Caro Djokovic, la tua battaglia doveva essere per i profughi nel Park Hotel

Il tennista se n'è fregato delle storie dei migranti reclusi nella struttura da anni e ha preferito assecondare un suo capriccio che impegnarsi per una causa degna di attenzione

djokovic park hotel

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Si è concluso il primo round della sfida tra Novak Djokovic e il governo australiano. Sarebbe meglio dire il primo set, visto che a vincerlo è stato il numero uno del tennis mondiale a cui è stata riconosciuta la validità dell’esenzione dal vaccino. Il governo australiano è convinto di voler far valere le proprie regole anche per il campione serbo e ha annunciato il prosieguo della disputa. Djokovic ha lasciato il Park Hotel, il posto condiviso con tutti gli stranieri che non hanno il permesso di entrare legalmente nel Paese.

Di questa battaglia ne avremmo fatto sinceramente a meno, sebbene l’entourage di Djokovic la stia utilizzando come una grande trovata pubblicitaria e abbia eretto il proprio campione a paladino dei diritti degli oppressi di tutto il mondo, I paragoni con Gesù e la richiesta di tutti gli oppressi di sollevarsi contro la tirannide della dittatura del vaccino, dimostrano come in realtà il campione serbo abbia sprecato un’occasione per combattere l’unica battaglia per cui valeva la pena esporsi.

E non si tratta del diritto di un ricco di girare nel Paese libero senza vaccinazione quando il resto della popolazione è rimasta chiusa in casa per mesi in attesa di fare almeno due dosi. Se Djokovic avesse veramente voluto combattere per gli oppressi avrebbe potuto farsi portavoce delle condizioni in cui vivono i profughi all’interno del Park Hotel di Melbourne. La madre del campione si è lamentata del fatto che il figlio fosse rinchiuso in una stanza con le cimici da giorni.

Djokovic ha visto cosa succede nel Park Hotel ma se n’è fregato

In realtà sia in Australia, così come i più attenti nel resto del mondo sanno, il Park Hotel è una delle strutture dove vengono “ospitati” i migranti in attesa di sapere se possono entrare nel Paese. Solo che queste persone ci rimangono chiuse anni, senza poter uscire dalla struttura e senza sapere nulla del proprio destino. Le finestre si aprono per un massimo di cinque centimetri per evitare fughe, o peggio ancora suicidi, e non è troppo difficile trovarsi animali nei piatti. A Melbourne, come in altre parti del mondo, gli alberghi come il Park Hotel, ormai fuori moda, sono stati riconvertiti a centri d’accoglienza che di accoglienza non hanno proprio nulla.

Djokovic ha vissuto per poche ore in quelle camere eppure avrà sicuramente saputo di quelle vite in attesa a pochi metri da lui, divisi anche solo da una parete. Avrebbe potuto sfruttare la propria visibilità per parlare di queste persone e di come l’Australia abbia uno dei peggiori sistemi al mondo di regolazione dei flussi migratori. Quello sì che sarebbe stata una battaglia che combatte un campione. A lui, invece, ne interessa un’altra molto più di moda, che suona più come un capriccio, il capriccio di un ricco che l’ha anche avuta vinta e che ha girato le sguardo dall’altra parte quando a pochi metri da lui c’erano delle vite interrotte che chiedevano una voce che li sostenesse. Poteva essere il paladino dei rifugiati, ha scelto di essere il paladino dei no-vax.