Governance, la seduzione del potere nel thriller con Massimo Popolizio su Prime Video

Dal 12 aprile sulla piattaforma un ritratto non comunissimo per il cinema italiano sul mondo della grande impresa. Al centro un mefistofelico manager disposto a tutto

Governance

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A dieci anni dall’esordio con un film ambizioso e irrisolto, L’Erede, l’italo-francese Michael Zampino torna alla prova del lungometraggio con Governance – Il Prezzo Del Potere, targato Adler Entertainment, dal 12 aprile su Amazon Prime Video. Nell’opera seconda il regista, forte d’una lunga esperienza di lavoro nel settore dell’energia, scrive con Heidrun Schleef e Giampaolo Rugo una sceneggiatura sulla storia di un top manager di un’azienda petrolifera, Renzo Petrucci, incarnato da uno dei più incisivi attori italiani di oggi, Massimo Popolizio, una vita per il teatro e sempre più puntate al cinema (La Grande Bellezza di Sorrentino, Il Giovane Favoloso di Martone, anche il non semplice Mussolini della commedia grottesca Sono Tornato di Luca Miniero).

Ovviamente Petrucci è un dirigente senza scrupoli, perfetto nel gestire quel genere di problemi che si risolvono non al tavolo dei consigli d’amministrazione ma nelle segrete stanze. E lui sa farlo perché è uno che s’è costruito la carriera dal nulla, un uomo del popolo, che infatti ama mostrarsi come tale, girando in maniche di camicia ed esibendo spavaldo l’accento romano.

Per questo è il tipo di personaggio che, nei momenti in cui un’azienda è in odore d’inchiesta e deve ripulirsi l’immagine, diventa sacrificabile. Renzo pensa che a fargli le scarpe sia l’elegante manager francese Vivian (Sarah Denys), nuovo acquisto che parla continuamente di green economy: insomma, nei modi e nelle idee, il suo esatto opposto. Una sera l’affronta a brutto muso e finisce per ucciderla in un inseguimento in automobile. Insieme a lui c’è Michele (Vinicio Marchioni), amico che si porta dietro dai tempi della gioventù, ex galeotto cui Renzo ha promesso un lavoro da gestore d’una pompa di benzina della sua azienda. Michele si sente in colpa, ma resta in silenzio. E, anzi, comincia pian piano ad approfittare della situazione, alzando la posta delle richieste per l’impiego che potrebbe cambiargli la vita. Intanto la polizia indaga: per Renzo tutto potrebbe crollare da un momento all’altro.

Governance è un thriller che cerca di aprire uno squarcio sul mondo della grande impresa, non tra i più frequentati dal cinema italiano, più a suo agio con commedie e storie intimiste che con i ritratti di industriali (i casi più recenti che mi vengono in mente, pochi, sono Il Capitale Umano di Virzì, non uno dei suoi film migliori, e Il Gioiellino di Andrea Molaioli). Anche per questo, quando pensiamo a figure simili nel nostro cinema, a venire in mente sono per primi gli ambiziosi senza talento, e per questo tanto tragici che ridicoli, tratteggiati da Sordi (Il Vedovo, Il Boom) e molto meno imprenditori di successo. Quelli talvolta li impersona, nella loro meschineria, Vittorio Gassman, dal costruttore di C’Eravamo Tanto Amati di Scola a quello ancora più aggressivo di In Nome Del Popolo Italiano di Dino Risi.

Non è un caso che Popolizio citi proprio Gassman, con la sua propensione a figure fuori misura e sgradevoli, come modello per l’interpretazione d’un personaggio luciferino come Petrucci, cattivo integrale tagliato sulla fisicità e la misura recitativa dell’attore. E si regge fin troppo su di lui Governance e meno ha da offrire da una costruzione drammaturgica incompiuta. L’elemento interessante delle origini proletarie, che lo rendono estraneo al mondo e al ruolo che pure è riuscito a conquistarsi, sono risolti in una battuta sintetica: “Mia madre faceva la schiava e mio padre capostazione, mi considerava un coglione e un ribelle. Mi picchiava. Fin quando non sono diventato più forte di lui”. Pure il rapporto con Michele, che parrebbe costruito secondo una dinamica padrone-servo destinata a ribaltarsi nel segno del ricatto, è una direzione che il film intraprende e poi smarrisce, senza trarne le conseguenze opportune.

Per il resto il film è caratterizzato da una messinscena anche misurata, però già vista, dalla bella villa con famiglia ovviamente sfasciata di Renzo, gli uffici algidi, i rapporti umani di circostanza e puramente utilitari. La cercata potenza tragica da cupo ritratto su potere e cinismo però Governance non riesce mai a scolpirla. E paradossalmente, proprio il ritratto del mondo aziendale che Zampino dovrebbe conoscere meglio, resta sfocato ed estenuato. Mancando la precisione e la  verosimiglianza dei dettagli, il film non riesce a diventare il teorema esemplare sul male che vorrebbe essere.