Cosa insegnano alla musica Harley Quinn e WandaVision

Mi auspico che così come nel mondo dei supereroi, anche in musica molti decidano di mashuppare linguaggi e cifre, in modo da riportare in auge il concetto di crossover


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Guardare al mondo dei fumetti o dei supereroi per cercare di capire quel che sta succedendo adesso nella vita ordinaria tradisce una condizione di precaria lucidità, me ne rendo conto. Non perché il mondo dei fumetti non abbia spesso azzeccato previsioni future, sorte condivisa con certa fantascienza e letteratura fantastica, si pensi a Alan Moore e al suo V for Vendetta, tanto per dire, è che manifestare una fiducia cieca in un mondo immaginario potrebbe non essere indice di grande speranza riposta sul mondo reale, mettiamola così.

Solo che, isolati come ormai ci siamo abituati a vivere, seppur con le dovute sfumature che una ripresa della normalità non esattamente programmatica prevede, andare a guardare in un altrove di finzione, di finzione dichiarata e palese per di più, ci esenta dal correre rischi di ritrovarci, poi, a dover fare i conti con aspettative deluse, ennesime riprogrammazioni, infinite dispute su quando mai la vita, appunto, tornerà a essere ordinaria.

Come dire, meglio rivolgersi a chi sappiamo per certo che non ci proporrà una formula spacciata per veritiera, neanche per verosimile, a dirla tutta, ma che magari in qualche punto rischia di coincidere con la realtà, che rincorrere illusioni che lasciano sempre l’amaro in bocca quando si dimostrano in effetti fallaci.

Del resto, continuo a camminare sul cornicione dell’ovvio, i mondi fantastici, da che esistono, servono non solo a metaforizzare il reale, ma anche a confortarci nel momento in cui quel reale ci appare inospitale, ostile, assolutamente non consolatorio.

La faccio breve, ho visto Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn, e mi è anche piaciuto.

Ora, non è che fosse necessario confessarlo qui, e uso ovviamente il verbo confessare con una nota di piccato sarcasmo, non ho sensi di colpa da gestire, e dubito siano da tirare in ballo per aver visto un film del genere, e soprattutto non credo che anche avendone il fare pubblica ammenda comporti nessun tipo di sollievo, men che meno di espiazione. Non sono neanche tra quanti amano mettersi alla berlina, direi che ho un autostima piuttosto consolidata, suppongo si noti, né tra quelli che amano fingersi fragili e deboli per un qualche motivo, tipo, che so?, incappare nella solidale empatia di quanti fragili e deboli ci si sentono, più o meno a ragione.

Solo che la visione di questo film, che per intendersi è in qualche modo il seguito di Suicide Squad, lo spin off di quel film, la DC Comics come la Marvel sta portando avanti in parallelo molti dei suoi personaggi, costruendo una vera e propria galleria mitologica, mi ha dato degli spunti interessanti che, uscendo dal mondo del cinema e dei supereroi, credo sia applicabile al contesto a me più consono della musica.

Questo ultimo passo, conosco i miei polli, potrebbe davvero far pensare a qualcuno che io stia accampando scuse per giustificare il mio aver trascorso due ore del mio tempo a guardare un film che, su questo potrei scommettere anche io, non entrerà di diritto nel gotha della settima arte, ma ripeto, non ho nulla da dover spiegare a nessuno e soprattutto, a meno che non abbiate hackerato la mia rete, difficilmente avreste saputo di questo mio averlo guardato se non vi avessi detto io di averlo fatto. Ah, le excusatio non petitae mettetevele in quel posto.

Prima di proseguire farò una cosa che, con buone probabilità, vinificherà ogni mio tentativo di rendere il discorso appena fatto credibile. Sono stanco, a fatica argino l’apatia, non è che potete venire qui a rompermi le palle su tutto quello che scrivo, però.

Comunque, da oltre un mese, quasi due, guardo ogni settimana WandaVision, su Disney+.

Credo di aver visto tutti i film che la Marvel ha tirato fuori negli anni, ispirati ai suoi supereroe, amandone alcuni, ovviamente l’Ironman di Robert Downey Jr, non apprezzandone altri, ma sempre seguendo con interesse quel mondo che, nei fatti, ho a lungo seguito anche su carta. Certo, credo che i Batman di Christopher Nolan siano abbastanza inarrivabili, non me ne voglia il Joker di Joaquin Phoenix, ma è evidente che i film sugli Avengers siano notevoli, come quelli sui Guardiani della Galassia e un po’ tutti gli altri.

Per ragioni che non sto a spiegarvi, non sono pertinenti a quel che voglio dire, e sapendo voi quanto io ami prenderla larga in genere potete capire che se dico che non sono pertinenti vuol dire che non sono proprio pertinenti, per ragioni che non sto a spiegarvi uno dei personaggi della Marvel che ho sempre amato tantissimo è Visione.

Vi racconto un piccolo aneddoto, questo pertinente, a riguardo. Tanti anni fa, credo si stia parlando di almeno una quindicina, forse anche più, quando cioè ancora pensavo a me non solo come a uno scrittore, quello è ancora valido oggi, ma come uno scrittore di narrativa, un narratore, appunto, con un po’ di amici e colleghi abbiamo messo su una chat via mail. So che dire chat via mail suona oggi davvero male, come qualcosa di vintage ma anche vagamente di sbagliato, ma tant’è, non c’erano i social, non c’era Whatsapp, se ci si voleva scrivere in un gruppo si mandava una mail con più destinatari e si rispondeva collettivamente dando vita a una sorta di discussione privata. A muovere le fila di quella mailing list, chiamiamola impropriamente così, ripeto, era più una chat che usava la mail come terreno di incontro, era stato Giuseppe Genna, all’epoca molto attivo in rete, lui è stato credo il primo scrittore italiano attivo in rete, ha creato il sito della Mondadori, per dire, ha lavorato a Clarence quando ancora la rete era per pochi, e dentro c’eravamo in tanti, da Roberto Saviano, che ancora non aveva pubblicato nulla a Nicola Lagioia, passando per Tomaso Pincio, Christian Raimo, Marco Mancassola, sinceramente non me li ricordo tutti. Curioso pensare che oggi buona parte di loro, tutti, credo, a eccezione di Giuseppe, non mi annovererebbe tra i narratori, forse a ragione, nonostante io abbia nei fatti pubblicato undici libri di narrativa, due raccolte di racconti, il resto romanzi, e nonostante, questo lo darei per assodato ma magari è ancora presto per sdoganarlo, io continui a farlo ogni santo giorno anche qui, l’idea che la narrativa oggi sia scindibile dalle varie forme di scrittura che pescano in altri ambiti è da tempo stata superata nel mondo anglosassone, immagino succederà presto anche da noi. Ma queste son facezie, ho cinquantuno anni e a giorni esce il mio ottantunesimo libro, non credo di avere problemi di gestione del mio ego e soprattutto mi sento risolto a sufficienza anche in assenza di certi riconoscimenti. In quella chat, ne conservo ancora memoria, si parlava di argomenti da scrittori, tra gli altri, a un certo punto, si è cominciato a parlare di supereroi. Ancora il postmodernismo non era entrato in crisi, credo addirittura si continuasse impunemente a parlare di Avant Pop, e ora che ci penso forse in quella chat c’erano anche i due curatori della collana che portava lo stesso nome all’interno della Fanucci, Mattia Carratello e Luca Briasco, parlare di supereroi dandone anche una lettura alta, filosofica, era parte del discorso, coerente.

Ricordo che a un certo punto si cominciò a parlare di Visione, e in molti convenimmo fosse una delle figure centrali dell’universo Marvel, ingiustamente tenuto a bordo campo a vantaggio di nomi decisamente più cool, in qualche modo più facili da essere digeriti e metabolizzati.

La penserei ancora così, o meglio, l’ho pensata tristemente così quando nell’ultimo film dedicato agli Avengers, Endgame, Visione è morto. Questa faccenda dei supereroi che muoiono non è certo una novità. Come non è una novità che li facciano quasi sempre risorgere. Ma vedendo morire non Superman o Ironman, bensì un nome di culto considerato però abbastanza marginale, ho temuto che per parlare di Visioni, da quel momento in poi, si sarebbe dovuto usare solo il passato.

Poi è arrivata la notizia della serie WandaVision su Dinsey+. Poi è arrivata la serie WandaVision su Dinsey+. Poi io, come molti, ho visto WandaVision su Dinsey+, e anche io, come molti, sono rimasto spiazzato, perplesso, affascinato, certo, ma senza capire.

Se ora dicessi che il brutto è affascinante, e il brutto può essere affascinante, non fatemi scendere nell’agone frequentato da quello che deve fare esempi, ma tutti sappiamo bene come certe figure particolarmente brutte siano dotate di un fascino che proprio nel brutto attinge a piene mani, al punto da giocarci, esibirlo, sottolinearlo, ecco, se ora dicessi che il brutto è affascinante commetterei, suppongo, un errore fatale, perché sarebbe come dire che WandaVision è una brutta serie.

Potrei non dirlo, cioè, potrei non dire esplicitamente WandaVision è una brutta serie, ma dicendo questa cosa della fascinazione del brutto subito dopo aver parlato di WandaVision il passaggio logico sarebbe talmente stringente da non necessitare didascalie. In realtà, ma questo diventa evidente credo solo dopo la terza puntata, Dinsey+ utilizza questa metodologia assai poco diffusa nelle piattaforme televisive di tirare fuori una puntata a settimana, come fosse Sky più che Netflix, WandaVision non è affatto brutta, è affascinante perché spiazzate, anche perché spiazzante, ma sicuramente non è brutta.

Certo, le prime due puntate, non voglio fare spoiler ma credo che la notizia sia circolata abbastanza da essere ormai nota, nelle quali si ripropone fedelmente la formula della sitcom anni Sessanta, l’omaggio a Vita da strega è evidente e dichiarato, con tanto di bianco e nero e risate finte in sottofondo, è davvero difficile da comprendere, parlando dell’universo Marvel, ma andando avanti con le puntate le citazioni si sommano a altre citazioni, i generi televisivi, sempre legati alle serie tv, nello specifico al mondo casalingo delle sitcom entrano in scena uno dopo l’altro, il tutto si infittisce di dettagli che si ricollegano non solo all’ultimo film degli Avengers e alla morte di Visione, in molti ci si chiedeva come fosse possibile una scena su di lui e sulla sua vita familiare con Wanda visto che era morto, ma a un po’ tutte le trame parallele che nei vari film Marvel si stanno portando avanti, dando vita a una sorta di crossover non solo tra i personaggi, ma anche tra i linguaggi televisivi, fattore assolutamente originale e, credo, in qualche modo indicatore di quel che succederà non solo all’interno della Marvel.

Ho commesso un secondo errore, forse più fatale del primo. Lo dico, sapendo che è un po’ come entrare in un ascensore pieno di gente, scoreggiare e poi dire di essere stato quello che ha scoreggiato, invece che star lì a guardare gli altri con lo sguardo interrogativo e anche di biasimo, solo che come con certe scoregge, a tenermelo dentro non riesco proprio. Meglio la morte, che la menzogna o la reticenza.

Ho iniziato questo centoquindicesimo capitolo del mio diario del secondo lock down ammettendo in maniera non proprio naturalissima, ci sono arrivato con un giro di parole alte, vaghe, ammettendo di aver visto Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn e che mi è anche piaciuto. Poi ho detto di essere uno dei tanti che sta seguendo WandaVision, ma nel dirlo ho sentito il dovere di spiegare che WandaVision è qualcosa di alto, sperimentale, unico, come a mettere una pezza allo scivolone iniziale. A ben vedere, in effetti, in quel caso non ho messo pezze d’appoggio a dimostrare come il mio vederlo avesse una qualche valenza culturale, non ho tirato in ballo consessi di scrittori, citato l’Avant pop, parlato di crossover o altro. Ho semplicemente detto che lo raccontavo perché mi andava di farlo, salvo poi provare a mettere il tutto dentro i binari sicuri, i binari son tutti sicuri, anche quelli di quei trenini spericolatissimi che si arrampicano per certi burroni a precipizio nel nulla che ci propongono quei video virali sui social, ho semplicemente detto che lo raccontavo perché mi andava di farlo, salvo poi provare a mettere il tutto dentro i binari sicuri, i binari son tutti sicuri del colto, dell’alto, eravamo io, Giuseppe Genna, Saviano e Lagioia a parlare di Visione, ah, quanto è bello WandaVision.

In realtà la faccenda, proprio come in WandaVision, ta-dà, non è come sembra, e quello che avete letto, andatevi poi a cercare gli articoli scritti dai nerd a riguardo, è pieno di easter eggs che spiegano l’inspiegato e l’inspiegabile. Se non sapete cosa sono gli easter eggs, beh, forse è il caso che cominciate a studiare un po’ di quel che le nuove forme di storytelling, Dio, ho scritto storytelling invece che narrazione, questo sì darà vita a una ridda di sensi di colpa, oggi prevede.

 Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn e WandaVision non sono così distanti come a vederli si potrebbe pensare, e soprattutto non sono così distanti come io ve li ho raccontati, o lasciati intendere. Perché entrambi praticano una medesima commistione di linguaggi, certo affondando le mani in forzieri assai diversi tra loro, attingendo quindi a mondi e linguaggi differenti, anche piuttosto distanti, ma portando avanti una medesima visione della narrazione, dando forse vita a un nuovo genere, non sta a me codificarlo, io mi occupo di musica, almeno in apparenza.

Ho usato prima la parola crossover.

Credo sia corretta, perché è così genericamente si indica quella tipologia di opera che va a mescolare insieme linguaggi o generi differenti. Una serie tv che si occupa, in teoria, di spiegare come sia possibile che Visione non sia in effetti morto ucciso da Thanos, come abbiamo visto in Avengers: Endgame, ma che nel farlo mette in mostra tutta una serie di linguaggi mutuati dalle sitcom d’epoca passata, con citazioni precise, certo, ma anche con immaginari legati a epoca ormai remote, beh, è indubbiamente una serie tv crossover.

Come lo è un film che che ricorra a tutta una gamma di linguaggi stravaganti, dai cartoon alle coreografie da videoclip, passando per i film d’azione alla Fast and Furious, quelli di combattimenti di chiara matrice orientale, la protagonista che parla direttamente a noi del pubblico, raccontando quel che è già successo in altri film, riassumendo, arrivando anche a conclusioni che magari ci erano sfuggite, beh, anche questo è un film crossover.

Solo che i due crossover in questione, seppur partendo da un punto di partenza comune, il mondo dei supereroi, casa Marvel nel caso di WandaVision, DC Comics nel caso di Harley Quinn, il Joker e Batman, qui omaggiato col nome di battesimo dato alla Jena che Harley fa dormire nella propria vasca da bagno, Bruce, prendono strade assai differenti, una alta, cervellotica, anche, sicuramente elitaria nella forma come nel contenuto, l’altra più pop, forse anche più del pop stesso, il massimalismo incarnato alla perfezione dalla folle e sensuale Margot Robbie, psichiatra impazzita letteralmente d’amore per il Joker, che esplode praticamente in ogni scena.

Due crossover, quindi, dove da una parte si richiede allo spettatore una attenzione quasi maniacale, un dover cogliere sottotrame e messaggi nascosti a ogni passaggio, dall’altra di stare con le cinture allacciate, gli eccessi di colori, di umorismo più o meno riuscito, di azione anche farsesca, la goffaggine esibita delle comprimarie, la schizofrenica personalità della protagonista, i combattimenti più improbabili di sempre, due tra i tanti che in effetti il poter attingere da secoli e secoli di narrazione, nel caso delle arti visive da oltre un secolo di cinema e svariati decenni di serie tv o telefilm, mette oggi a disposizione degli autori.

In musica, per ragioni che onestamente fatico a capire, se si parla di crossover ci viene in mente una precisa epoca, gli anni di passaggio tra il Novecento e il nuovo millennio, e con buona pace di artisti che hanno sicuramente tanto bene fatto e continuano a fare, ci viene in mente un nome che a quel genere è avvinghiato come un koala al tronco di un albero, i Limp Bizkit di Fred Durst e Wes Borland. Al limite, ma raramente si esce da questo nome, ci può venire in mente il nome dei Korn, che dei Limp Bizkit erano versione acida e metallica, ma non si esce di lì.

Forse ho una visione distorta della cosa, figlia dell’anagrafe, iniziavo a scrivere professionalmente di musica in quel periodo, che per altro è coinciso col periodo in cui quel genere ha dominato per un po’ le classifiche di vendita, normale che mi venga da pensare a loro, seppur nulla di ciò che hanno fatto queste band, band che più precisamente si dovrebbero definire Nu Metal, essendo il loro genere una nuova forma di metal mista con le istanze dell’hip-hop, il dj incluso nella formazione base, il cantante che canta e rappa al tempo stesso, il basso che si muove sul funky più che sul rock.

Certo, che prima di loro ci fossero stati artisti assai più significativi, da Sly and the Family Stone passando per Parliament e Funkadelic, via via, fino ai Livin Colour, ai Fishbone, ma anche i Rage Against the Machine, i Beastie Boys, gli Aerosmith e i Run DMC a portare Walk This Way in vetta alle classifiche di mezzo mondo, Icet-T che molla il rap per darsi all’hardcore coi Body Count, e ancora gli assai più geniali Faith No More di Mike Patton, i Primus di Les Claypool, per non dire dei più mainstrem di tutti, i Red Hot Chili Peppers, potrebbe indurmi a rivedere quanto appena scritto, ma vi garantisco che i Limp Bizkit erano davvero la quintessenza dell’idea di crossover, dj e chitarre distorte, linee di basso funky e rap.

La domanda che però mi pongo ora, domanda figlia del crossover che WandaVision Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn, quindi di due approcci differenti alla medesima materia, percorsi che partono per la tangente mettendo sul tavolo ingredienti assai distanti tra loro per gusto, forma e anche per i palati cui intendono rivolgersi, la domanda che però mi pongo ora è: quale tipo di crossover è possibile oggi in musica?

E prima ancora, c’è ancora chi pratica il crossover oggi in musica?

Ha senso parlarne e pensarci?

Le domande retoriche, in genere, uno se le pone per lasciare che gli altri, quelli che sentono l’uno in questioni porsele, convengano con lui e con la risposta sottintesa.

Quindi sì, è evidente, se vi sto parlando da così tanto tempo, non so quanto abbiate impiegato a arrivare fin qui, ma sicuramente non pochissimo, è perché penso che mai come oggi abbia senso praticare il crossover, del resto, ne facevo cenno prima, anche nel mondo della parola scritta oggi è il crossover a farla da padrona, narrativa che si mescola a non-fiction, saggista e biografismo, il memoir che spesso la fa da padrona, linguaggi diversi che si scontrano, mashuppano, dando vita a nuovi oggetti narrativi cui ancora non è stato dato un nome preciso, tanto per partire dall’ultima domanda.

Ha senso e credo non ci sia altra via percorribile, seppur ci sia una certa esplosione di suoni vintage, penso a Celeste o Arlo Parks, continuare a praticare un solo genere è ormai quasi un volersi ghettizzare dentro un recinto in balia di mostri che neanche esistono, un posto non troppo diverso da quello raccontato dal regista M. Night Shyamalan nel film The Village.

Più complicato rispondere alla domanda principale, e forse neanche troppo sensato farlo, perché la contemporaneità spesso non ci offre la sufficiente distanza per intuire il disegno dell’ordito, da vicino tutto sembra sfocato, incomprensibile, indistinto.

Mi limito quindi a dire che sarebbe auspicabile molti prendessero sul serio la lezione che Harley Quinn e WandaVision, e non solo loro, ci stanno impartendo. Che, cioè, molti decidano di mischiare le carte in tavola, attingere a mondo differenti, mashuppare linguaggi e cifre, riportare in auge il concetto di crossover in musica, senza che necessariamente si parli di chitarre e dj. Il pop, tante volte, lo fa involontariamente, costretto a uniformarsi a mode passeggere che però presentano sfumature interessanti e originali, almeno in partenza, lo cominciassero a fare anche coloro che lavorano a musiche destinate a rimanere nel tempo, quindi, credo che ne abbiamo tutti bisogno.