Musica leggerissima di Colapesce e Dimartino è il culo di Nadia Cassini del nuovo millennio

Quando ascolto Musica leggerissima ascolto una canzone leggera, simpatica, divertente, proprio com'erano i film della Cassini


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Passeggiando per il mio quartiere ho visto una lunga fila di cartelloni pubblicitari piuttosto inquietanti. So che in questa frase ci sono almeno un paio di punti che potrebbero aver indotto il lettore, cioè tu che stai leggendo, a porsi delle domande di quelle che, ovviamente, non fosse che io ora andrò preventivamente e unilaterlamente a rispondere, rimarrebbero così, inevase. La prima, immagino, è proprio riguardo il mio passeggiare. Ma come, ti sarai, chiesto, in zona rossa vai passeggiando? Ora, a prescindere dal fatto che sì, in zona rossa la sola cosa consentita a chi, come me, lavora in un settore non solo considerato non fondamentale, se volessi io ora aprire dibattito riguardo come il governo Conte, prima, e il governo Draghi, ora, sta considerando la filiera dello spettacolo, beh, ne avrei di cose da dire, non calcolati dal punto di vista dei ristori, neanche presi in considerazione sotto il profilo culturale, praticamente inesistenti, a casa e zitti e muti, non voglio fare facile retorica, ma in effetti che teatri, sale concerti, musei e affini restino costantemente chiusi, da un anno, con qualche piccola boccata d’ossigeno durante la scorsa estate, mentre tutto il resto, praticamente, è aperto, a mio modo di vedere è qualcosa che supera l’osceno, l’osceno davvero, ma ritorno al mio incipit, sì, chi come me non conta nulla per la società e lo stato può muoversi, fare sport, passeggiare, seppur dalle parti in cui abita, quindi sì, nonostante l’apatia che mi tiene in manette, nonostante una forma neanche troppo strisciante di malinconia che spero tale resti, non ci scommetterei, non dico di disperazione, perché fortunatamente ancora tengo botta, ma sicuramente di malinconia, posso passeggiare, e ogni tanto, con moderazione e stando attento a evitare luoghi troppo pieni di gente, sembra che nel mentre tutti siano in giro, a fare non so bene cosa, ma passeggio. L’altra cosa che avrà sorpreso il lettore, quindi tu che stai leggendo, è il riferimento ai cartelloni pubblicitari, perché sì, nonostante si sia nel 2021, e in teoria si sia in costante zona rossa, vivo a Milano, città che fuori dagli allarmi ci ha vissuto pochino, negli ultimi tredici mesi, nonostante, quindi, in teoria, nessuno dovrebbe avere grande interesse a ricorrere a una forma pubblicitaria così antica e superata dalla rete, per di più rivolta a chi va in giro, categoria che, sempre e per l’ultima volta in teoria, neanche dovrebbe esserci, ci hanno raccontato che è tutto fermo e tutto chiuso, nonostante tutto questo in giro ci sono ancora cartelloni pubblicitari e in questi cartelloni pubblicitari ho visto una cosa che mi ha ammantato di inquietudine, quasi di paura.

Su dei cartelloni piuttosto spartani, gialli, di quelli che negli anni Novanta venivano adoperati, a poche lire di spesa, per pubblicizzare le Sagre del fine settimana dalle mie parti, un lettering discutibile, una carta destinata a non resistere alla pioggia, tanto la settimana successiva i manifesti delle sagre sarebbero stati coperti da altri manifesti delle sagre, beh, su carta sciatta e su un fondo giallo altrettanto sciatto c’erano riportate le liriche del brano presentato alla settantunesima edizione del Festival della Canzone Italiana di Sanremo dal duo Colapesce e Dimartino, Musica leggerissima, con tanto di accordi sopra le liriche, nel caso qualcuno volesse accompagnarsi con la chitarra cantandoli, sempre che ci sia gente che va in giro con la chitarra per strada, pronta a essere sfoderata, perché suppongo che quel qualcuno ne avrebbe cura e la porterebbe dentro la custodia, a questo punto immagino, di quelle in finta pelle, non certo in quelle rigide, più professionali, perché in caso avesse di quelle custodie rigide, la butto lì, non credo avrebbe bisogno degli accordi segnati sul cartellone giallo sciatto per sapere gli accordi di Musica leggerissima, a ben vedere anche se sei uno che suona la chitarra da più di sei mesi, siamo al grado zero dell’armonia, roba da super principianti, col che non voglio certo dire che Colapesce e Dimartino siano dei principianti, intendiamoci, il giro di Do, che è il grado sottozero dell’armonia, è la base di tanti capolavori della musica leggera, sto semplicemente sottolineando l’ovvio, se sai suonare e non sai suonare Musica leggerissima, beh, sappi che in realtà non sai suonare. Comunque, su questi cartelloni pubblicitari, ce n’era una fila lunga, direi almeno otto di fila, cartelloni che, confesso, in genere non saprei neanche cosa pubblicizzano, ricordo le campagne di abbonamento al Teatro Manzoni, roba che suona tipo Noi siamo il Manzoni, con la faccia di una qualche attore sconosciuto di teatro, sconosciuto a chi non frequenta il teatro, che è un po’ come usare come testiomonial per indurre qualcuno a conoscere qualcosa un volto sconosciuto, non esattamente la mossa del giaguaro, a fianco di nomi che col teatro non c’entrano nulla, gente che viene dalla tv, prevalentemente, che dal mio punto di vista di modesto frequentatore di teatro è anche peggio, perché è un po’ come dire che l’editoria in fondo non va male perché ci sono libri come quello delle Ricette di Fatto in casa da Benedetta che vende bene, ma sto davvero andando troppo fuori tema, sarà l’apatia e il poter solo passeggiare, chiedo venia.

A fianco delle liriche di Musica leggerissima, quelle che ci è stato raccontato con dovizia di particolari, dietro una apparente leggerezza affrontano in realtà un tema profondo come la depressione, fatto tecnicamente vero, “il buco nero”, per dire, è chiaramente quello, anche se potrei alzare il ditino e far notare che va bene essere leggerissimi, ma non è che basta fare un velato riferimento a per poter poi dire che si è affrontato un argomento, non saprei come spiegarmi meglio, non è che Mamma ho perso l’aereo sia un film sull’abbandono dei minori, per dire, o non è che un qualsiasi cinepanettone sia, nei fatti, un approfondimento sul tema del tradimento nei sentimenti, di corna in genere in quei film ce ne sono sempre, mischiati tra scoregge e battute di discutibile fattura, ora, non voglio certo paragonare una canzone carina come Musica Leggerissima a un film con Boldi e De Sica, non ne ho mai visto uno nella sua interezza, sarei snob a farlo e sono già stato abbastanza snob a dichiarare di non averne mai visto una nella sua interezza, ma mi sembra avvilente che ci si debba attaccare a una presunta profondità per dire che una canzone divertente, carina, sicuramente azzeccata, sia in realtà altro da sé. Non è Fuori dal Tunnel di Caparezza, per intendersi, canzone evidentemente ai tempi fraintesa, al punto da essere usata da tutta quella tv spazzatura che attaccava per stacchetti e balletti, è una canzone leggerissima uscita in uno dei momenti più pesanti della nostra recente storia, arrivata al successo perché appunto ben costruita, efficace, carina, non perché ci apre scenari inediti sulla depressione.

Poi, avessi un briciolo di forze, forze che però, ahimé non ho, potrei magari affrontare anche il fatto che Colapesce e Dimartino, due cantautori con una loro storia importante, due autori di peso, seppur ancora più o meno giovani, ora si stiano divertendo a fare i troll, vanno in programmi a fare quelli che trollano, penso alle loro comparsate a Propaganda Live, lì a fare la cover di Se mi lasci non vale, come se essere autoironici sminuisse l’evidenza che la loro canzone è musicalmente tanto banale da aver avuto decine di “accuse” di plagio, le virgolette sono lì perché nei fatti le accuse non sono mai finite in denunce, la banalità è parte anche delle canzoni che hanno ispirato, non solo di quelle che dall’ispirazione è nata, o quella in cui hanno fatto gli snob, blastando Ghemon, chiaro che era tutto un gioco, di cui Ghemon era uno dei protagonisti, e oggettivamente la battuta “Ghemon è il generico di Neffa” fa ridere, ma siamo sicuri che questa ritrovata leggerezza giovi a veicolare la musica fin qui prodotta da Colapesce e Dimartino? Non si corre forse il rischio che, pensandoli come quelli di canzoncine leggerissime e di trollate televisive poi si rimanga male, ascoltando, cito una canzone per tutte, son di parte, I calendari, canzone di Dimartino impreziosita dalla voce stupenda di Cristina Donà? Oh, sia chiaro, l’educazione musicale può avere strade inusitate, ma resto dell’idea che, una volta aperto il varco, e il varco è stato aperto a Sanremo, forse era il caso di passare oltre e togliersi la maschera, io almeno la vedo così.

I cartelloni pubblicitari di cui sopra, invece, dicono altro. Dicono che la faccenda è ancora lunga, per la cronaca ci sono anche i QR Code, nel caso uno volesse ascoltarsi l’originale, non bastassero i miliardi di stacchetti, di video parodistici, i servizi dei telegiornali e degli approfondimenti, approfondimenti si fa per dire, dei programmi del mattino e del pomeriggio che hanno usato questa canzone come colonna sonora.

Ecco, provo a traslare, prima di andare oltre, perché questo non è un capitolo del mio diario del lock down in cui volevo parlare di Musica Leggerissima di Colapesce e Dimartino, per quanto questa canzone mi abbia rotto abbondantemente i coglioni sono in fondo felice che i due artisti in questione abbiano successo, mi sembra sempre meglio che il successo arrivi a artisti meno significativi, e ci fosse anche solo qualcuno che passa da questa canzone leggerissima a quelle più di spessore sarebbe un buon passo per l’umanità, credo che al momento sia successo il contrario di quanto capitò ormai anni fa con quello che un tempo era considerato il cinema di cassetta. Un modo grossolano per definire il cinema grossolano, come definire nazionalpopolare i programmi nazionalpopolari, le parole che si mimetizzano con quello che vanno a rappresentare. Grazie, o per colpa, fate voi, di gente come Marco Giusti, certo cinema fino a quel momento considerato di serie Z, scadente, trash, da non guardare se dotati di un grado elementare di istruzione e di cultura, o da guardare per scherno, sottolineando a più riprese che per scherno lo si stava guardando, ecco, di colpa, esplodendo le istanze postmoderniste, tutto quello è stato rivalutato. Di colpo le scene di Lino Banfi che parla un pugliese da macchietta, di Tomas Milian che fa Er Monnezza in un romanesco calcato, prendendo a schiaffoni Bombolo, di colpo le scoregge cui dà fuoco Alvaro Vitali nei panni di Pierino sono diventati non solo visibili, ma oggetto di culto, non a caso Stracult è il titolo del programma più noto, forse dopo Blob, di Giusti stesso. Di colpo, spostandoci altrove, Edvige Fenech spiata al buco della serratura da Renzo Montagnani, i peli pubici folti come non capiterà più credo finché resteremo in vita noi nati nel Novecento, o il culo di Nadia Cassini, ma potrei anche citare Michela Miti, Barbara Bouchet, Gloria Guida, troppi i nomi delle starlette dei film piccanti a base di infermiere che ci stanno con tutta la caserma o insegnanti in gita scolastica, tutto quello è passato dall’essere volgare a essere erotismo ricercato, in questo mettiamoci anche un Quentin Tarantino, per dire, o, so che il passaggio potrebbe suonare ardito ma ardito non è, il Piotta del Supercafone e di Robba Coatta. Intendiamoci, non voglio dire che sia stato un passaggio sbagliato della recente storia culturale, figuriamoci, sono un postmodernista radicale anche oggi che al postmodernismo si guarda con diffidenza, se non con ostilità, mai cambiato idea a riguardo, ma dal mio punto di vista guardavo al basso, da mescolare categoricamente con l’alto, come basso. Distinguevo, andando poi a creare una miscela, confondere i piani, temo, che non è certo quello che hanno fatto Giusti, Tarantino o Piotta, ma quel che chi ne ha fruito senza le basi potrebbe aver fatto, ha portato a una omogeneità rischiosa, tutto non è uguale a tutto, non confondiamoci.

Lando Buzzanca è Lando Buzzanca. Edvige Fenech è Edvige Fenech. Dare loro un peso diverso, provare a spacciarli per quel che non sono stati, è operazione inutile, che finisce per confondere.

Per essere più chiari, il culo di Nadia Cassini era un veicolo di erotismo basso, lineare. Era una donna sensuale, mostrava un culo di rara bellezza, il messaggio era ineludibile e inconfondibile. Volerci appiccicare sopra altro, beh, è operazione intellettuale che nulla porta a quel che quel culo ha fatto per la mia generazione e per l’educazione sessuale della mia generazione, e che in qualche modo mistifica la realtà. Lo stesso per le battute grevi di Er Monnezza. Appiccicare una sovrastruttura intellettuale lì dove non c’è si può fare, è più semplice a farsi che a dirsi, ma è come costruire una veranda sopra un palazzo d’epoca, anzi, no, è come costruire capitelli dorici e colonne greche sopra una brutta palazzina anni settanta, qualcosa che risulta posticcio e ridicolo.

So di aver complicato quello che poteva essere un discorso semplice, lineare. Avrei potuto dire che trovo eccessivo arrivare ai cartelloni pubblicitari dei testi di Musica Leggerissima. O che li ho trovati un filo trash. Invece mi sono andato a inerpicare su un sentiero in sali che, per di più, non ha portato neanche un bel panorama, sempre che non sia da considerare tale l’aver evocato a più riprese il culo di Nadia Cassini.

Ecco, mettiamola giù così, quando ascolto Musica leggerissima ascolto una canzone leggera, simpatica, divertente, molto orecchiabile e che, mi è stato ripetuto più e più volte, ha in realtà un discorso profondo sotto, come Salirò di Daniele Silvestri o Fuori dal Tunnel di Caparezza. La ascolti e ti mette di buon umore, almeno finché non ti capita di ascoltarla in continuazione, perché in tal caso a me viene a noi, e finisco per odiarla. Se qualcuno da quella canzone trae qualcosa di buono, pensando alla depressione in maniera diversa, buon per lui, ma diciamo che a tutti la canzone piace perché è leggirissima, orecchiabile, per i balletti sui social, di cui esistono tutorial fatti anche da Colapesce e Dimartino, per questo e per questo soltanto. Esattamente come, ai tempi, chi guardava Sidney Rome con le magliette bagnate, chi guardava i film nei quali, era ovvio, a un certo punto sarebbe arrivata la scena della doccia, fatta immancabilmente senza tirare la tenda di plastica della vasca, all’epoca usava ancora la vasca da bagno, non i box doccia, le tette generose, i peli scuri in evidenza, il culo della Cassini, sempre lei, lo faceva perché voleva vedere culi, tette e peli pubici, quello era il massimo che passava il convento, non certo perché c’erano riferimenti nascosti ai classici della letteratura erotica francese, o alle Mille e una notte.

Linearità. Onestà intellettuale. Assenza di piani di lettura alternativa. Chiamatela come vi pare.

Certo, nel caso di quel cinema lì, forse a parte i casi poi divenuti storici di Tinto Brass, partito dal cinema colto e finito in quello soft-porno, mancava il repertorio alto da andare a recuperare, se no per il resto il parallelismo tra Musica Leggerissima e il culo di Nadia Cassini potrebbe davvero reggere.

Toh, a dirla tutta c’è una sola piccola differenza, ma qui suppongo che qualcuno potrebbe dissentire, finendo sul personale, così, a memoria, il culo di Nadia Cassini, come tutte le altre, non è mai venuto a noi, ma forse era perché si era giovani e spensierati, la vita ancora tutta da vivere.