Marcell Jacobs straccia tutti a Tokyo sui 100 metri: tu chiamala, se vuoi, rosichescion

Gli Inglesi a perdere non sono proprio capaci, buttare là semi maligni, senza concretezza, giusto per avvelenare i pozzi, non è informare, è scandalismo, è la meschinità del pezzente

Photo by Bob Ramsak (commons.wikimedia.org)


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Ma avranno anche un po’ rotto i coglioni? Gli inglesi, che campano abusivamente in fama di sportivi, di decoubertiani, a perdere non sono proprio capaci: le buscano nella loro chiesa, Wembley, e s’attaccano ai pretesti più mocciosi: non vale, si rigioca, ci hanno fatto i falli, non avevano giocatori colored, il portiere ci ha parato i rigori. Con simili presupposti, sono riusciti a raggrumare centocinquantamila imbecilli (dumb, nella loro lingua) per metter su una petizione demenziale che pretenderebbe di rigiocare la finale. Non contenti, hanno pestato i tifosi italiani all’uscita dello stadio. Non contenti, hanno provato a boicottare i ristoranti italiani a Londra, proposito subito abbandonato perché anche a tavola, avessero pazienza, proprio non c’è partita.
Manco il tempo di vomitare pudding al fiele, che Marcell Jacobs si permette di stracciare tutti a Tokyo sui 100 metri: non l’avesse mai fatto, lesa maestà, il Times (con la sponda del Washington Post) si scatena in una ridda miserabile di detto e non detto, ah questo italiano, come fa a correre così forte? E praticamente gli danno del drogato; dopodiché, non bastandogli, s’attaccano alle sue scarpette da corsa, del tutto regolamentari e peraltro adoperate da mezza batteria in finale. Eh, quanto è facile pigliar d’acido quando non si hanno argomenti e non resta altro da fare: tu chiamala, se vuoi, rosichescion, Celentano potrebbe farci un nuovo rap.
Ce n’è pure per l’altro nostro campione dorato, Gimbo Tamberi, accusato di viltà siccome “s’è messo d’accordo” con l’amico Barshim per spartirsi la medaglia. Ma che doveva fare Gimbo? Giocarsi un oro già vinto a termini di regolamento?
Certo, poi si potrà dire che la critica, anche quella sportiva, deve andare oltre i facili trionfalismi, deve scavare, seminare dubbi e perfino sospetti, che i precedenti non mancano. Qui però più che fame di verità pare roba da morti di fame, dietrologia d’accatto della più volgare. Hai delle pezze d’appoggio? Hai elementi per sostenere le insinuazioni? Allora prodicile, fa’ l’inchiesta partendo da quelli e assumiti le tue responsabilità di giornalista. Buttare là semi maligni, senza concretezza, senza risvolti fattuali, giusto per avvelenare i pozzi, non è informare, è l’esatto contrario, è scandalismo, è la meschinità del pezzente. Alimentato da quell’infallibile disfattismo che non ci facciamo mai mancare, da quel senso di inferiorità che fa tanto provinciale del mondo, esterofilia macchiettistica alla Nando Mericoni. O alla Marco Travaglio, uno che con quel disperato atteggiarsi a Montanelli (si dice si costringa a digiuni quaresimali per evocarlo almeno nel fisico) in sedicesimo francamente ha stufato, tanto più che non sussiste il più esiguo margine di paragone. Questo isterico del cilicio e della manetta, più gufa contro gli sportivi azzurri e più quelli vincono un po’ in tutte le discipline, mentre lui perde lettori e credibilità residua.
Ma perché devono sempre rompere i coglioni? Perché se l’Italia sportiva non vince è rappresentativa di una nazione fallita e se vince c’è sotto qualcosa, si è drogata, è una manovra contro gli amici degli amici politicanti? Ma che sono ‘ste puttanate monumentali? Sui velisti d’oro, Tita e Banti, che potranno dire? Che avevano un motorino nel gavone? Che hanno piazzato un ventilatore alla Fantozzi per filare più lisci? Su Dell’Aquila, primo assoluto nel taekwondo, che menava troppo forte? Ma poi che lezioni deve dare gente capace di insultare i suoi calciatori col razzismo più becero siccome hanno fallito nei rigori di una finale? Che cosa hanno da insegnare anche nell’informazione, ormai degradata ovunque a puro esercizio di ringhiera, appendice di Striscia la Notizia, del Gabibbo? E quanti sono i Gabibbi in Europa e nel mondo?
Gli italici, popolo emigrante per retaggio, faticano ancora oggi a ritrovare un comune sentire e appena si azzardano, qualcuno li offende, li umilia col solito armamentario della pasta e della mafia. E noi abbozziamo: proveniamo da una strana sottocultura ideologizzante che ci ha insegnato a disprezzare tutto del nostro Paese, ad affidarci agli altri a mani giunte, a scusarci di esistere, non sia mai di vincere. C’è chi dice che sono gli anticorpi contro il virus mussoliniano, convogliati nella Costituzione antifascista; che dalla parte democristiana, cattolica non si osava esaltare l’Italia per non irritare l’alleato comunista il quale preferiva la cittadinanza della terza internazionale. Ragioni, distorsioni storiche che lasciano il tempo che trovano e che comunque a ottant’anni di distanza sembrano ampiamente superate. Oggi siamo qui a doverci giustificare – con chi? Perché? – avendo vinto qualche torneo, qualche primato. Dovesse venir fuori, per pura ipotesi, che Marcell Jacobs si è bombato come manco Ben Johnson, non dubitassero che saremo i primi a vergognarcene e a dare di matto: in questo non ci batte nessuno, abbiamo una patologia psichica, se non ci sputacchiano addosso da oltre confine, provvediamo da soli.
Ma fino ad allora, zitti e buoni, please: vedete un po’ di ricordare quale sia lo spirito olimpico, sportivo. O, detto alla maniera di Oxford: non rompessero più i coglioni, che ormai affondano nelle sabbie mobili del patetico