È secco e scabro La Scelta di Anne – L’Évenement, seconda regia di Audrey Diwan, vincitrice a sorpresa del Leone D’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ha incatenato i giurati e il pubblico all’oggettività sconsolata di un referto visivo di un’odissea personale. Quella della giovane Anne (la magnetica Anamaria Vartolomei), brillante studentessa di lettere di estrazione proletaria che, nella Francia del 1963, scopre improvvisamente di essere incinta.
La storia del film, in uscita il 4 novembre distribuito da Europictures e visto in anteprima al festival Venezia A Napoli, segue quella, autobiografica, che Annie Ernaux ha consegnato alle pagine del romanzo che in italiano s’è intitolato L’Evento. Come il libro, composto di brevi capitoli che raramente superano la pagina, La Scelta Di Anne scandisce la vicenda rispettando la cronologia asfissiante delle settimane durante le quali, decisa a non avere il bambino, la vita di Anne è composta solo di un tempo che scorre lento e interminabile, e di un corpo di cui auscultare le più impercettibili trasformazioni. Anche per questo il racconto della Diwan è condotto a distanza millimetrica dalla protagonista, indagandone minuziosamente la fisicità e l’angoscia crescente, dentro un mondo nel quale la sua decisione è inevitabilmente segnata da segretezza, solitudine e incertezza, in un paese in cui all’altezza del 1963 l’aborto era ancora vietato per legge e un’interruzione di gravidanza clandestina avrebbe esposto sia lei che l’eventuale medico che l’avesse eseguita a un’incriminazione penale.
Non si focalizza sull’opzione morale La Scelta di Anne: quella attiene a ragioni personali che sono sommariamente esposte ma non poste in discussione, e che però costituiscono anche il riflesso di una precisa condizione tanto di genere che di classe – al professore di letteratura che le chiede il perché del peggioramento del suo rendimento scolastico, Anne risponde di essere passata attraverso “la malattia che prende solo le donne, trasformandole in casalinghe”. E non negando la possibilità di diventare un giorno madre, aggiunge che “non vorrei però un figlio a costo della mia vita, finirei per odiarlo”.
Sconfortante, e restituito volutamente nella sua piena sgradevolezza, è l’universo di silenzio ipocrita e isolamento dentro cui Anne si trova gettata all’improvviso. Il ragazzo di Bordeaux che l’ha messa incinta, un buon borghese studente di sociologia, è incapace di assumersi qualunque responsabilità. Così la giovane donna passa attraverso medici bigotti che fingono di aiutarla e invece le somministrano una medicina che impedisce gli aborti spontanei; amiche che se ne lavano le mani dicendo che “non sono fatti loro”, implicitamente giudicandola male per essersi lasciata andare al suo umanissimo desiderio; e ragazzi che provano ad approfittare della situazione per portarsela a letto, visto che a quel punto “non c’è alcun rischio”.
La Scelta Di Anne, sebbene non si allontani visivamente mai dalla prospettiva del corpo e dell’afflizione della protagonista, è insieme anche un affresco sulla situazione culturale di un paese in cui tutto ciò che ha a che vedere con la sessualità resta taciuto e sconosciuto e la libertà di espressione del desiderio è unilateralmente condannata. Il fatto poi che la vicenda sia ambientata nella Francia dei primi anni Sessanta non può far dimenticare la sostanza militante di un film che parla all’oggi e alle latitudini in cui una vicenda come quella di Anne è ancora possibile, dove vige ancora il controllo dei corpi e delle pulsioni, e specificamente quelle delle donne. Perciò potrà anche apparire ricattatoria e non neutrale l’insistenza sul pedinamento con camera a mano della protagonista, ritratta mentre prova a intervienire in prima persona sul proprio corpo per abortire. Ma ciò non accade perché la regia intenda puntare su di una soluzione effettistica. Il tentativo, semmai, è quello di evitare qualunque eufemismo o ambiguità, restituendo la letteralità di un’esperienza umana che non offre vie d’uscita pacificanti.
La Scelta di Anne è una vicenda di sofferta autodeterminazione, in cui la protagonista è sballottata in una crudele, come la definisce qualcuno, “lotteria”, in cui se il referto del medico riconosce l’aborto come “spontaneo” si è salve, altrimenti si rischia la galera. È una storia in cui la protagonista deve attraversare un calvario di solitudine e di riprovazione morale da parte della società intorno a lei, rischiando di perdere tutto ciò cui ambisce per il suo futuro, mettendo a repentaglio l’incolumità della sua stessa vita. Ed è di fronte a questo paradosso che viene posto lo spettatore, sottoposto a una visione che non lo blandisce e non lo conforta, che ha la durezza di un tavolo anatomico, in cui è l’estetica a a essere plasmata dall’urgenza del messaggio e non il contrario.