L’Ufficiale E La Spia, il bellissimo film di Polanski sul celebre caso Dreyfus

Lo scandalo che fece tremare la Francia di fine Ottocento, raccontato dal punto di vista del militare che scoperchiò la macchinazione ai danni di Dreyfus. Ottimo il protagonista Jean Dujardin, splendida la ricostruzione d’epoca

L’Ufficiale E La Spia

INTERAZIONI: 89

Qualunque nuovo film dell’ormai quasi novantenne Roman Polanski è destinato a finire dentro una spirale di polemiche, legate alle note traversie giudiziarie del regista polacco, alla vecchia condanna per violenza sessuale e a più recenti accuse per uno stupro accaduto decenni addietro. Non ha fatto eccezione, all’uscita, L’Ufficiale E La Spia: quando fu presentato in concorso alla Mostra di Venezia, dove vinse il Gran Premio della Giuria, proprio la presidente della Giuria Lucrecia Martel inizialmente dichiarò che non avrebbe visto il film e non avrebbe stretto la mano a Polanski. Quando poi il film ottenne molte nomination ai César, all’atto dell’annuncio del premio per la miglior regia l’attrice Adèle Haenel e la regista Céline Sciamma abbandonarono platealmente la sala durante la cerimonia.

Al netto di tutto questo va detto che L’Ufficiale E La Spia è l’opera migliore di Polanski da diversi anni a questa parte. Partendo da un romanzo di Robert Harris, da cui autore e regista hanno tratto la sceneggiatura, il film ricostruisce uno dei più grandi scandali a cavallo tra Otto e Novecento, che fece tremare la Francia della Terza Repubblica, quella nata dopo la sconfitta nella guerra franco-prussiana del 1870, vale a dire il celebre “affaire Dreyfus”. Nel 1895, in un paese ancora traumatizzato per le grandi sconfitte belliche e in cui l’antisemitismo era ben più che strisciante, il capitano ebreo alsaziano Alfred Dreyfus (Louis Garrel) sulla base di prove poi dimostratesi completamente fallaci venne condannato per alto tradimento – secondo le accuse avrebbe venduto informazioni militari ai tedeschi – e deportato all’isola del Diavolo, al largo della Guyana francese.

Polanski però sceglie di non concentrarsi sullo sdegno morale, l’antiebraismo (che pure è messo chiaramente in luce) e la persecuzione di un uomo – allontanando così anche le improprie sovrapposizioni con la sua vicenda personale – e invece si focalizza, ribaltando la prospettiva, sulla storia di un altro militare, il colonnello Picquart (Jean Dujardin). Il quale, anche lui affetto dal pregiudizio antisemita e con qualche ruolo nel processo contro Dreyfus – del quale era stato insegnante antipatizzante alla scuola di guerra –, una volta nominato direttore del controspionaggio si rende conto dell’abbaglio preso.

La prova principale contro Dreyfus, infatti, era una nota anonima in cui l’ignoto autore si offriva di vendere informazioni militari ai tedeschi. Secondo l’esperto Bertillon (Mathieu Amalric) la grafia era inoppugnabilmente quella di Dreyfus. Ma, lavorando a un’altra indagine, Picquart si rende conto che l’autore del documento era un aristocratico di antico lignaggio gravato dai debiti di gioco, il maggiore Ferdinand Walsin-Esterházy (Laurent Natrella). A quel punto il senso di giustizia – e la sua dignità di autentico militare – lo obbligano a denunciare il fattaccio, seguendo le vie gerarchiche e informandone i suoi superiori. I quali, non volendo ammettere l’errore e temendo uno scandalo, prima lo rimossero dalla guida dei servizi segreti, poi lo spedirono in zona di guerra oltreconfine e infine, quando il colonnello non poté più tacere la verità, ponendolo sotto accusa, cosa che portò al suo arresto il 13 gennaio 1898. Lo stesso giorno in cui sul giornale L’Aurore uscì il celebre “J’Accuse!” la lettera aperta al presidente della Repubblica firmata da Émile Zola, che fa nomi e cognomi e lancia l’allarme su un caso di malagiustizia in cui sono coinvolti i più alti gradi dell’esercito e rappresentanti del governo. Un gesto che sarà determinante, insieme alla caparbietà di Picquart, per la riapertura del processo.

L’Ufficiale E La Spia è un’opera che abbaglia per la puntuale, certosina ricostruzione d’epoca, in cui ogni elemento, a partire dalle dettagliatissime ricostruzioni degli interni, restituisce l’autenticità di un’epoca, fedele alla didascalia iniziale che rivendica come tutto ciò che viene mostrato sia “assolutamente vero”. Già la prima sequenza fotografa perfettamente l’atmosfera di congiura in cui si svolge la vicenda. È la lenta, a suo modo tristemente grandiosa cerimonia di degradazione di Dreyfus, con il militare, un puntino sperduto all’interno di una gigantesca piazza d’armi ripresa in campo lungo con tutti i plotoni dell’esercito disposti in parata, obbligato sotto lo sguardo dei generali, dei politici e della gente comune che grida “morte all’ebreo” a marciare verso la sua umiliazione, le mostrine strappategli dal petto, la spada spezzata – un’immagine che Polanski trasforma nel simbolo del film.

Simbolica è anche la prima visita di Picquart agli uffici del controspionaggio, che lo sorprendono per l’odore acre e pungente inequivocabilmente, dice lui, da fogna. E sono anche quelle le stanze in cui con cura e perizia, lui raccoglie e consulta i documenti attraverso cui cerca le prove della colpevolezza di Esterhazy e dell’innocenza di Dreyfus. Pezzi di carta talvolta fragilissimi, distrutti in mille pezzi e poi ricomposti faticosamente, a certificare la labilità delle prove e la fragilità tanto della menzogna quanto della verità. Ed è una babele di faldoni, stanze, cervelloticità burocratica e alte gerarchie di generali e ministri quella in cui è catapultato Picquart, un dedalo labirintico la cui funzione principale è esattamente quella di rendere più tortuosa la ricerca della verità, sacrificata sull’altare di una ragion di Stato – e di una equivoca fedeltà all’esercito – che non ammette errori.

Ed è con particolare gusto, ne L’Ufficiale E La Spia, che Polanski sceglie i volti degli uomini che devono incarnare quella proterva e tetragona ragione, con le impagabili fisionomie degli attori che interpretano i generali, quasi tutti attori provenienti dalla Comédie Française, che anche attraverso la cadenza della loro lingua ricercata – motivo per cui il regista ha rifiutato di girare il film in inglese – restituiscono il sapore e il senso di un’epoca con le sue leggi inderogabili.

Picquart invece è l’esatto opposto, anche somaticamente, l’uomo volitivo, concreto e pragmatico – cui Dujardin offre una fisicità muscolosa perfettamente rispondente al personaggio – per il quale essere fedeli all’esercito significa essere fedeli alla giustizia e alla verità, e non, come sostiene il maggiore Henry (Grégory Gadebois) che cerca in ogni modo di intralciare l’indagine, accettare supinamente la volontà dei superiori – “Noi militari eseguiamo gli ordini, se no non esistiamo”, dice. L’Ufficiale E la Spia è un terso gioco di messinscena in cui anche la suddivisione dei ruoli tra “buoni e cattivi” è esemplare. Anche se in ogni momento la regia, proprio grazie alla cura analitica dei dettagli cerca sempre di sollecitare non semplicemente lo sdegno emotivo dello spettatore, quanto la capacità di raziocinio e la comprensione della posta in gioco. E non inganni il “lieto fine” del film. Certo, Dreyfus al termine di una dolorosissima epopea verrà reintegrato nel suo ruolo, nel 1906, smagrito, incanutito, precocemente invecchiato. Ma un ultimo dialogo tra lui e un Picquart ormai divenuto ministro la dirà lunga sulla inamovibilità della ragione di Stato, più forte persino della volontà degli uomini che avevano avuto il coraggio di metterla in discussione.

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