Il Sindaco Del Rione Sanità, Mario Martone rilegge Eduardo De Filippo

Stasera alle 21.20 su Rai Tre la versione cinematografica del dramma di De Filippo su un boss della camorra che gestisce la giustizia a modo suo. Martone attualizza, mantenendo però la fedeltà alla parola eduardiana

Il Sindaco Del Rione Sanità

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Il Sindaco Del Rione Sanità diretto da Mario Martone arriva stasera in prima tv come film evento su Rai Tre. E l’evento, naturalmente, è scandito dall’ombra potente, incancellabile di Eduardo De Filippo. Intorno al quale, in occasione dei 120 anni della nascita di quello che è uno dei maggiori drammaturghi italiani del ventesimo secolo, c’è un rifiorire di attenzioni. A partire dal progetto ambizioso della riproposizione di tre suoi testi per la regia di Edoardo De Angelis, per primo l’atteso e già chiacchieratissimo Natale In Casa Cupiello con Sergio Castellitto nella parte eduardiana per definizione di Luca Cupiello, in onda su Rai Uno la sera del 22 dicembre. Sino al film che sta girando a Napoli Sergio Rubini sui tre fratelli De Filippo, Eduardo, Titina e Peppino. Senza dimenticare un altro lavoro in corso che lambisce l’universo eduardiano, diretto dallo stesso Martone, Qui Rido Io, che racconta l’iniziatore della dinastia, Eduardo Scarpetta, commediografo e padre naturale dei De Filippo, che avrà il volto di Toni Servillo.

Il Sindaco Del Rione Sanità ha dunque anticipato il ritorno a Eduardo. Il film partecipò al concorso della Mostra del Cinema di Venezia trovando poi anche un passaggio nelle sale cinematografiche – anche lì come evento, per soli tre giorni, che poi aumentarono perché Eduardo è Eduardo. Ma questa pellicola è il sedimento d’un progetto ancora precedente, la messa in scena del dramma, curata sempre da Martone, nello spazio del Nest, teatro della periferia Est di San Giovanni a Teduccio a Napoli, con una compagnia interamente di giovani portata quasi interamente di peso anche sul set.

La storia è quella che conosciamo, con al centro Antonio Barracano (Francesco Di Leva, nel ruolo che fu di Eduardo), boss della camorra che cerca di dispensare una giustizia a modo suo, inflessibile, talvolta crudele, ma che mira a mantenere la pace. Il film segue gli episodi e le parole del testo originale, con alcuni riadattamenti. Il primo, è l’assenza del quartiere Sanità del titolo: perché il camorrista vive in una villa sul Vesuvio, a distanza di sicurezza dalla sterminata area metropolitana di Napoli che è il suo regno, e che con le sue luci notturne ha tratti da minacciosa megalopoli. Ha quasi il sapore del thriller questa visione folgorante, in cui implicitamente Martone dialoga con il genere crime, di cui il film e ancora più la serie Gomorra hanno offerto una declinazione di cui è impossibile non tenere conto.

Il confronto col filone criminale sembrava ancora più inevitabile, viste le scelte alla base della rilettura martoniana del testo eduardiano, che sposta l’azione all’oggi – il dramma è del 1960 – e sceglie come protagonista un 40enne, Francesco Di Leva, mentre invece il boss di De Filippo era intorno alla settantina. Nonostante tutto però Gomorra resta a distanza di sicurezza. Vi si allude nella sequenza dell’alterco ovviamente a pistolettate di due piccoli malviventi, poi portati alla villa di Barracano e lì curati dal suo medico personale (Roberto De Francesco). Però poi il testo eduardiano riprende il sopravvento, incarnato in questo protagonista inedito la cui età è il segno di esistenze dolenti che bruciano a velocità brutale.

Le vite criminali consumano sempre più rapidamente. E la versione filmica de Il Sindaco Del Rione Sanità prende alla lettera l’assunto, scegliendo volti quasi tutti giovani di un cast molto affiatato. Ed è certamente questo uno dei tratti migliori della regia “teatrale” di Martone – nel senso migliore del termine –, ossia con una resa palpabile, affocata della messa in scena, dominata dai corpi dei protagonisti incastrati in inquadrature che restituiscono la densa intimità fisica tra i personaggi – e così anche, idealmente, la mancanza di prospettive di spazi angusti, in cui si muovono come ingabbiati.

La storia poi, esattamente come nel dramma, s’impenna nel racconto d’un caso drammatico che nemmeno Barracano riesce a risolvere: l’odio assoluto all’interno di una famiglia spezzata tra un padre, il ricco e orgoglioso panettiere Arturo (Massimiliano Gallo), e il figlio diseredato Rifiluccio (Salvatore Presutto), in attesa anche di un figlio, che per questa ragione – la roba, i soldi, ma forse anche qualcos’altro – è intenzionato ad ucciderlo.

Il Sindaco Del Rione Sanità è un tentativo rimarchevole di scavo dentro il testo eduardiano condotto con gli strumenti messi a disposizione da Eduardo. Un tentativo che possiede l’intelligenza dell’uomo di teatro Martone, capace di trarre da poche deviazioni delle opportunità per una reinterpretazione personale. E crea certo un effetto di dissonanza che lascia sgomenti il fatto che la disillusione consapevole che il regista legge nel personaggio eduardiano di Barracano poggi nel film sulle spalle di un protagonista con trent’anni di meno, ma già stanco di vita, come un sopravvissuto in un mondo senza prospettive.

L’assenza di prospettive è confermata dal finale, in cui Martone tradisce il testo originale, all’insegna di un pessimismo che riflette un giudizio sconfortante sulla contemporaneità. Resta però nell’insieme dell’operazione una sensazione di intellettualismo, di una rilettura soprattutto di testa, cui non bastano attori decisamente in parte, Di Leva e Massimiliano Gallo su tutti, per regalare a Il Sindaco Del Rione Sanità un’autentica capacità di presa sull’attualità. E la parola alta di Eduardo, che pure deflagra in tutta la sua potenza – e nell’ambiguità d’una riflessione sulla giustizia amministrata da un criminale – sembra comunque, se ripresa alla lettera, non essere capace di incidere fino in fondo sulla nostra epoca.