Le Storie vere di Sanpa, Fabio da Rimini: sono nella Serie e sono in causa con Netflix, mi hanno ingannato

#sonovivograzieavincenzo: ero nella San Patrignano delle origini, quella era un’opera non umana, soprannaturale, voluta dall’alto


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Riceviamo un messaggio di Fabio e scopriamo con piacere che si tratta di Fabio Mini, uno dei protagonisti della serie SanPa. Fabio è stato uno dei primi ad entrare a San Patrignano, lui era lì dall’inizio della storia, quando non c’erano Settori e non c’era quell’intera città perfettamente organizzata raccontata in seguito da tutti. Ci racconta una San Patrignano inedita fatta di strade di fango, di poche persone spesso disorientate ma con grandi progetti, di un Vincenzo Muccioli che iniziava a disegnare il suo grande sogno. Fabio tra le varie attività gestisce un negozio di toilettatura per cani.
È tanto tempo che ti occupi di animali?
Di cani sì, da quando ero piccolo, sono cresciuto nel rispetto della natura e degli animali. A San Patrignano Vincenzo era molto amante degli animali.
Fabio, torniamo indietro nel tempo, com’è cominciata la tua storia?
È la storia di una generazione intera. La mia famiglia non ha mai avuto problemi, mio babbo di Riccione, mia mamma di Rimini. C’era il boom economico, nascevano molti gruppi, c’erano anche i movimenti studenteschi, era un tempo anche di contestazione. Facevo anche sport, facevo pugilato. In quelle compagnie si iniziava con il fumo, con la marijuana, si andava in discoteca, eravamo spensierati. Tutto però nasce sempre da un disagio in famiglia, nella mia non c’era mai stato tanto dialogo, non ci mancava niente però c’erano le liti familiari. Il concetto di famiglia è importantissimo. I ruoli rispettivi di madre e padre, quando c’è conflitto tra di loro, ne risentono i figli. Sicuramente, sempre. Io l’ho capito dopo. In quel periodo con quelle liti tra mio padre e mia madre ho subito una mancanza di attenzione, di affetto, di amore. E allora lì vai a cercarti l’affetto nel gruppo. E poi è arrivata all’improvviso l’eroina, un fiume di eroina. Un fiume che distrusse intere compagnie di ragazzi che erano unite nei valori. Ci furono migliaia di vite disintegrate, sogni distrutti, speranze addormentate, coscienze addormentate. Venivamo tutti legati da una dipendenza quasi demoniaca, la droga porta i demoni dentro le persone, ti allontana dai veri valori della fratellanza e dell’amicizia, ti porta a pensare solo a quello. Vidi una devastazione completa dei giovani, lo Stato non seppe dare nessun tipo di risposta se non Sert, metadone e psicofarmaci che ti addormentavano ancora di più. Ed è proprio in quel momento che viene fuori la figura di Vincenzo Muccioli.
Quanti anni avevi quando sei caduto nella tossicodipendenza?Avevo 16-17 anni. Era una moda, si rimediava facile e ti divertivi senza conoscere i rischi. Non c’era prevenzione. Poi arrivava la dipendenza. Era trasgressione. Non c’era ancora gente che moriva fino all’80, poi da lì tanta gente iniziò a morire.
Quando hai deciso di andare a San Patrignano?
Mi hanno arrestato per un reato a 19 anni, inizio anni ’80, il giudice mi ha mandato in Comunità in obbligo di soggiorno, è stata un po’ una fortuna. Dio mi ha mandato lì affinché imparassi. Io non l’avrei trovata la forza di andare da solo in quel posto. Per i ragazzi disperati era l’ultima spiaggia. Fuori da lì nessuno li capiva e nessuno li aiutava.
Quindi sei stato uno dei primi?
Si, avevo 19 anni, c’erano tutti i milanesi, mi hanno messo a dormire nel gruppo Milano in un container. C’erano 20-30 persone. C’era anche Walter Delogu, c’erano altri… Non c’era niente. Si mangiava tutti assieme, era una famiglia allargata. C’era molta allegria, molta gioia, voglia di vivere e di tornare a vivere. Nonostante problematiche che potevano nascere tutti i giorni, anzi ogni ora. Vincenzo stava con noi, dormiva con noi. C’era un gruppo di famiglie che facevano degli incontri, si riunivano e si facevano delle domande sul senso della vita. Queste famiglie avevano attività lì nel circondario ma avevano deciso di abbandonare tutto e venire a vivere là insieme agli altri, dormivano con noi, le mogli facevano da mangiare, all’inizio. Era un’opera sovrannaturale. Sono certo che hanno avuto una chiamata dall’alto. Hanno avuto come una convocazione in spirito per venire a dedicarsi agli altri. Questo denota amore, fratellanza.

Cosa faceva Vincenzo?
Vincenzo camminava con noi, era con noi. Progettava con noi le cose. Lo vedevo come un padre. Era come se stesse lì ad eseguire qualcosa che gli avevano detto di fare.
In che senso?
Per me solo Dio può fare queste cose. Vincenzo non ne ha mai parlato con noi ma si sentiva che emanava un’energia che non era umana, era una cosa più grande di noi e più grande di lui. Lui non si è mai preso i meriti di questa cosa qui, la donava semplicemente, con tutti i suoi limiti umani. Io penso gli sia stato detto di non dirlo ma solo di farlo. Doveva fare come gli veniva detto. Vedi, quando ci abbracciava tu sentivi subito che eri il centro dell’universo. Eri investito da un amore sovrannaturale. Viene da Dio, questo lo posso affermare con certezza adesso che ho fatto un percorso mio. Quando eri in difficoltà e Vincenzo veniva a parlarti, null’altro era importante se non il fatto che tu eri prezioso per lui, e riusciva a trasmetterti questa cosa con semplicità. Era un padre di famiglia, una famiglia organizzata secondo valori precisi, c’era un’uguaglianza, si parlava molto, si chiariva, si faceva la cosa giusta.
Qual era il tuo ruolo in comunità? I Settori c’erano già?
All’inizio non c’erano i Settori, ma hanno voluto comunque responsabilizzare ognuno di noi. Bisognava evitare che ognuno pensasse solo per sé. Ci insegnavano a donare all’altro le piccole vittorie personali che avevi conquistato in quel tempo trascorso insieme. Quella è stata la chiave del successo. Abbandonavi tutte le paure e le insicurezze nell’approcciarti all’altro per il suo bene, e così curavi anche te stesso. Era l’inizio di San Patrignano, ricordo che c’erano da fare dei recinti per gli animali, ricordo gli scavi. Per fare quei lavori servivano capacità specifiche e Vincenzo fece arrivare lì artigiani anziani in pensione per donarci il loro sapere e la loro saggezza.
Ok era proprio l’inizio, ma ti hanno aiutato a venire fuori dalla droga?
Questo è un punto importante da approfondire. Io ho avuto storie complicate con mogli, figlie. Se attribuisci un valore assoluto ad una moglie o al tuo lavoro, allora quando vengono a mancare quelli poi ti crollano le fondamenta e sei di nuovo in preda alla tempesta. Succede perché noi puntiamo gli occhi su cose umane ma la nostra vera forza è nello spirito e solo quando ritrovi quello niente potrà più smuoverti. La sicurezza non è nel matrimonio o nel lavoro. Non è così. Noi siamo fatti di luce e di amore. Questo io lo voglio dire a tutti i ragazzi, di non fare affidamento su una donna, su un uomo, sono tutte cose importanti e determinanti ma sono solo cose terrene. Un rapporto può finire, è sotto gli occhi di tutti quello che sta succedendo. Noi siamo strumenti che accolgono la luce di Dio, l’amore di Dio e lo riflettono sugli altri. Non parlerei di religione, la religione è fatta dagli uomini, parlo di un’essenza divina, una forza che abbiamo tutti dentro.
Quindi in questa tua ricerca dell’essenza divina San Patrignano che ruolo ha avuto?
Importantissimo, basilare. Io lì ho vissuto e camminato come camminava Gesù, tutto era condiviso ma senza mai parlare di religione, era l’amore del Cristo a livello pratico, il Cristianesimo delle origini. Io l’ho vissuto lì. Cristo è venuto e mi ha toccato personalmente, io ero morto. A San Patrignano arrivavi con delle zavorre, delle rabbie, ci voleva un anno solo per smaltirle. È un posto preparato apposta per guarirti l’anima, anche a livello di bellezza e armonia del luogo. Perciò ti dico che non è un’opera umana. Come entri vieni toccato nell’anima. C’è equilibrio. Non senti le tensioni che ci possono essere fuori. Fai un bagno di luce che ti ristora l’anima, non solo la carne. La carne viene guarita dopo, col tempo. Il simbolo di San Patrignano è l’albero della vita. Se vai nella Bibbia l’albero della vita è il simbolo di Gesù, l’albero della speranza con i suoi 12 frutti che portano guarigione in tutte le nazioni. 

Tu hai visto la serie SanPa di Netflix?

Sì, ci sono anche dentro, l’ho girata.
Che ne pensi?
Io sono in causa con loro, mi hanno ingannato, hanno solo voluto fare del business. Io non ho preso una lira. Li ho accolti a casa mia, nel mio negozio, hanno fatto di tutto, non hanno fatto giornalismo serio. Ok dovevano dire luci e tenebre ci sta, ma la luce sconfigge la tenebra, un giornalismo sano avrebbe spiegato tutti gli elementi che poi sono noti a tutti, ma non stare a fare l’apologia di un posto dove c’è solo la tenebra. La luce è molto di più della tenebra. Non hanno parlato delle sentenze. Guardando la serie sembra quasi che Walter Delogu sia un eroe, non hanno parlato della sentenza di condanna che lui ha avuto. Lui deve dare dei soldi ogni mese. Quelli di San Patrignano non hanno neanche richiesto che lui andasse in carcere. Questo è il grande amore di San Patrignano. Io non mi sognerei mai di parlare male di quel posto come hanno fatto quelli nella serie, ma non voglio condannarli, sono persone che non hanno ancora avuto la pace dell’anima, e loro da San Patrignano hanno avuto molto di più di me.
Se tu avessi visto il prodotto finito non avresti firmato?
No e non ho firmato, il contratto con loro non l’ho firmato. Mi batto a difesa dei ragazzi che sono persi nelle dipendenze, e oggi ce ne sono migliaia. È una battaglia che mi sento di fare dal cuore. Hanno montato dei pezzi che non mi piacciono, non mi hanno fatto vedere il prodotto finito come da accordi. Abbiamo girato per 4 giorni, l’utilizzo della mia immagine è diffamatoria. Non mi hanno detto che era un’intervista col titolo luci e ombre. Io ho firmato solo la privacy. Neri (Gianluca Neri, ndr) è venuto da me e io li ho fatti entrare a San Patrignano, mi avevano assicurato di veicolare un messaggio di speranza ma a me non risulta.
Cosa pensi invece delle ombre di San Patrignano?
Osservo il massimo rispetto per le vittime che ci sono state, bisogna chiedere perdono ai familiari. Tutti quelli coinvolti nell’omicidio Maranzano o sono morti o sono spariti. Chiedo io perdono per loro al figlio di Maranzano. Per il dolore causato.
Ma si pensi alla luce, al risorgere dei ragazzi e delle loro famiglie sparse per tutta l’Italia o per tutto il mondo. Quello è un posto dove vieni trasformato, dove parli alla tua anima. Quella è un’opera grande che dovrebbe essere conosciuta in tutto il mondo.
Dopo tanti anni, cosa diresti oggi a Vincenzo se oggi l’avessi davanti a te?
Lo abbraccerei e piangerei con lui, sono sicuro che anche lui ha pianto molto. Io c’ero ai tempi dell’omicidio Maranzano. Mi commuovo a pensare a questa cosa. Quel giorno quando in Comunità arrivò la polizia che portò via i ragazzi lui venne a piangere vicino a me.
(pausa, silenzio, Fabio si commuove, ndr)
Sento il suo dolore di allora proprio adesso in questo momento, per farti capire. Quando operi con Dio non puoi stare nella menzogna, prima o poi le cose vengono fuori e quel giorno lui ha capito che era finita. Vincenzo venne a dirmi commosso: ’C’è bisogno che io me ne vada perché questo posto viva’. In quella frase c’era tutto il suo immenso dolore. 

 

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