Changeling, Angelina Jolie nel toccante ritratto al femminile firmato da Clint Eastwood

Ispirato a una vicenda degli anni Venti, la storia di una madre cui rapiscono il figlio, che viene perseguitata dalle istituzioni, è un ritratto pessimista d’una società tutta al maschile che tormenta i più deboli

Changeling

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Changeling apre l’ultima fase registica di Clint Eastwood, quella dei racconti che partono da storie vere e ritraggono gli eroi del quotidiano di un’America profonda (titoli come Sully, Ore 15:17 Attacco Al Treno, Richard Jewell). Il film inizialmente doveva essere diretto da Ron Howard, che impegnato in altri lavori lo lasciò dirigere a Eastwood, a partire dalla sceneggiatura di J.M. Straczynski, che ricostruisce la vicenda di Christine Collins alla fine degli anni Venti.

La vicenda è incentrata sulla scomparsa a Los Angeles nel 1928 di Walter, il figlio di Christine (Angelina Jolie), donna con un lavoro da capocentralinista che vive volitivamente la sua vita di madre senza marito. Dopo mesi di ricerche la polizia ritrova un bambino che asserisce di essere Walter Collins. Lei è certa non sia lui. Il capitano Jones (Jeffrey Donovan) la convince a prenderlo con sé, sostenendo che la sua impressione sia il frutto di un comprensibile shock momentaneo.

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Alle sue proteste, sempre più vibranti – aiutata dal reverendo Briegleb (John Malkovich), influente predicatore che dalla sua trasmissione radiofonica conduce un’incessante battaglia contro il dilagare della corruzione tra le istituzioni –, la polizia reagisce rabbiosamente. I tutori dell’ordine si rifiutano di riconoscere l’errore palese e grazie a un perverso meccanismo legale, il cosiddetto Codice 12, fanno internare Christine in un manicomio. La sua battaglia per la verità però non si ferma. E quando i detective arrestano un pedofilo assassino seriale di bambini, Gordon Northcott (Jason Butler Harner), la vicenda assume una piega persino più inquietante.

Changeling – il titolo deriva dalle favole del folklore nordeuropeo, in cui le fate rapiscono i bimbi sostituendoli con altri – è uno dei rari ritratti femminili della filmografia di Eastwood. Ancora più di altri suoi titoli, sorretti da una dinamica di coppia con contraltare maschile (sia esso il fotografo amante di Meryl Streep ne I Ponti Di Madison County o il padre putativo della pugile in Million Dollar Baby), è interamente incentrato sulla donna protagonista. Ciò consente al regista, nel rapporto squilibrato tra l’isolata figura femminile e il mondo maschile repressivo che le ruota intorno, di sbalzare un ritratto sfiduciato di una società malata che perseguita i più deboli.

C’è qualche sbavatura nella progressione un po’ meccanica di un racconto che accumula troppi generi, thriller, film sul serial killer, courtroom drama. Changeling sa però offrire una rappresentazione coerente e pessimista di un universo maschile disarmante al quale, non a caso, è demandato il controllo di tutte le istituzioni che esercitano un potere (polizia, manicomio, mezzi di comunicazione). Gli uomini, siano essi il capitano Jones o il direttore della struttura psichiatrica, trattano sempre Christine come una poveretta traumatizzata in balia della sua sfera emotiva, quando invece le sue rimostranze sono dettate da una logica inoppugnabile – il bambino ritrovato è addirittura dieci centimetri più basso di Walter. Con lei l’intero genere femminile – come testimonia il trattamento subito dalle pazienti della casa di cura – viene ricondotto allo stereotipo di una ipersensibilità priva di capacità raziocinante, da sedare e mai da comprendere.

Clint Eastwood e Angelina Jolie sul set di Changeling

La legge coincide col sopruso – Jones afferma che “il regolamento dipartimentale è quello che dico io” – e la violenza repressiva diviene la regola di istituzioni corrotte alle fondamenta. E a pagare il prezzo del sistema sono anche i bambini. I quali non sono soltanto le vittime del pedofilo Northcott, ma più in generale di un modello sociale maschilista che, come con le donne, non contempla il riconoscimento delle caratteristiche specifiche dell’infanzia. Basti vedere gli interrogatori che subiscono i ragazzini indifesi, trattati come criminali in erba da minacciare con lo spauracchio della galera.

Quello di Changeling è un mondo cupo, di qui una fotografia che immerge sempre i personaggi nell’ambiguità di una luce potentemente chiaroscurale. E attraverso la Los Angeles degli anni Venti Eastwood parla idealmente a un presente non meno complesso, dato che entrambi i tempi paiono caratterizzati dalle medesime problematiche: violenza senza giustizia – l’atroce sequenza dell’impiccagione di Northcott pone in modo esemplare la questione –, incapacità di difendere i più deboli e, al fondo, l’inestinguibile problema del male. Temi di fronte ai quali la risposta non viene fornita dalle istituzioni, ma dall’iniziativa individuale – e non individualista – di persone come Christine Collins, che coltivano i valori dell’umanesimo e dell’empatia, senza arrendersi mai, disposte per tutta la vita a cercare il proprio figlio, ispirandosi a un’idea più nobile dell’essere umano.