Marina Rei.
Togliamoci subito questa incombenza, che per altro, a occhio, conoscendo la carriera della cantautrice romana da lì in poi, lei stessa dovrebbe vivere con un certo disagio, inerpicatasi come si è inerpicata su tutti altri sentirei sonori e musicali. Ma oggi è il 21 marzo e non citare anche solo di sfuggita Primavera di Marina Rei è un po’ come arrivare al primo di settembre senza citare Impressioni di settembre della PFM o al 29 settembre lasciando in santa pace Battisti e l’Equipe 84.
Quindi, ok, Marina Rei l’abbiamo citata, “è la primavera respiriamo l’aria”, l’amica Isa B e via discorrendo, possiamo procedere, nella speranza che torni presto a farci sentire qualche nuova canzone, più orientata verso i lidi che ha frequentato ultimamente, Dio volendo.
Il fatto è che oggi, appunto, arriva la primavera, la parte dell’anno in cui, in genere, e per in genere intendo prima della pandemia, quindi diciamo tre primavere fa, si inizia a respirare un’aria di rinascita, di rinnovamento, arriva il primo caldo, le vacanze, intendo quelle estive più che quelle pasquali, troppo brevi per essere anche solo gustate, cominciano a stagliarsi all’orizzonte, certo accompagnate dai ponti, laddove ci siano, del 25 aprile, del Primo maggio del 2 giugno, ci si veste di meno, e quindi anche quelli che incontriamo sono vestiti di meno, gli ormoni trottano a girandola, si sta più all’aria aperta, ci si svaga, il sole che dura fin quasi a ora di andare a dormire, o almeno fino dopocena, gli uccellini che cinguettano, insomma, la primavera, evviva, una primavera che però, proprio a causa della pandemia e del conseguente lock down, un lock down che non chiamano lock down ma che lock down a ben vedere è, ci vede chiusi in casa, isolati, con le solite ciabatte e le solite tute da ginnastica, il sole che al massimo riusciamo a respirare sui balconi, quanti di noi hanno balconi, gli altri che cominciano a spogliarsi giusto intuiti, gli ormoni imballati nell’apatia, il durare più del sole che ci trova seduti sul divano di casa, davanti alla televisione, nella speranza che Netflix tiri fuori qualche serie Tv nuova, qualcosa che ci faccia sussultare, in assenza di vita, figuriamoci se si può anche solo pensare di parlare di rinascita, di vita che si apre all’ottimismo, di primavera, appunto, Pasqua, dietro l’angolo, che ci vedrà chiusi in casa, Pasqua con i tuoi, esattamente come Natale, nessuna possibilità di incontrare amici e parenti, il famoso “con chi vuoi”, nessuna gita fuori porta per Pasquetta, le grigliate, le partitelle a pallone, i prati e i pic nic, le birre messe a freddare dentro i ruscelli, le prime scottature dei primi soli, i ponti inesistenti, 25 aprile capita di domenica, il Primo maggio di sabato, le vacanze anche solo a pensarle adesso prende male, chissà se potremo farle, dove potremo farle, valle a prenotare che poi ti prendi un’altra fregatura, i voucher, le caparre perse, niente primavera, questo il non detto, niente primavera anche per quest’anno.
Niente male, come cambio di stagione, non c’è che dire, alla faccia dell’easy listening che citare il nome di Marina Rei avrebbe dovuto evocare.
Del resto, non so come è andata a casa vostra, ma sarà il fatto che i soli a essere usciti con costanza sono stati i miei figli piccoli, i gemelli Francesco e Chiara, loro frequentano la quarta elementare e a parte adesso che siamo in zona rossa sono sempre andati a scuola, mia moglie Marina in lavoro da casa, non chiamiamolo smart working che se no poi mi tocca insultare la ministra Bonetti e le puttanate che dice riguardo la non necessità di bonus baby sitter o congedo parentale per chi lavora da casa, come se non fosse vero, almeno per i non statali, che lavorare da casa equivale a lavorare di più e peggio, molte più ore, in posti non preposti a farlo, i due figli grandi, Lucia, quinti anno di Liceo Scienze Umane, Lucia che ancora non sa esattamente come farà l’esame di Maturità, del resto mancano meno di tre mesi, che sarà mai?, e Tommaso, secondo anno di Liceo Scientifico Scienze Applicate, a scuola ci sono andati pochissimo in presenza, e anche in giro si sono mossi poco, insomma, non so come è andata a casa vostra, ma noi da queste parti nell’ultimo anno di vestiti e scarpe nuove ne abbiamo comprati pochini, quasi niente, si sta sempre o quasi in casa, ci si veste casual, come lo stare in casa prevede, che diavolo di cambio stagionale dovremmo mai ipotizzare?
Siamo in ciabatte e tute da ginnastica da un anno, salvo la pausa estiva, e staremo in casa in ciabatte e tute anche per i prossimi mesi, nella speranza che l’estate attenuti l’emergenza, che si possa fare qualcosa, tornare in Ancona, per quel che ci riguarda, rivedere i miei genitori, mio fratello e mia sorella e relative famiglie, che non vedo dall’agosto scorso, farci qualche giorno di mare, magari anche una vacanzina, sempre in Italia, organizzata all’ultimo.
Lucia vorrebbe farsi un viaggio post-maturità, per come ci arriverà alla maturità, qualsiasi voto andrà a prendersi direi che se la merita, inizialmente pensava all’estero, ma credo che anche lei dovrà pensare a qualcosa di diverso, la vita va così. Lamentarsi non serve, ci hanno spiegato, sembra serva poco anche stare alle regole, figuriamoci, fare i bravi.
Resta che oggi è il 21 di marzo, giorno in cui arriva la primavera, e anche se la cosa ci viene ricordata ormai solo dal calendario, per chi ne ha uno fisico in casa, per chi lo consulta ancora, io non voglio lasciarmi scappare l’occasione di provare a rendere omaggio a quella che a ben vedere è una stagione importante, anche in epoche di “non esistono più le mezze stagioni”, perché l’inverno viene lasciato alle spalle e con l’inverno, si spera, anche l’idea di buio e freddo che, metaforicamente o meno, l’inverno di suo porta con sé.
La domanda, a questo punto, diventa: come diamine posso celebrare la primavera se, come specificato piuttosto nel dettaglio, in nulla le giornate potranno cambiare, almeno nel futuro prossimo?
Come, cioè, mi sarà possibile cogliere questa idea o suggestione di rinascita, se alla fin fine si passerà da uno stare chiusi in casa in ciabatte e tuta a uno stare in casa in ciabatte e calzoncini corti, se poi andrà a fare troppo caldo ci sarà l’aria condizionata a fare il suo meglio per rendere il tutto sopportabile?
Avessi una risposta, è evidente, non starei qui a scrivere. Nel senso, me starei in giro a guardare gambe scoperte e scollature, o a perdermi nelle partitelle a pallone nei parchi, sempre e comunque mi godrei il sole malato di Milano neanche fossimo ai Caraibi, felice come una Pasqua, mica si dirà a caso felice come una Pasqua, la Pasqua cade quasi sempre a ridosso della primavera, e la Pasqua è la celebrazione della risurrezione, della rinascita a nuova vita, della speranza per l’uomo, sempre che si creda, invece di starmene in ciabatte e tuta davanti al computer, sole che ferisce le finestre senza essere ancora riuscito a scaldare del tutto le stanze, i termosifoni abbassati ma ancora accesi, avessi la riposta ve l’avrei già data, e invece no, la cerco come un Terry Gilliam che insegue la quadratura del cerchio per la sceneggiatura e il conseguente film su Don Chichotte de la Mancha, finendo per raccontare me che la cerco più che me che la trovo e ancor più che quel che ho trovato.
Ok, ho anche fatto la citazione colta, tanto per dimostrare che, nonostante la pandemia, la reclusione, la mancanza di vita sociale, di progettualità e quindi di lavoro, almeno lavoro per come era prima, non voglio star qui a piagnucolare, resto sempre il ghepardo di una volta, un intellettuale, uno che sa mescolare alto e basso, colto a sufficienza per affrontare argomenti di attualità come più pertinenti al mio campo professionale, la scrittura e la musica, quindi, ora posso anche andare avanti, e finalmente mirare ai mulini a vento, con le loro lance e gli scudi, provare a sconfiggerli una volta per tutte.
Sono di fronte al solito bivio, mannaggia, e per altro, sarà la primavera, il testosterone che prova a far girare le marce nonostante l’apatia che la reclusione ha generato, ma pensare alla parola bivio mi fa immediatamente venire in mente il film Sliding Doors, che su quel che accadrebbe se ai bivi della nostra vita avessimo preso altre strade è dedicato, e Sliding Doors mi fa venire a sua volta in mente la protagonista di quel film, Gwynet Paltrow, una che negli ultimi anni sembra aver anticipato il tipo di sbrocco cui molti di noi stanno dando vita proprio in questi giorni di costrizione e di pandemia, prima rivendicando il diritto a non depilarsi, gambe e pube, poi mettendo in commercio candele al profumo della sua vagina e dei suoi orgasmi, poi specificando la centralità poetica della menopausa, insomma, comportamenti in altri tempi ritenuti bizzarri che oggi invece rientrerebbero a pieno titolo in questa anomala normalità cui ci stiamo sinistramente abituando, comunque siamo di fronte a un bivio, sempre quello.
A questo punto potrei perdermi definitivamente dentro i miei pseudoragionamenti, e è evidente che io chiamandoli pseudoragionamenti mi stia in qualche modo schernendo, malizioso o ingenuo, per farvi dire che no, non sono pseudoragionamenti, che quel che dico in fondo ha un suo senso, e grazie al cazzo, lo sto scrivendo io quello che state leggendo, certo che vi porto a dire quel che mi è congeniale, mica sono proprio bollito, e comunque potrei perdermi definitivamente da qualche parte, dimostrare che sì, la costrizione e l’apatia danno vita insieme a un cocktail mortale, tipo Roipnol e Champagne, per altro proprio nel mese di marzo, era il marzo del 1994, pochi giorni prima di quando finì per infilarsi un fucile in bocca e fare fuoco, non prima di aver scritto una lettera nella quale, evocando Neil Young, suo vate, sosteneva l’impossibilità di gestire il successo e le pressioni, quel meglio bruciare velocemente che spegnersi lentamente ormai entrate nell’immaginario collettivo, Kurt Cobain di passaggio con Courtney Love, sua moglie, per Roma avrebbe fatto le prove generali del suo suicidio, finendo in coma per un mix proprio di quello psicofarmaco e di quel tipo di vino, oppure, altra strada lì al bivio, provare a armarmi di forza d’animo e attenzione e indicare questa benedetta rondine in cielo che, eccezione alla regola, dovrà per forza di cose fare primavera, anzi Primavera.
Ovvio che, per uno come me che ha passato anni e anni a lavorare di cesello, sì, ho passato anni e anni a lavorare di cesello, per costruire nei minimi dettagli l’immaginario e la poetica, possibilmente coincidenti, di un personaggio che fosse facilmente riconducibile a istanze punk e hardcore, non solo nel linguaggio, anche, ovvio, ma pure nell’estetica, le parole selezionate con cura ma atte a ricreare una qualche attinenza con i suoni spigolosi e ruvidi di quel mondo musicale lì, la sostanza di quanto ho messo giorno dopo giorno su pagina vicino a quelle che potrebbero essere le poetiche di artisti quali un Jello Biafra, un Henry Rollins, una Lydia Lunch, antisistema, pur standoci dentro, votato a difendere i piccoli dai grandi, a abbattere il brutto per lasciare spazio al bello, l’energia che deve giocoforza passare dal ritmo della frase, ovvio che per uno come me dire che imbocco la strada che mi conduce a un cocktail magari non mortale di Roipnol e Champagne, a questo punto, potrebbe quasi suonare come qualcosa di talmente naturale da diventare pleonastico, come chiedere a un appassionato di dolci se preferisce affondare la faccia in un vassoio di bombe alla crema o mangiarsi un hamburger di soia condito con le erbe di campo, ma parte dell’urgenza punk e hardcore che appunto in questi anni ho provato a far traslitterare dalle parole che ho scritto al mio personaggio, quello duro, cattivo, l’outsider che non ha paura dei giganti, ma che si intenerisce parlando dei suoi figli, diventa di miele citando la moglie, e ha parole enfatiche fin quasi al paradosso parlando di certi artisti minori, tenuti fuori dal mercato, specie se cantautrici, parte di quella urgenza punk e hardcore ho da tempo deciso di incanalarla in un canone che vuole i miei scritti pronti a intraprendere repentini cambi di direzione, testacoda spericolati, rovesciamenti di campo improvvisi, e non sarei il ghepardo che sono, quello coi capelli e la barba lunga, i codini alla Frank Zappa, gli occhiali alla Achtung Baby, però debitamente rosa, se ora non decidessi di lasciar da parte Roipnol e Champagne, la terra ti sia ancora lieve Kurt, e mi incaparbissi per cercare questa diavolo di rondine.
Lo confesso, la rondine già ce l’avevo in mente da subito.
Lo sapete, ve l’ho spiegato più volte, come un video di Youtube che mostri gli accordi di una canzone mentre la stiamo ascoltando, anche se quel che scrivo può sembrare, deve sembrare un flusso di coscienza, un divagare apparentemente senza meta che poi, zac, di colpo ci porta da qualche parte che fino a poco prima sembrava assolutamente impensabile, un paesino che compare alla vista dopo una curva della strada proprio quando abbiamo impellente bisogno di prenderci un caffè o di andare a pisciare, pur sembrando tutto casuale, frutto dello scrivere, come se si potesse scrivere senza sapere dove andare a parare, e certo si può scrivere senza sapere dove andare a parare, si può improvvisare, ma non è il mio caso, anche se questo potrebbe sembrare, ecco, nonostante sembri che io vada un po’ dove cazzo pare alla mia metaforica penna, so sempre esattamente che passaggi fare, quali tappe mettere lungo un percorso che, quando inizio a scrivere ho già ben preciso in mente, magari non parola per parola, spesso ho in mente anche quelle, almeno in parte, ma quasi, quindi era dalle parti della rondine che a breve indicherò, non certo malcelando stupore, altra finzione nella finzione, ricordate sempre che la scrittura è finta, ma non falsa, che non mi interessa essere aderente ai fatti reali, ma essere vero, inseguire la verità.
La rondine che quest’anno fa primavera, contravvenendo al noto inciso, si chiama Crania, con l’accento sulla i.
Magari, se siete tra quanti un anno fa hanno seguito Attico Monina da Sanremo la ricorderete, anzi, sicuramente se siete tra quanti hanno seguito Attico Monina da Sanremo 2020 la ricorderete, perché Crania era presente come artista residente, insieme ai suoi compagni del Team Mirò, l’ensemble di giovani artisti seguiti da Rosa Bulfaro della Mirò Music School di Sedriano, per altro recentemente approdata anche a Milano. Con lei c’erano Mileven, Simone Tuccio, Chiarae e Bellitto, e ci avevano tenuto compagnia con le loro canzoni così contemporanee per tutta la durata del Festival. Di quel gruppo Crania, al secolo Francesca, rappresentava indubbiamente l’animo più cantautorale in senso stresso, la sua scrittura una scrittura che si rifà ai classici, seppur virandoli al nuovo, nei suoni, nelle soluzioni armoniche e melodiche, nei testi, e con una tendenza tutta sua a modificare geneticamente quelle che sono le pratiche del genere pop italiano, canzoni dal piglio internazionale, una cupezza di fondo che però non si traduce mai in disperazione, uno zeitgeist che lascia stupiti per quella capacità unica, credo, di conciliare profondità e leggerezza, come se necessariamente essere profondi comportasse essere pesanti, poi.
Dopo aver pubblicato il singolo Stomachion, in gara con l’inedito Cosacambiato?, e il singolo A fondo, andateveli a cercare sul tubo, meritano senza ombra di dubbio, Crania è approdata proprio oggi, primo giorno di primavera, alle selezioni di Musicultura, in buona compagnia di una sessantina di colleghi, tra band, cantautori e cantautrici. Una bella spolverata di nuovo in un contesto solitamente più propenso a votarsi al “vecchio”, non certo da un punto di vista anagrafico, ma sonoro. Non a caso l’ultima edizione, che indubbiamente presentava voci e canzoni interessanti, su tutte La Zero e H.E.R., a seguire Blindur, Miele e Hanami, ha visto vincere Fabio Curto, quanto di più statico e stantio approdato in finale, finale che si è tenuta nell’agosto del 2020 in uno Sferisterio quantomai vuoto, ero presente, invitato dal presentatore della serata, Enrico Ruggeri.
Quest’anno, questo l’auspicio, tenderei a puntare proprio su Crania per almeno un paio di validi motivi, e con almeno un paio di valide aspettative, coincidenti. Il primo motivo è che Crania è una artista interessante, che prova a affacciarsi al mercato, sotto la guida di Rosa Bulfaro, il Team Mirò è tutto da tenere d’occhio, fidatevi di chi li segue da tempo, Crania, dicevo, è una artista interessante, che prova a affacciarsi al mercato appunto, ma libera dai legacci che il mercato in sé imporrebbe. Al tempo stesso forte di canzoni che col mercato ci si possono confrontare a testa alta, per il valore delle composizioni e delle interpretazioni, e per quel piglio di originalità che l’essere liberi e agili concede a lei. Il secondo è che Crania è una cantautrice, una giovane cantautrice, una giovane cantautrice di valore, fatto che potrebbe essere una significativa svolta per Musicultura verso un ricongiungimento con il mondo reale, anzi, un posizionare Musicultura verso un profilo di tutto rispetto, competizione di prestigio che da anni ambisce a un riconoscimento mainstream che potrebbe indicare una strada ancora non battuta al mainstream stesso, per una volta tanto il suono che va più veloce della luce, l’orecchio che arriva prima dell’occhio.
Lo dico sapendo che queste mie parole cadranno con buona possibilità nel vuoto, negli ultimi anni ho a più riprese provato a instaurare un dialogo a distanza con Musicultura, provocando, certo, ricordo che un paio di anni fa ho evocato la vittoria di Lavinia Mancusi, unica donna in finale, dopo aver caldeggiato il suo arrivarci, in finale, e sono arrivato a proporre a Ruggeri di presentarsi sul palco vestito da donna, invitando la cantautrice romana a presentarsi invece con uno strap-on, il messaggio neanche troppo subliminale era: non è possibile avere accesso a questo palco perché non abbiamo il cazzo, eccone uno.
L’anno scorso invece ho chiaramente endorsato La Zero, con le stesse precise motivazioni, grande qualità di scrittura e interpretazione, grande talento, ma anche in quel caso le mie parole sono cadute nel vuoto.
Quest’anno ci riprovo, senza troppi grilli per la testa, seppur in questi giorni di selezione altre cantautrici siano presenti, comprese due che hanno preso parte al Festivalino di Anatomia Femminile, una a più riprese come Giulia Ventisette, una solo nella versione video, Giulia Dagani, ma è su Crania che vorrei concentrare le mie e le vostre attenzioni, perché credo incarni davvero un giusto punto di incontro tra alto e pop, nuovo e classico, il giusto mix per provare a sfondare quel muro di diffidenza che Musicultura e buona parte del sistema musica sembra ancora nutrire nei confronti delle cantautrici. Male che vada, questo è chiaro, me ne tornerò a ritroso sui miei passi, arriverò al bivio, e sposerò fino in fondo il celebrato connubio tra Roipnol e Champagne, ma sappiate, amici di Musicultura, che la colpa sarebbe solo e soltanto la vostra, rei di non aver voluto capire che almeno stavolta una rondine potrebbe fare primavera, e quella rondine è Crania.