Il manicomio Italia non è più raccontabile

Che dovrebbe ancora scrivere uno come me, che insegue la cronaca da 30 anni e ormai ha dubbi non sulla realtà del Paese ma su quello che vede perché gli pare tutta un'allucinazione?


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Fare questo mestiere si sta rivelando maledettamente difficile, sempre di più. Al limite dell’insanità mentale. O ti adegui alla follia imperante e scrivi che tutto va bene, oppure non capisci e se non capisci non puoi raccontare quello che a te pare impossibile, ribaltato in una confusione demoniaca. Che deve pensare, per esempio, uno che come me insegue la cronaca da 30 anni se riceve conferma da testimoni in loco di quanto sospettava da tempo e cioè che il centrodestra è felice come chi ha scampato un pericolo mortale? Avevano il terrore di vincere a Roma, città dei cinghiali che considerano ingestibile. A Milano non ci hanno neanche provato, sapevano di non avere possibilità, a Torino sono rimasti in bilico ma alla fine è andata bene, hanno perso. A Roma all’inizio Salvini e Meloni erano preoccupati dalle divisioni a sinistra, poi si sono rasserenati, hanno capito che con un candidato gaffeur come Michetti non c’era rischio. Chi glielo faceva fare? Roma dei roghi, della burocrazia ladra, delle mafie venute dall’Abruzzo o indigene la Banda della Magliana che non muore mai, e ogni amministrazione deve scenderci a patti, fare quello che vogliono le cosche, il sindaco a Roma è un prestanome, una copertura. La destra perdendo fortissimamente le amministrative voleva anche dare un segnale preciso: non preoccupatevi che il manovratore non lo disturbiamo, se la pigliasse lui la grana di instaurare il regime duro, a noi basta arrivare fino ai soldi del Recovery da spartire tra i partiti.
E Draghi, l’autocrate, non chiede di meglio. Il lasciapassare è misura folle, che il mondo intero considera patologica, ma lui insiste: che deve scrivere il cronista di fronte all’ostinazione di un potere che prometteva la fine dello Stato autoritario col 70% di copertura vaccinale, poi portata all’80%, quindi rivista al 90% e adesso si sente dire che non basterà il 100%, che con la terza dose si ricomincia da capo e le restrizioni varranno “finché servono”, cioè finché lo decide Draghi? La stampa serva tutto questo lo chiama democrazia, Stato di diritto, ma se uno vuole dire la verità, allora deve dire che è tutto l’opposto, che l’Italia sta dentro quello che testate progressiste come il New York Times e il Washington Post definiscono “esperimento sociale”; e intendono: per conto della Cina. Posto che, come dicono voscienze scienziate, il 100% non basterà, si pretende una vaccinazione ciclica dalle 10 alle 20 volte l’anno (ma sì, che sarà mai?). Fino a quando? La risposta, l’unica, non può che essere: per sempre. Con quale utilità? Nessuna. Lo slogan per il manicomio Italia potrebbe essere: greenpass e divieti. E c’è chi approva felice.
Che dovrebbe raccontare il cronista spaesato constatando che abbiamo un ministro di pubblica sicurezza secondo il quale i poliziotti picchiatori stanno a verificare la forza ondulatoria dei blindati? Curioso ministro, questa Lamorgese: i fascisti li lascia fare perché sono pericolosi, sono maneschi, i portuali seduti col rosario fra le mani si possono legnare e affogare con gli idranti. E il capo della Cgil approva, dice che il loro sciopero è una vergogna, che le manifestazioni contro il governo vanno proibite e i facinorosi hanno avuto quel che meritavano. Quindi si fa una passeggiata sottobraccio, tutto fiero, col primo ministro Draghi, un banchiere, salvo proclamare da un palchetto che la proprietà privata equivale a uno stupro. Poi dice che uno si deprime a scrivere. Ma come fai a raccontare quello che non capisci tu per primo? Perché non lo capisci più, ti pare tutto un incubo, un mondo ribaltato. Hai 57 anni, vieni da una storia di populismo socialista per cui i sindacati stanno, almeno a parole, coi lavoratori e un giorno scopri che i lavoratori per i sindacati vanno bastonati alla bisogna; ti avevano insegnato che lo sciopero era un totem intoccabile e di colpo scopri che no, è un diritto da limitare, da negare, sempre per bocca dei sindacati. Ma andiamo avanti. C’è un supermanager caduto nella polvere, è l’ex onnipotente Arcuri cui è stata delegata la gestione completa dell’emergenza pandemica. Questo Arcuri copre una trentina di incarichi, un decisionista fulmineo, uno che irride i “liberisti da divano” e ha acquistato 800 milioni di mascherine dalla Cina al prezzo di 1,2 miliardi, salvi i 67 milioni di tangenti spartite da alcuni faccendieri tra i quali un ex giornalista Rai, mentre la sanità pubblica, impoverita da tagli continui, non riusciva ad arginare i contagiati. Mascherine definite da quelli che dovevano testarle “di merda”: non servivano a niente, erano letali, “se uno la mette si infetta di sicuro e trasmette il Covid”. Arcuri l’ha imposta a ospedali, scuole, pubbliche amministrazioni, privati cittadini. Ne sono avanzati 230 milioni e il successore, generale Figliuolo, con la penna da alpino sul cappello, vuol rifilarle ad altri comparti burocratici. Sono morte 132mila persone per mascherine killer e mancanza di cure domiciliari ma i media mainstream non se ne accorgono, in compenso sono scatenati nella damnatio per chi non si prostra al greenpass che di fatto impedisce di vivere. Ha detto Draghi con umorismo bancario: ringrazio tutti i cittadini che si sono convinti. Convinti? Sì, come chi ha ceduto al ricatto ma adesso non ne può più: la campagna vaccinale si è quasi fermata, i tamponi antigenici saliti del 57% in un mese, i certificati di malattia esplosi, proteste e manifestazioni sorgono da Trieste in giù e il governo annuncia il pugno di ferro, cioè la dittatura progressiva. Poi apri i giornali e vedi che i colleghi, si fa per dire, la chiamano democrazia consapevole.
Il governo non ha strategie e non ha soldi; blocca ancora i licenziamenti, blocca gli sfratti e rifinanzia il reddito di cittadinanza che è come dire: tanto il lavoro non lo troverete, accontentatevi. Misure con ogni evidenza volte a prendere tempo per perdere tempo in attesa dei fondi europei, che sono soldi italiani prestati a debito e che, se mai arriveranno, nell’arco di anni, saranno come gocce nel deserto. A giudicare l’uso promesso dei fondi da Bruxelles, il solito assalto alla diligenza, sembra debbano arrivare non duecento miliardi ma duecento triliardi. Ma il Capo dello Stato parla di economia italiana ruggente, la più espansiva al mondo. Tra i grandi sprechi, quello della transizione digitale che per ora si risolve nell’obbligo di acquistare nuovi apparecchi televisivi. Però niente paura, c’è il bonus. Una repubblica fondata sul bonus. Intanto che aspettiamo il nuovo ordine intelligente, case intelligenti, auto intelligenti, umani deficienti, si susseguono gli hackeraggi come nelle serie televisive: Inps, Regione Lazio, Regione Lombardia, Cgil, Asl Toscana, da ultimo la Siae e qui finiamo nel grottesco: “Abbiamo i dati di 3 milioni di artisti” dicono i pirati chiedendo un riscatto elettronico di 3 milioni di euro in bitcoin. Che a uno gli verrebbe anche voglia di farsi i fatti di Vasco Rossi, Renato Zero e compagnia cantante. Fedez no, lui dalla Siae è uscito, più che un artista è un influencer, un imprenditore digitale. Ma il presidente Mogol, di professione paroliere, ha tuonato: “Per carità, non pagheremo mai”. Poteva anche dire ai ricattatori: io vorrei, non vorrei, ma se vuoi… Adesso chi la sbroglia la matassa degli hacker? Il genio Colao, quello che vede il mondo fatto a slide?
Sistemi permeabili alle intrusioni e ai grandi affari loschi dello Stato. Arcuri è stato indagato per peculato e abuso d’ufficio ed è spuntata una interessante corrispondenza elettronica con Ali Baba, il colosso della distribuzione cinese il cui capo Jack Ma, sorta di Bezos cinese ma molto più grande, si era montato la testa al punto da irritare l’illuminato dittatore Xi Jinping che lo ha punito al modo cinese, cioè lo ha distrutto. Sic transit gloria mundi! Nel suo piccolo il nostro Arcuri, convocato dai magistrati, si mormora abbia spiegato: signori, o la chiudiamo qui oppure io debbo fare i nomi di quanti mi stavano dietro lungo la via della Seta, nomi che conoscete benissimo anche voi e come sapete sono molto, molto imbarazzanti perché salgono su, su fino in cima: vi conviene? I giudici avrebbero risposto che ci penseranno.
C’è un programma, Fuori dal Coro, condotto da Mario Giordano che ogni settimana fa vedere i casi incredibili dei ladri di case: sedicenti stiliste del lusso, nigeriani legati alla mafia, egiziani violenti che tengono nel terrore un intero caseggiato in quel di Abbiategrasso, semplici balordi o delinquenti che si installano in abitazioni altrui, non le mollano e non pagano la pigione. Coi proprietari che si rovinano progressivamente, perché oltre a non incassare debbono pagare le spese e le tasse. Tra i casi, quello, incredibile, di un sindacalista Cobas che di giorno difende i diritti dei disoccupati, la sera rientra nella casa di un disoccupato malato. Non schioda e non c’è verso di farlo uscire. Le leggi tutelano gli abusivi e questi lo sanno, gli ufficiali giudiziari fanno i pesci in barile, si arriva al parossismo per cui se anche uno si decide a levare le tende, il legittimo proprietario non può rientrare, se no compie effrazione della sua abitazione. Ne esce il solito rimpallo immondo tra magistrati, legislatori, burocrati e forze dell’ordine che intervengono poco e svogliatamente. Anche perché, di solito, sono proprio i ladri, gli abusivi a chiamarle, minacciando quelli che stanno truffando oppure i giornalisti molesti. La morale è che lo Stato gli onesti li massacra ma i farabutti li rispetta, forse considerandoli affini. Che dovrebbe ancora scrivere uno come me, che insegue la cronaca da 30 anni e ormai ha dubbi non sulla realtà del Paese ma su quello che vede perché gli pare tutta un’allucinazione?