The Specials – Fuori dal Comune: un’altra storia strappata alla realtà e un’altra vicenda legata alla disabilità per Olivier Nakache ed Éric Toledano, dopo il travolgente successo di qualche anno fa di Quasi Amici. Anche se il rapporto tra i due film va ribaltato: nel senso che è la lunga frequentazione con i veri operatori Stéphane Benhamou e Daoud Tatou, che con le loro associazioni si occupano di bambini e adolescenti autistici, ad aver creato nella coppia di registi e sceneggiatori quell’interesse verso i temi del disagio che li ha spinti a realizzare Quasi Amici e solo successivamente, dopo lunga gestazione, questo nuovo progetto.
Rispetto al fortunato predecessore, The Specials è persino migliore, più secco e scabro, senza nemmeno più l’assillo di dover necessariamente appartenere al genere della commedia. Questo è un film in cui si ride pochissimo, infatti. La cadenza la detta la prima scena, inequivocabilmente drammatica: l’inseguimento a perdifiato d’una ragazza che si scopre essere una paziente autistica dell’associazione La Voix des Justes, gestita da Bruno (Vincent Cassel). Il quale, insieme all’altra organizzazione diretta da Malik (Reda Kateb), con cui lavora a stretto contatto, si dedica a quei casi particolarmente difficili di cui le altre strutture si rifiutano di occuparsi.
Una volta impostato con questo attacco il tono del racconto, il film lo ribadisce attraverso uno stile d’ispirazione realista, con una camera a mano mobilissima che pedina i personaggi e un montaggio concitato che mima il ritmo del quotidiano, introducendo lo spettatore alla storia e ai suoi protagonisti. Alcuni dei quali sono autentici ragazzi affetti da autismo (il buffo Joseph interpretato da Benjamin Lesieur, che Bruno cerca di far assumere da una ditta che produce lavatrici) e veri educatori.
Una scelta da vecchio neorealismo che crea un corroborante effetto verità, amplificato dalla naturalezza con cui i non professionisti interagiscono con Cassel e Kateb che, in particolare il primo, si spogliano con umiltà di qualunque aura divistica. La presenza tra gli interpreti di soggetti autistici ha oltretutto obbligato Nakache e Toledano ad adattarsi a un’idea di sceneggiatura meno ferrea, facendo tesoro all’interno delle singole sequenze delle improvvisazioni dei non attori, che regalano un ulteriore sapore di spontaneità all’insieme.
Il risultato è un film senza eufemismi e tuttavia energetico, di contagioso ottimismo, pur nella cornice di una vicenda che parla di casi particolarmente difficili, come quello di Valentin (Marco Locatelli), paziente con tendenze autolesioniste che, per evitare si faccia del male, è costretto a indossare un casco protettivo da pugile. Il basso continuo della sofferenza mostrata ma non esibita sottrae The Specials al rischio del patetismo o della ruffianeria compiaciuta – il monologo pieno di mesta consapevolezza della madre di Joseph, la quale pensa che l’unica soluzione, quando lei morirà, sarà quella di portare via con sé il figlio.
Funziona poi il film perché al doloroso nucleo tematico s’aggiungono linee narrative parallele e dettagli che irrobustiscono il racconto e lo rendono più verosimile. Come la diversa fede religiosa dei protagonisti, ebreo Bruno e musulmano Malik, ingrediente lasciato con discrezione sullo sfondo e che pure incide attivando ulteriori suggestioni. Oppure il fatto che quasi tutti i giovani operatori provengano dai quartieri disagiati, a sottolineare le disparità d’una società che discrimina i più poveri e meno scolarizzati lasciando loro impieghi difficili e malpagati – e il discorso di Kateb, che sprona gli aspiranti educatori ad imparare a usare una lingua più articolata quando stendono le relazioni, spiega perfettamente quali siano gli strumenti di cui si devono dotare per raggiungere una vera integrazione e rintuzzare le disparità di classe.
Si potrebbe continuare a lungo nel sottolineare le tante notazioni acute di The Specials. Preferiamo però lasciare allo spettatore il gusto della scoperta e, sì, anche della inevitabile commozione. Il nuovo film di Nakache e Toledano è di quelli che non si dimenticano, un dispositivo sapientemente calibrato, in cui il dolore si ribalta in speranza e l’ambizione di costruire uno spettacolo appassionante non tradisce mai la sostanza seria alla base del racconto.