Piero Venery, ‘incarnazione’ di Freddie Mercury, arrestato a Sanremo senza mascherina

L’artista di strada, molto noto in Spagna, viene multato, arrestato, schedato, bandito da Sanremo e rispedito a casa


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Nel Festival della somma ipocrisia può accadere quanto segue. Gli orchestrali, per 50 euro a giornata, debbono tenersi la mascherina 24 ore al giorno e due metri più in là, sul palco dell’Ariston, conduttori, cantanti, ospiti fanno quello che gli pare: si rasano, si strusciano, si salutano col pugnetto, con la lingua, col culo e di mascherine neppure l’ombra. Così che, per salvare la verginità, devono mandare i gendarmi a stroncare i cantanti di strada in fama di pericolosi sovversivi.
Piero Venery, di professione sosia di Freddie Mercury, con tanto di baffetti da sparviero, si gode il suo momento di notorietà conquistato a caro prezzo. “Pronto?… Ti sento poco, sono in treno” e in sottofondo non c’è la calma ovattata di Sanremo, non ci sono i latrati dei cantanti che non beccano una nota, ma il consueto trambusto ferroviario. “Cosa vuoi, mi hanno rispedito a casa, a Manduria: per tre anni ho il divieto di entrare a Sanremo, men che meno nel periodo del Festival”.
Povero Freddie, col Daspo come un ultrà violento, pericoloso. Lui che al massimo regala un sogno alla folla che scorre distratta e non si cura “nello sfiorarsi dei gomiti”. Però almeno il mondo s’è accorto di lui, se non il mondo l’Italia intera certamente: Piero è il caso umano che mancava, la polemica senza la quale Sanremo non è Sanremo e quest’anno più che mai un Festival della latitanza ha bisogno di qualcosa cui aggrapparsi. Succede che il nostro alter Freddie ieri si trovava in piazza Colombo ad agitarsi come l’originale, più o meno, quando è arrivata una pattuglia e lo ha bloccato con la motivazione dei farisei: dove sta la mascherina? Piero è nemico acerrimo della mascherina, quelli come lui passano per negazionisti e fanno collezione di multe: tre solo in questa settimana sanremese, che per lui è finita a metà. “Peccato, ci sarei rimasto ancora un po’, fortuna che almeno l’albergo mi ha ridato i soldi: hanno capito”. Capito cosa, caro Piero? “Che sono un simbolo, la mia rivoluzione postula un movimento giustificato” e giù col repertorio dei nomask: non serve, ci stritola, è un simbolo di oppressione. C’è del vero, al di là della retorica strategica, e c’è molto da dire: “Io faccio quello che gli artisti non fanno. C’è una depressione di tutto il mondo artistico, sta morendo tutto, bisogna rivendicare (sic) i teatri, altro che piegarsi al Festival e alle sue logiche”.

Ma a rivendicare, a ribellarsi è un cantante di strada: chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori e viene fermato, quasi arrestato. “Sono arrivati che mi stavo esibendo, mi hanno fatto smettere, è successo un casino. Io poi non sono uno che sta zitto, sono coerente. Ho una corona in testa, la corona della Regina [i Queen, è chiaro], non il Coronavirus. Voi avete la legge, io ho la leggenda”.
Bòn, Piero, forse hai esagerato giusto un filino. “Non credo in Dio, devo credere in un virus? Più mi toccano più mi illuminano”. Se vuoi metterla così… “L’ho detto all’ispettore, mica solo qui a te, e lui era confuso”. Confuso, Piero? “Sì, non sapeva cosa rispondere e alla fine mi ha detto: “Per favore, metta la mascherina, so che non ci difende ma è una cortesia per la gente che ci sta accanto. Capisci?”. Sì, io capisco, ma insomma non è che potevi pensare di cavartela, in fondo non sei mica il vero Mercury. “Diciassette anni che mi esibisco. In tutta Europa”. Ma a Sanremo, per la piazza Colombo di Sanremo no: non più.
“Mi hanno preso, c’era anche Red Ronnie, è intervenuto, ha cercato di difendermi, ma non c’è stato verso. Mi hanno portato via, in caserma, ho aspettato tre ore. Poi mi hanno detto: prego ci segua. E mi hanno fatto scendere giù in uno scantinato. Oh cazzo, ho pensato, non è che va a finire come in quei film dove ti coprono di botte?”.
Già, chi è che spezza le ali a una farfalla di strada? “Invece sono stati gentili, corretti, c’era una dottoressa poliziotto, mi hanno preso le impronte, schedato, fatto le foto segnaletiche”. Beh, sarai anche l’alias di Mercury ma sei in buona compagnia, tutte gli dèi del rock hanno la loro faccia galeotta col cartellino appeso. “Cosa vuoi, arte e dannazione. Mi hanno rimandato a casa, ma la mia missione è compiuta. Solo che devo rientrare entro le 18 di oggi, termine tassativo, ho preso il primo treno ma fra un trasbordo e l’altro non arriverò prima delle 21, se no scatta il penale: speriamo bene…”. Bene o male? Se ti arrestano, allora sì che diventi leggenda sul serio… “A Manduria mi aspettano già come un eroe, comunque sono incensurato, non mi era mai capitato di venire trattato come un delinquente, ma io non mi fermo. Se mi metto la mascherina come faccio a cantare? Come fanno a riconoscermi come l’incarnazione di Freddie Mercury? Certo, sarà più facile finire in galera che su un palco per me, ma io non mi piego. Magari aiutatemi voi della stampa, che sono solo in questa crociata”.
E fu così che un tenero, innocuo cantante di strada si ritrovò diffidato, soffocato come un pericolo pubblico. Che non si fa a Sanremo per ricucire una verginità. Con l’utero altrui, naturalmente. Piero Venery, in arte Freddie Mercury, persona non grata in Riviera per almeno 3 anni: interpretava senza mascherina. L’ordine costituito è salvo, la profilassi generale è riscattata. Sai come si dice, Piero, la legge è uguale per tutti, ma… “Scusa? Non ti sento più, c’è una galleria… E un attimo, sto parlando, no? Ho capito, ma… Pronto? Scusa, mi stanno molestando sul treno perché non porto la mascherina…”.
Dura è la vita dei sosia, che anziché il jet personale debbono usare un intercity in seconda classe e in più gli rompono i coglioni.