Enrico Ruggeri canta La Rivoluzione, inno alla disillusione più che alla rivolta

Una canzone intensa come un titolo del genere prevede, ma che gioca la carta della disillusione laddove ci si sarebbe potuti aspettare la sferzata rock


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Leggi la parola rivoluzione e ti fai subito un’idea, abbastanza precisa, di cosa ti troverai di fronte. Un’idea, questo lo scoprirai solo in un secondo momento, sbagliata.

Perché in fondo, la rivoluzione l’hai sempre sognata, parole sante, e perché mai come in questi tempi funestati ti sembrerebbe opportuna, di qualsiasi rivoluzione si tratti.

Ma visto che il nome che di rivoluzione, di quella rivoluzione, pensi, sta per parlare è questo nome specifico qui, pensi, ci sarà sicuramente da divertirsi. Perché vuoi per indole, vuoi per quella forma di gusto personale nell’andare controcorrente, vuoi perché in fondo è  sempre stato così, le rivoluzioni le portano avanti non quelli che passano le giornate sopra le barricate, ma quelli che passo dopo passo si dimostrano coerenti, anche quando il vento soffia loro alle spalle, spingendoli in avanti e in alto, credi che sarà una rivoluzione che creerà caos, e niente come il caos è in grado di generare vita, e perché sai già che in tanti saranno pronti a schierarsi dalla parte opposta, come in una inutile e disarmata restaurazione.

Trovi curioso, l’hai sempre trovata curioso, il fatto che molti di quelli che sono pronti a prendere le distanze, ti stai muovendo nel campo delle ipotesi ma delle ipotesi che hanno una lunghissima rincorsa di deja-vu, o quantomeno a fingere di non essersi accorti di quel che sta capitando, ci sono praticamente tutti coloro che, per status o per autoproclamato diritto naturale, quella rivoluzione dovrebbero averla cantata chissà quante volte, e non stai certamente solo parlando di canzoni, ma di vita, e trovi ancora più curioso il fatto che, sulla carta, ancora una volta a cantarla, sempre lì, parli di canzoni ma evidentemente non solo di canzoni, ci sia chi, questo sì un vezzo, ostenta contorni che quasi mai coincidono coi tuoi, a partire da quei contorni che non ti puoi scegliere, l’anagrafe, l’origine, la storia personale, ma che col tempo si smussano e diventano scelte, storie e posizioni, più o meno radicali.

Per questo, ti dici, in fondo è tutta una questione di attitudine, andando con le mode odierne a applicare a quella parola più una distorta versione inglese che quella inizialmente prevista dal nostro vocabolario, del resto è dall’Inghilterra, e questo vale sì per entrambi, che trai buona parte della tua ispirazione, che intravedi le tue radici, puoi essere stato sputato su questo pianeta da angoli apparentemente diversi ma se impari a muoverti con lo stesso passo è facile che prima o poi ti riconoscerai.

Quindi guardi alla rivoluzione, anzi, a La rivoluzione, con tutta una serie di aspettative, certo infastidito da quel rumore di fondo che hai letto in rete, quel vociare volgare, nel termine più snob possibile, tu che snob non sei stato mai, non avevi i titoli per esserlo, di chi da questa rivoluzione si aspettava la colonna sonora di una protesta sgangherata, magari giusta per certe istanze, ma decisamente fuori fuoco, roba da corna di muflone e forconi, figuriamoci, quando si dice volare decisamente basso, che in fondo è l’arma con cui sempre più spesso, noti, chi vuole tenere a margine tende a pigiare sul tasto “mute”, come se essere dissenziente coincidesse per non si sa bene che legge soprannaturale con l’essere parte di un altro coro, quello stonato, la polarizzazione, tanto stigmatizzata, è polarizzazione sia che si sia dalla parte dei “giusti” che se si tenda a fare di tutti gli altri il famoso fascio d’erba, prima o poi qualcuno dovrebbe prendersi l’agio di sottolinearlo con un evidenziatore fosforescente. Pensi che sarebbe bello se qualcuno, e mai nessuno come il qualcuno in questione, continui a trovare buffo questo tuo modo di fare di tenere nascosto l’ovvio, ma si chiama artificio letterario, mica te lo sei inventato tu, pensi che sarebbe bello che qualcuno e questo qualcuno nello specifico, si applichi a fermare su carta e su nota, in poche parole su spartito, anche se ti è parso di capire che non è su spartito che questo qualcuno scriva, quelle istanze di rivoluzione che, trasversalmente, giungono al campo di battaglia, come tanti diversi piani inclinati che convergono dalla stessa parte di quella usurata barricata, e aspetti, pensando che quasi sempre, ti hanno in qualche modo portato a pensare, rivoluzione e riscossa coincidono, una faccenda di popoli, di piazze, di colori, tutta roba che col qualcuno in questione, questo ha spesso meravigliato chi fatica a vedere oltre la superficie delle cose, vi ha visto distanti, non capendo come le idee sono molto più potenti dei colori, delle origini, delle storie personali, appunto.

Poi, una sera, durante le feste, hai ricevuto una semplice mail, di quelle con pochissime righe di testo, per altro giustamente dedicate agli auguri, e un allegato, La rivoluzione. È tardi, ma le feste sono feste anche perché gli orari te li puoi gestire un po’ come ti pare, perché in fondo una sferzata di rock anche violento, a questo pensi, di chitarre distorte e punk, si potrà pur confondere con le voci alte dei bambini che giocano a Taboo, quindi decidi di non aspettare un secondo di più, e fai partire il suono. Boom, la sorpresa. Quelle che ti spiazzano, ti lasciano spaesato, come quando sei alla guida su una strada che conosci anche troppo bene, di quelle che faresti anche a occhi chiusi e appunto ti accorgi che gli occhi, in effetti, li avevi proprio chiusi, un colpo momentaneo di sonno, una frazione di secondo, eh, giusto il tempo di accorgertene e di fermarti a bordo della strada, impaurito. Perché La Rivoluzione, La Rivoluzione di Enrico Ruggeri, Dio santo i titoli e le foto mica le mettono a corredo dei testi per riempire gli spazi vuoti, lasciamo da parte quel patto non detto tra scrittore e lettore, era di questa canzone, eponima del nuovo imminente album del Rouge che stavo parlando, singolo chiamato a aprire le danze in un mai come in questo caso enigmatico anno nuovo, vallo a sapere cosa ci attende dietro l’angolo, la ripartenza o la stasi definitiva?, la speranza come trappola o la disperazione come sabbia mobile?, La Rivoluzione di Enrico Ruggeri è un brano che spiazza e indubbiamente non lascia troppo spazio a tutta quella serie di ragionamenti, o sragionamenti, da cui questa mia riflessione è partita, il vociare, l’essere parte di un coro o dell’altro. Una canzone intensa come un titolo del genere prevede, è chiaro, ma che gioca la carta della disillusione laddove ci si sarebbe potuti aspettare la sferzata rock, le parole incaricate con una melodia larga di assestare i colpi alla figura, il riconoscersi in una generazione, questa sì larghissima, diciamo di quelli che hanno praticato la seconda parte del Novecento, a essere chiari, ma dentro la quale si possono riconoscere anche chi il Novecento si è limitato a leggerlo da qualche parte, magari nei libri trovati nelle librerie dei genitori, a colpire duro sui punti deboli, l’epicità che solo il sapersi sconfitti ma in piedi, “Vincitori di un grande girone, poi sconfitti in finale, perché quella sera avevamo da fare”, per dirla con parole sue, a aprire ferite dalle quali, mica è solo poesia, entra aria buona per respirare. La Rivoluzione, lo dico sapendo di disturbare, ma lo dico con la convinzione che una affermazione del genere merita e necessita, è la canzone del disincanto, ma di un disincanto affettuoso verso quello che si è stati e siamo ancora, “siamo quello che siamo, siamo quello che resta”. La versione laica, nel senso più spirituale possibile, de La storia di Francesco De Gregori, e non è un caso che a scriverla sia stato proprio lui, Enrico Ruggeri, anni fa mi ritrovai a mettere a confronto altre due loro canzoni, Guarda che non sono io, del Principe, e Sono io quello per strada, del Rouge, spesso collocati assai distanti in una ipotetica scacchiera, torno a parlare di colori, ma nei fatti figli dello stesso Novecento, di una visione ugualmente poco incline a far parte di un coro, non lasciamoci confondere dal fatto che gli altri abbiano avuto una percezione diversa. La Rivoluzione di Enrico Ruggeri non è la canzone che i tanti novelli dissenzienti magari si aspettavano di trovare, e viva Dio, stiamo parlando di un grande cantautore, non di un Povia qualsiasi, è la canzone di chi si mette a giocare la famosa partita di scacchi, quella in bianco e nero, cinematografica, senza voler imboccare scorciatoie, senza provare a scaricare i Punti Fragola del caso. Una canzone importante, probabilmente una delle più importanti del suo repertorio recente, meno corrosiva, in apparenza, di quelle tirate fuori coi redivivi Decibel, ma solo perché certe cose dette con dolcezza, volendo anche con la dolcezza di chi guarda a se stesso e al cammino intrapreso può indurre a pensare che si voglia essere autoindulgenti, una presa di posizione ulteriore da parte di chi, forte di una carriera lunga ormai oltre quarant’anni, si può permettere di non provare neanche a stare nel flusso, tenuto a bordo campo dalla macchina, il reato presunto quello di dire la propria, in questa costante volontà pelosa di riscrivere la storia, la esse minuscola è per una forma di benigna benevolenza nei confronti di chi è convinto che sia nell’omologazione necessariamente il giusto. Spiace per chi sperava in un inno antigovernativo, che ovviamente non sarebbe potuto arrivare, perché chi è fuori dal coro è fuori dal coro, mica solo fuori dal coro più nutrito, è piuttosto una canzone che ferma su traccia quel ritrovarsi a fare i conti con le proprie aspettative, i propri sogni, le proprie sconfitte, la propria vita.

Queste parole, è parte del gioco dentro il quale ci si ritrova a giocare anche non volendo, verranno fraintese, interpretate come difesa d’ufficio di chi difesa non cerca e da parte di chi non è certo chiamato a difendere, semplicemente parte di quel viaggio di cui noi “siamo una fermata scritta sopra un foglio da conservare”, poco importa se la stazione di partenza era diversa, se la meta d’arrivo poteva essere ipoteticamente differente. Siamo la Rivoluzione.