Giovanna Marini candida Piero Brega alle Targhe Tenco, io con lei

Lascio che a supportare quest' idea sia l’artista, nonché musicologa e ricercatrice, che più di ogni altro in Italia ha voce in capitolo riguardo la musica legata alle tradizioni locali


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Ho un dubbio amletico, quello che ha generato le due domande spacciate per una riguardo l’essere, ma che nello specifico, traslando, è una sola domanda, sempre di carattere esistenziale: esiste un luogo nel quale non sia il caso che io eserciti la mia attitudine anarcoide, quella che mi spinge a suonare a volte ironico, a tratti sprezzante, in tutti i casi non allineato a un comune modo di vedere la professione del giornalista musicale, io che giornalista non sono?

Me lo chiedo non perché qualcuno mi abbia fatto notare che a volte esagero, andando sopra le righe. Esagero sempre, non qualche volta, sopra le righe ci ho preso la residenza, non c’è bisogno che qualcuno mi certifichi nulla, e quel mio vivere lì è frutto di una scelta specifica, non di una casualità. Me lo chiedo perché ho ben presente che ci sono occasioni nelle quali è il caso di farsi da parte, stare a bordo campo, o più semplicemente allinearsi, perché stare altrove sposterebbe su di me l’attenzione e invece l’attenzione è necessario sia altrove.

Faccio un esempio, mi viene comodo. Non indosso mai giacche e camice. Non per una questione ideologica, è evidente, né per una faccenda di disallineamento a un sistema che vuole che gli uomini, da un certo anno in poi, parlo degli anni anagrafici, vestano da “adulti”, cioè indossando appunto giacche e camice, ovviamente anche cravatte e compagnia bella. Non sono così naif, dai, non scherziamo. Non indosso giacche e camice perché tendo a non dare troppa importanza al look, quindi opto quasi sempre per scegliere magliette e jeans, che rispetto ai completi e le camice presentano decisamente due vantaggi, sono più comodi, molto più comodi, e costano decisamente meno, le t-shirt spesso sono anche gadget che mi arrivano per motivi che immagino il mio indossare spesso t-shirt giustifica. Non indosso mai giacche e camice, ma se mi invitano a una qualche cerimonia, penso a un matrimonio, un anniversario, una laurea, faccio serenamente eccezioni a questa regola che mi sono autoimposto. Senza alcun fatica, nel senso che senza alcuna fatica faccio eccezione a questa regola che a sua volta senza alcuna fatica mi sono autoimposto. Non lo facessi risulterei, credo, non tanto uno che non si allinea, quanto uno eccentrico che vuole attirare attenzione nel giorno sbagliato.

Sono faccende di poco conto, è evidente, che implicano scelte e conseguenze di poco conto. Ma credo renda bene l’idea.

Anche il mio scrivere, lo stile, la modalità, il mio essere presente in quel che scrivo, lo scrivere pezzi lunghissimi, contorti, arzigogolati, nei quali l’argomento trattato arriva sempre dopo un numero spropositato di parole, alla fine, a volte, tutto questo potrebbe sembrare faccenda di poco conto. Potrei scrivere un articolo, si badi bene, articolo, non pezzo, secondo i canoni, duemilacinquecento battute, tutto già spiattellato nelle prime due frasi, e nessuno ne morirebbe. Ma è il mio mestiere, non la t-shirt che sto indossando, e io tendo a dare al mio lavoro un peso un filo più specifico, tendo a pensare che la forma sia sostanza e mi regolo di conseguenza. Solo che oggi vorrei parlare di un paio di faccende che mi spingono a chiedermi se, almeno per oggi, non sia il caso di diventare più canonico.

Chiaramente, nel porre questi miei dubbi al vostro involontario giudizio, giudizio che evidentemente non ha alcun modo influenzare la mia scelta, il giudizio arriverà dopo che avrete letto, o mentre leggete, mentre il mio porre i miei dubbi alla vostra attenzione avviene mentre scrivo, quindi con un gap temporale che genera un paradosso, non se ne esce, sto già violando questo mio ipotetico veto al pormi al centro della scena, perché sono circa cinquemilaseicento battute, poco meno di mille parole, il doppio di quante ne scriverei se mai decidessi di stare in quei canoni, dando vita a un articolo di quelli che rientrano a pieno titolo nella “normalità”, ché è di me che sto in fondo parlando, e lo sto facendo alla mia maniera, passeggiando accompagnato da un pavone al guinzaglio sopra le righe, ma il pezzo, che ovviamente sarà lungo come sempre, potrebbe a breve prendere tutta un’altra direzione, stupire, forse, o quantomeno invertire la rotta, portate ancora un minimo di pazienza.

È che stiamo per arrivare alla prima fase di selezione delle cinquine che concorreranno alle Targhe Tenco. Funziona così, i giurati, che stando a quanto appare online sono circa trecentocinquanta, ma che credo siano di più, io ne faccio parte anche se lì non compaio, per fortuna, posso indicare tre nomi per le cinque categorie in gara. Miglior Album in Assoluto, Migliore Canzone, Miglior Album d’Esordio, Miglior Album in dialetto, Miglior Album a Progetto. Per orientarsi, in teoria, i giurati hanno a disposizione una piattaforma, dove artisti, discografici, promoter, altri giornalisti, possono caricare le opere. Però, siccome non esiste una specifica per cui un album possa o meno concorrere alle Targhe Tenco, uno può decidere di votare anche un album che lì non è presente. Tutti i lavori pubblicati da giugno 2020 a maggio 2021 sono in gara, senza limitazioni di genere. Per cui, faccio il caso, io decidessi di votare la nuova canzone di Baby K come Migliore Canzone nessuno potrebbe impedirmelo. Poi, è chiaro, le canzoni che vanno alla fase successiva sono quelle che ricevono più voti, quindi votassi Baby K suppongo che starei sprecando un voto, come chi vota alle elezioni quelle microliste di quartiere, o quella di Giuliano Ferrara, ma era per spiegare. Quest’anno, sempre per rendere chiara la faccenda, nella categoria Miglior Album d’Esordio, una delle più interessanti proprio perché chi vota si trova a ascoltare spesso lavori che altrimenti non potrebbe neanche sapere che sono usciti, tale è la quantità di lavori che rientrano in questo specifico sottogruppo, sono in gara album come quelli di Emma Nolde, che probabilmente è uno dei più interessanti usciti in Italia negli ultimi mesi, ma anche l’esordio solista di un Big come Francesco Bianconi, con una carriera decennale nei Baustelle ma qui in gara perché per la prima volta da solo, e una Madame, esordiente di lusso, con una iperproduzione alle spalle. C’è di tutto, e poco conta che io vorrei arrivasse in finale Indifesi di ChiaraBlue, a vedersela per la vittoria saranno quei tre lì, soprattutto gli ultimi due.

A breve scade il tempo per votare al primo turno e come sempre succede in questa parte dell’anno, in questi giorni è un continuo ricevere mail e telefonate dagli uffici stampa, lì a sostenere e spingere i loro assistiti. Lavoro legittimo, credo che il solo senso delle Targhe Tenco sia questo, in fondo, forse un po’ stressante, ma stiamo parlando di inezie.

Nelle edizioni passate, diciamo da che ho ripreso a scrivere di musica, mi sono quasi sempre incriccato con gli organizzatori delle Targhe Tenco, al punto che, dopo una prima polemica sulla modalità di selezione dei lavori in gara, ai tempi erano gli organizzatori a fare una prima discutibile scrematura, mi hanno tirato dentro la giuria, della serie A letto col nemico. Questo non ha ovviamente cambiato nulla, ho continuato a incriccarmi con gli organizzatori, quasi tutti gli anni, compreso lo scorso. Ciò nonostante sono ancora lì, anche quest’anno.

Ora, consapevole che questo sia un anno particolare, perché arriviamo da dodici mesi di pandemia, e quindi da molte meno uscite del solito, almeno nel mainstream, e perché nonostante fosse legittimo aspettarsi che chi fa la cosiddetta musica d’autore si prendesse la briga di raccontarci quel che stiamo vivendo, quasi nessuno lo ha fatto, deludendo, parlo per me, delle aspettative, vorrei provare a fare una proposta. E vorrei provare a farla facendo il passo indietro di cui parlavo prima, portate ancora un poco di pazienza e mi vedrete scomparire, puf, una nuvola di fumo e via, come Houdini.

Un invito rivolto più che altro ai miei colleghi, è evidente, nell’accezione propria delle Targhe Tenco, che quindi vedrà come tali anche gente che nella vita fa tutt’altro, ma ci sta, chi sono io per rivedere le regole, manco volevo starci in quella giuria…

Questa la mia proposta/provocazione, perché non assegnare in quest’anno particolare la Targa Tenco come Miglior Album in Assoluto a Piero Brega, artista che per la musica d’autore, e quella particolare forma di musica d’autore che affonda le radici nella tradizione, nel folklore, ha fatto così tanto in una carriera che supera i cinquant’anni? Il suo Mannaggia a me rientra nelle caratteristiche per poter concorrere, e credo che ideologicamente sarebbe un chiaro segnale di quello che la musica d’autore dovrebbe essere, stando almeno alle istanze che hanno generato il Club Tenco e le medesime Targhe. Non che io abbia qualcosa contro un Tedua o un Rkomi, intendiamoci, non fanno parte del mio mondo, non potrei mai avere qualcosa contro chi neanche intercetto, e so che Exuvia di Caparezza è un album gigantesco, meritevole di ogni onorificenza come del resto il suo predecessore, così come so che meriterebbe un premio Margherita Vicario col suo Bingo, o My Mamma dei La Rappresentante di Lista, un album importante e non solo musicalmente, ma se si vuole essere radicali forse tocca procedere per strappi più che picchi, Caparezza e Margherita Vicario hanno giustamente tutte le attenzioni che meritano, credo sarebbe il caso di accendere i riflettori su chi li meriterebbe ma è da sempre defilato, rispetto ai media tradizionali e il mainstream, a appannaggio solo di chi segue la musica d’autore, appunto, e torniamo alle Targhe Tenco.

Siccome però io sono un cagacazzi, quello che fa polemiche, e l’endorsement di un cagacazzi vale quel che vale, lascio che a supportare questa idea sia l’artista, nonché musicologa e ricercatrice, che più di ogni altra e ogni altro in Italia ha voce in capitolo riguardo la musica che parta dalle tradizioni locali e si elevi a pura lingua e medium nazionale, Giovanna Marini.

Se non avete idea di chi io stia parlando, bene, anzi, male, malissimo, vi invito a smettere di leggermi e andare a fare le vostre debite ricerche, perché stiamo parlando di un monumento paragonabile, che so?, a uno di quelli che rendono Roma Roma o Firenze Firenze, ignorali non è giustificabile.

È lei a scrivere queste parole appositamente per noi, inedite, parole che vanno lette esattamente per quello che sono, l’invito a riconoscere un ruolo, a prendere una posizione, a schierarsi, il tutto fatto da chi ha dedicato la propria vita alla musica d’autore, tradizionale, come studiosa e come autrice, oltre che come interprete.

Piero Brega e il suo Mannaggia a me come candidato alla Targa Tenco come Miglior Album in Assoluto, quindi, la parola a Giovanna Marini:

“Io dico che Piero Brega è l’ultimo erede di quella lunga scia di poeti, filosofi, cantautori, che sanno raccontare cantando i nostri giorni e farne giorni cantati. Viene da lontano come il Cantacronache prima di lui. Poi insieme a lui, nel tempo, amici, fratelli e sorelle come Fausto Amodei, Rosa Balestreri, Caterina Bueno, Paolo Pietrangeli, Ivan della Mea, Antonio Infantino, Enzo de Re. Tutti poeti con i piedi nella musica popolare  e la testa nella canzone d’autore. Quale la differenza? Dove sta prima l’uno o l’altro? Non l’ho mai capito. Ma ascoltando Piero Brega e le sue ultime canzoni che ha raccolto sotto il filosofico titolo di Mannaggia  a me, ritrovo proprio quella consuetudine. Quella scrittura. Un modo di fare musica che prende corpo nell’oggi, che rientra a piene mani dentro la nostra quotidiana esistenza e ne contrappunta l’andare e lo svolgersi dei giorni. I sogni, gli amori, le delusioni, il blues, le folate di vento, le giornate di sole. Come se ne fosse un nuovo concreto megafono, una sacra rappresentazione, un teatro popolare, una forza positiva. Diceva Pier Paolo Pasolini la musica è l’unica azione espressiva alta e indefinibile. Ma se alla musica, dico io, aggiungi le belle e potenti parole che fabbrica Piero, allora quella canzone diventa azione precisa e molto definitiva. Uno strumento popolare e con una funzione precisa. Cantare i nostri giorni, le nostri azioni e proiettarci verso l’arte dell’incontro, verso la nostra stessa vera vita. La musica d’autore è popolare ed è popolare perché prende forma dalle cose  e nelle cose, e le trasforma. Lo faceva anche l’arte di Joseph Beuys. La canzone di Piero Brega è dunque scultura. Scultura che si trasforma. È arrivata a trasformare i giorni cantandoli. È arrivata a dirci ancora che la musica d’autore torna ad essere popolare, è una storia giusta.”

Giovanna Marini