Quello che Elisa forse non considera

L'industria discografica non è solo maschilista, è soprattutto mortalmente volgare e banale

Photo by Adriana Tedeschi


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Qualche giorno fa la cantante ed autrice Elisa ha affidato alle proprie pagine social una confessione – sfogo che ha avuto comprensibile diffusione. Rileggiamola:

Sei carina, pensa a cantare. Lascia stare la scrittura. Avevo quindici anni e quelle parole mi fecero venire una gastrite che durò per dei mesi. Avrei dovuto lasciar stare anche la produzione, gli arrangiamenti, la curiosità per tanti strumenti, perchè era tutto troppo. Sarebbe bastato sorridere, “mettermi carina”, cantare bene e “tenermi da conto”. Queste sono state le parole di un produttore maschilista in cui sono inciampata prima ancora dei miei esordi. Per me sono state solo altra benzina, amara si, ma pur sempre buona per spingere ancora più giù l’acceleratore.

Nella temperie dell’epoca storica che stiamo vivendo sarebbe facile, come è puntualmente avvenuto, associare queste parole ad una mera rivendicazione femminista, ma ad avviso di chi scrive questo episodio rivela qualcosa di ben più ampio, almeno relativamente all’argomento specifico.

Beninteso, nessuno dubita che il discografico x con cui Elisa ebbe a che fare fosse effettivamente anche un maschilista, ma per così dire il suo maschilismo era probabilmente inscritto in una inadeguatezza complessiva che è bene rilevare e stigmatizzare. Il suo giudizio avventato e volgarotto infatti è stato pesantemente smentito da oltre venti anni di carriera della musicista friulana che, come molti altri, maschi e femmine, deve molto della sua popolarità dal fatto di NON aver prestato ascolto ai discografici.

I quali molto spesso non hanno alcuna passione, competenza, visione, esperienza. Da questo punto di vista le parole di Elisa rischiano quasi di apparire parziali di fronte ad una simile desolazione. Il discografico della vicenda da lei raccontata fa parte di quella schiera molto bene messa alla berlina dal cantautore Francesco Baccini nella prefazione al mio libro “La Musica e i suoi Nemici”; nei suoi ricordi c’è tutto il campionario della tracotante boria disalfabetizzata di questi individui, i quali da semplici “gestori” si sono poi tramutati in “interpreti del mercato”, non capendoci nulla, ma inquinando ugualmente i pozzi di un settore culturale che, invece, avrebbe bisogno della guida di personaggi capaci di coltivare la profondità e l’azzardo.

Baccini nel suo racconto ci mette a contatto con le banalità, i luoghi comuni, le forzature che animano le convinzioni di questi discografici; sono convinto che le esperienze di Elisa saranno analoghe. E si ritenga fortunato invece chi ha incrociato altre traiettorie umane…

Torniamo dunque sul punto: il maschilismo del discografico x non era altro che l’ennesimo elemento di bassezza di un mondo che si muove attraverso l’inerzia dei luighi comuni, come in una paradossale commedia. Non credo che costui avrebbe dimostrato maggiore sensibilità verso un maschietto, cui avrebbe probabilmente sciorinato simili amenità, magari con un tono differente.

Che le parole di Elisa siano – ad ogni modo – il propulsore per “spingere l’acceleratore” tutte quelle volte che si comprende che la musica non è fatta per compiacere colui o colei da cui ci si aspetta un aiuto, ma per seguire la propria stella e il proprio talento. A qualsiasi prezzo. Brava fu l’Elisa di allora, bravi saranno coloro che agiranno alla stessa maniera.