pensa. A volte, questo mio essere diretto, mi crea ovviamente problemi, capisco quando qualcuno cui voglio bene si offende, ma non succede in realtà quasi mai che io debba scrivere critiche negative a quelli di cui sono diventato amico, proprio perché l’amicizia è partita dalla stima nei confronti dell’artista. Capita, è capitato e capiterà, lo so, che io a volte non scriva nulla, e questo è sia un modo per proteggere gli amici, è chiaro, anche se il non scrivere di qualcuno è già di suo una critica negativa, non ritengo che di qualcosa si debba scrivere esprime un giudizio, dal mio punto di vista, sia un far sapere agli altri che quel mio determinato amico, le mie amicizie sembrano godere di una certa fama, visto che ogni volta che scrivo bene di un amico arriva qualcuno a dire “scrivi bene solo degli amici”, ha fatto qualcosa che non mi è piaciuto, infatti non ne ho scritto. Questo vale anche per le simpatie, chiamiamole così, quelle che non sono ancora amicizia, e che magari non lo saranno mai, qualcosa di più di una semplice conoscenza, ma che ancora altro non è, gli amici sono pochi.

Tra questi pochi amici, ripeto, uso patriarcalmente il maschile ma parliamo di uomini e donne, ce ne sono alcune cui tengo molto, che considero strette. Anche recenti, figlie di cose successe, discorsi fatti, ripeto, pelle. È vero che le amicizie fatte da piccoli, da giovani, sono quelle più durature, ma anche da adulti si possono incontrare alcuni di quegli amici che vanno a comporre le dita della famosa mano.

Questo fatto, di avere amici che sono artisti più o meno famosi, credo fatto per altro normale avere amici nel proprio campo di lavoro, da una parte viene usato come clava per colpirmi, per altro aprioristicamente, qualsiasi cosa io dica o scriva, “A parte i suoi amici non parla mai bene di nessuno”, dall’altra è oggetto di non poche invidie, anche benevole, e elucubrazione da parte di chi mi conosce da una vita, o che pensa di conoscermi da una vita, come se io, per il solo fatto di avere amici anche molto famosi, per osmosi fossi parte di quel mondo, lì a sbocconcellare sushi da Nobu, la mia Bugati fiammante lasciata in doppia fila fuori. Venite domattina a fare la corvè tra cucina, bagno, camere dei figli, resto della casa intorno alle sei e quaranta, domattina o una qualsiasi altra mattina infrasettimanale, poi mi dirette quanto glamour sia in effetti la mia esistenza. Ovvio, non sono dentro una miniera dove devo appendere la mia vita a un canarino tenuto dentro una gabbietta, ma la mia idea di glamour è solitamente ambientata in un loft dalle parti di Manathann, o un attico dalle parti di Chelsea, magari Dj Khaled da qualche parte a mettere i dischi e FKA twigs, sempre lei, a fare pole dance in sala, non so voi.

Questo mio dire, però, non vuole suonare né come una lamentazione, né, tantomeno, come una giustificazione. Piuttosto ho portato a ramengo il pensiero sul fronte dell’amicizia e dell’amicizia con gli artisti di cui scrivo (o non scrivo) per un motivo legato alla cronaca, un motivo che mi ha in qualche modo spiazzato in questi giorni così anomali, fatti di quarantene schivate, non schivate, virus che diventa meno violento ma più virulento, varianti dai nomi greci laddove un tempo ne esistevano solo di valico, dentro le info sul traffico autostradale, sapete bene di cosa sto parlando.

Red Canzian, ex bassista e voce dei Pooh, uno dei musicisti più amati in Italia, settant’anni compiuti da poco, un’opera musicale imponente, Casanova Opera Pop sul punto di partire dal Teatro Maribran di Venezia, poi in giro per il Bel Paese, ha avuto una grave infezione che lo ha messo a rischio di setticemia. Lo ha comunicato lui stesso, la voce stentata, durante la prova aperta tenuta giorni fa a San Donà di Piave, come a giustificare la sua assenza. La notizia, ovviamente, di lì a qualche ora, farà il giro dei social e anche dei media, Red è molto amato, a ragione, e comunque pezzo importante della storia della musica leggera italiana.

Ecco, Red è un mio amico. Uno di quelli cari, di cui ho scritto bene, certo, ma senza alcuno sforzo, e ci mancherebbe pure altro, ma che nonostante ci si conosca da pochi anni, è parte dei miei affetti, di quelli che se penso che sono miei amici mi fa uno strano effetto, quasi che fosse parte di qualcosa di irreale. So quanto Casanova sia un’opera della vita. Non solo del suo secondo tempo, il primo ovviamente dedicato ai Pooh, credo proprio l’opera della vita tutta, perché totalmente sua, di sicuro, ma anche perché costruita anche in compagnia dei suoi affetti, sua moglie Bea con lui alla produzione, i suoi figli Chiara e Phil coinvolti artisticamente, con ruoli centrali. Sapere che non ha assistito alla prima prova aperta al pubblico, andata in scena il 14 gennaio, e non assisterà alla prima vera e propria, il 21 dello stesso mese, mi addolora. Il fatto che probabilmente non assisterà neanche alle repliche, almeno per questa prima tranche ancora di più, visto che dovrà rimettersi in piedi stando isolato, per evitare il rischio di imbattersi in batteri e virus vari, ancora di più. Ma la notizia che mi ha lasciato davvero spiazzato è l’idea, ovviamente insita nella vita e insita nella vita di chi, come me, ha con buonissima probabilità scollinato il mezzo del cammin della mia vita, ho cinquantadue anni, e per quanto l’età media si stia allungando non vorrei tirarla oltre i cento, la notizia che mi ha lasciato davvero spiazzato è che un amico che stava mettendo in piedi l’opera della vita, vitalissimo a settant’anni compiuti, l’entusiasmo di un ragazzino mista all’esperienza di un veterano, sul talento credo non sia necessario spendere parole, ha rischio di morire, così, di colpo. Sentire il vocale che mi ha mandato, lo stesso giorno, da terapia intensiva, la voce flebile, quasi irriconoscibile, ma quell’attenzione elegante per il prossimo che da sempre lo contraddistingue, artista di una volta, quando anche i rapporti con le persone erano parte del proprio essere artista, mi ha commosso, letteralmente.

Questa cosa, che ho saputo solo nel momento in cui il pericolo era passato, noi ci eravamo sentiti durante le feste, per farci gli auguri, e ancora dell’infezione non vi era traccia, mi ha fatto pensare che in fondo il senso costante di morte che la pandemia ci ha fatto respirare in questi due anni, il pericolo incombente, la paura per i nostri cari più anziani e più fragili, quella che pensavamo fosse ormai divenuta una costante, parte della nostra stessa vita, non ha poi così attecchito, e forse, nel male questo male non è. Sapere di aver rischiato di perdere qualcuno di caro mi ha spiazzato, e a questo punto l’idea di andare a Venezia per la prima è stata definitivamente messa da parte, ci sarei andato sapendo che l’indomani sarei scappato per andare a vaccinarmi, appuntamento alle 14 a Milano, in attesa che Red esca dall’ospedale e nella speranza di poterla vedere insieme a lui quando arriverà a Milano.

So che spesso si parla degli artisti come persone cui si vuole bene come se le conoscessimo davvero, se fossero parte delle persone che frequentiamo, fatto che ci spinge a provare un affetto che solitamente riserviamo ai nostri contatti più stretti e che spesso meraviglia chi non è in grado di provare tutto questo, insensibile all’arte, in questo sì mi sento in qualche modo un privilegiato, un privilegiato che continua a alzarsi tutte le mattine alle sei e quaranta e che ha una monovolume giapponese, niente Bugatti lasciata in doppia fila, un privilegiato che ha tra i suoi amici cari un artista come Red Canzian, fortunatamente scampato a una brutta infezione e pronto a inseguire nuove idee e nuove canzoni. Ti aspettiamo tutti, Red.