Ciao Daniela, di dove sei?
Ciao ragazzi, sono di Riccione.
Quanti anni hai oggi?
Oggi ho 53 anni.
Come è cominciata la tua storia con l’eroina?
È cominciata che non davo un senso alla vita, per me era tutto vuoto. A 19 anni, ero sempre lì a dire ‘no alla droga, no alla droga’, poi ho cominciato con gli spinelli e poi in poco tempo sono passata all’eroina. Erano gli ultimi anni ’80, era il 1987.
C’era proprio un fiume di eroina si, improvvisamente, vedevi solo gente che spacciava a Rimini, a Riccione. Vedevi proprio questi che vendevano, che arrivavano che avevano un orario, erano brutti. Io facevo la parrucchiera. Un sabato sera son tornata a casa, avevo un padre che era un padre padrone, mi schiacciava come persona. Quella sera arrivo a casa, non c’era nessuno, c’era il camino acceso. Ho sentito il freddo nell’anima. Avevo solo bisogno di riscaldarmi. È arrivato il mio ex ragazzo, faceva già uso di eroina. Quella sera ho detto ‘voglio provare’, da lì ho cominciato una volta alla settimana, poi tutti i giorni. L’astinenza ti portava a cercarla. La droga ti riempiva quei vuoti che avevi nella vita. Dopo un anno sono passata alla siringa. Sempre con la paura, però ho iniziato.
Di cosa avevi paura?
Avevo paura proprio della siringa, dell’ago. All’epoca già si era iniziato a parlare dell’Aids. Ero molto ingenua. Sentivo che tutto quello portava a qualcosa di non bello, avevo paura dell’Aids, anche se non facevo scambio di siringhe.
Quando hai cominciato stavano già morendo le persone?
Ancora no, non avevo sentito parlare di persone che erano mancate. Hanno cominciato a morire dopo, quando sono entrata a San Patrignano.
Solo lì hai cominciato a capire il rischio vero?
Sì.
Com’è stata la decisione?
Era un anno che facevo uso di eroina, ero dimagrita, avrò pesato 42 kg. Pensavo non se ne accorgesse nessuno, neanche quelli nella mia famiglia. Ma le mie sorelle capirono che non stavo bene. Mi hanno detto ‘Daniela cosa stai combinando?’. Io dicevo ‘Sto fumando hashish’, mentivo perché avevo paura del mio babbo. Invece mio padre è stato poi molto comprensivo, quando l’ha saputo si è messo a piangere. Lavorava all’ospedale di Riccione, il primario era amico di Vincenzo Muccioli. Lui è corso subito a parlargli e il primario gli disse che Vincenzo mi avrebbe fatto un colloquio e così nel giro di un mese sono andata su da Vincenzo.
È stata dura all’inizio?
Si, una sera presa dall’astinenza ho visto il buio totale e mi sono buttata dalla finestra del terzo piano per scappare e andare a prendere la droga. L’astinenza mi aveva reso buia dentro. Grazie a Dio sono viva. Caduta dal terzo piano e non mi sono fatta niente, grazie a Dio.
Come hai fatto a non farti niente?
Ringrazio Dio che sicuramente ha mandato un angelo, non mi sono fatta nulla. Dopo un mese Vincenzo mi ha chiamato, abbiam parlato, ‘Sei una persona che deve crescere, qui ci sono delle regole, ora vai a casa e ci pensi bene’. Quando mi ha detto così ho detto ‘Nooo, non mi mandare a casa!’. Ma sono andata a casa, ho aspettato un altro mese. Mi ha richiamato l’8 marzo dell’88, e sono entrata di nuovo, grazie a Dio. Volevo stare lì. Lì dentro sentivo questo amore di Vincenzo. Sentivo qualcosa di soprannaturale, veniva dal Signore. C’era una presenza forte. Pensa che io ero una persona che bestemmiava, lì avevo smesso tutto.
Cosa ricordi di Vincenzo?
Lui mi prendeva in braccio, mi chiamava Guendalina, scherzava, ‘Guendalina cosa hai fatto?’. E io, dopo 5-6 mesi che ero lì gli dissi ‘Voglio vedere i miei genitori’. E lui: ‘Allora falli venire su!’. Era come un babbo, quello che mi era mancato nella vita. Mi mise nel settore Tessitura, mi seguivano 3 ragazze. Avevano un po’ paura, sapevano che mi ero buttata dalla finestra. Io ero un po’ sopra le righe diciamo. Poi sono andata nel Telaio, e anche là mi piaceva tantissimo. Sono rimasta 5 anni e mezzo, non volevo più andare a casa.
Avevi chiuso con la droga?
Subito, dopo neanche un mese. Era proprio come ridare un senso alla mia vita, lì me l’hanno insegnato.
San Patrignano ti ha salvato?
Tantissimo, completamente.
Tu hai visto la serie Sanpa?
Sì. Quello che mi ha fatto stare male è veder sputare addosso a Vincenzo, lui si era messo da parte per noi, la sua vita, la sua famiglia, lui lo vedevi a volte anche alle 3 di notte. Lui era sempre con i ragazzi. Sempre a dare vita ai ragazzi. Vedere queste persone che hanno un po’ sparlato contro Vincenzo, contro San Patrignano mi ha fatto male. Alla fine loro sono fuori, stanno bene, hanno un lavoro. Vincenzo era un essere umano, come tutti ha fatto degli sbagli, ricordo che quando successe il problema di Maranzano mi disse ‘Mi devo fare da parte altrimenti tutte queste persone non saranno più salvate’. Lui si è fatto morire per lasciare spazio alla Comunità. Una cosa forte. Lui ti dava la voglia di vivere. Era una persona piena di vita.
Quale testimonianza ti ha fatto più male?
Quella di Walter Delogu, lui era il suo autista, una persona molto ‘io, io’. Non ha capito proprio niente di San Patrignano, una parte almeno non l’ha capita. Per esempio la parte dell’egoismo, che non può esistere. Poi anche Fabio Cantelli, anche lui adesso, messo com’è, si vede che non sta bene, andare a parlare così della Comunità. Io sono una cristiana evangelica. Vincenzo lo vedo, al secondo posto dopo Gesù, uno che ha dato tanto e la gente gli sputava addosso. Vincenzo l’hanno trattato così, uguale.
La morte di Vincenzo come l’hai vissuta?
Sapevo che non stava bene, aveva la febbre, era molto dimagrito. Nel ’95 quando hanno comunicato al telegiornale che Vincenzo Muccioli era in coma irreversibile ho detto ‘Non ci credo, non è possibile’. Sono corsa su a San Patrignano, sono stata lì per due giorni, non ci credevo. Poi l’ho visto in quella bara, era come se fosse vivo, lo ricordo come adesso.
Eri al funerale quindi
Sì sì, c’era anche mia mamma. Lo abbiamo accompagnato fino al cimitero. È stata una cosa straziante.
Da quanto tempo non lo vedevi?
L’avevo visto l’ultima volta a Natale, perché il Natale, come tanti di noi, andavo sempre su a festeggiarlo.
Com’era il Natale a San Patrignano?
Io facevo parte delle renne, ero sempre davanti perché ero molto piccola. Era un momento molto emozionante. Sentivo sempre questa presenza di Dio, questa presenza forte. Non capivo bene, non ero ancora molto cristiana come adesso. La notte di Natale venivano presi i ragazzi che erano lì fuori da giorni. E loro entravano infreddoliti. Era un’emozione forte, vedevi salvare le vite. La notte di Natale Vincenzo apriva i cancelli e li faceva entrare. Ci diceva ‘Ragazzi adesso dobbiamo aiutare queste persone là fuori, forza! Cerchiamo di darci da fare!’. Li prendevamo infreddoliti, con le coperte addosso. Stargli vicino era un’emozione profonda, sentivi che salvavi una vita. Poi fino alle 6-7 del mattino quelli dell’ufficio cercavano di sistemarli nei vari settori.
C’erano anche i regali?
Si, scrivevamo anche dei pensieri, dei bigliettini personalizzati. Andavamo al tavolo e davamo il regalo con il biglietto. Delle volte aspettavi più il biglietto che il regalo. Erano pensieri toccanti che parlavano di vita vera.
Chi faceva Babbo Natale?
Un responsabile che era lì da tanti anni, si metteva in fondo sopra la slitta grande, noi lo tiravamo con una corda, una trentina di ragazze tiravamo la slitta intorno al salone con la musica natalizia suonata dal vivo. Vincenzo stava seduto al tavolo. Noi eravamo le prime a fargli gli auguri. (pausa, silenzio).
Ricordo che anche al compleanno della moglie di Vincenzo, della Antonietta, aprivano i cancelli. Una di quelle volte ho visto entrare il mio ex ragazzo, l’ho indicato a Vincenzo e gli ho detto ‘Vincenzo quello è il mio ragazzo!’ e lui mi fa: ‘Non ti preoccupare lo so, io mi ricordo tutto, adesso lo sistemiamo’. Era vero, gliene avevo parlato un anno prima e lui si ricordava, e pensa che eravamo già più di 800, era una persona veramente straordinaria.
Memorizzava ogni cosa di voi?
Sì tutto, anche la moglie era così.
Ok Daniela grazie, per finire cosa diresti oggi a Vincenzo?
(pausa, si commuove, ndr) Vincenzo è stata la persona che…se lo vedessi adesso lo abbraccerei e lo ringrazierei tanto per tutto quello che mi ha trasmesso, gratuitamente. Lì ho conosciuto anche mio marito, noi ci siamo sposati a San Patrignano. Dopo che è morto Vincenzo la Antonietta ci disse ‘Perché non venite ad abitare qua? Vincenzo non c’è più e abbiamo bisogno di voi’. Così ci hanno dato una casetta. Mio marito era uno dei responsabili dei Muratori, io sono ritornata al settore Farmacia e poi abbiamo avuto due ragazze.
Cosa fai oggi?
Faccio la nonna (ride, ndr), ebbene si, sono già nonna. Al mattino il bimbo va all’asilo e poi il pomeriggio lo vado a riprendere. Poi stiamo insieme, con lui e con mia figlia.
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