Un piano quinquennale per la conquista del sistema musica

Servirebbe un tour per veicolare artisti meritevoli e consentire loro di sfruttare un’esperienza unica per sfondare quel muro di incomunicabilità che si chiama “essere parte di una nicchia”.


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Stiamo per precipitare di nuovo in un pozzo nero, quello dell’immobilismo. Chi, come me, si occupa di raccontare la musica che gira intorno, per certi versi, non ne è mai uscito, perché è vero che di musica ne sta anche uscendo, ma è altrettanto vero che non ci sono concerti, non ci sono festival, anche i premi e i concorsi sembrano essersi incanalati in qualcosa di piccolo, invisibile. Per dire, una settimana fa, fossimo stati fuori dalla pandemia, sarei dovuto essere a Aversa, al Premio Bianca D’Aponte, invece niente, rinviato a data da destinarsi. Tutto fermo.

Ma siccome credo che la cosa peggiore in un momento come questo non sia tanto o solo lo stare fermi, ma anche il non poter progettare, ipotizzare, ripartire, per dire, ho appena messo in standby il crowdfunding Pop Babilonya, perché non mi sembrava il caso di star qui a rompere le scatole chiedendo soldi per un progetto al momento lontano, siccome però, appunto, credo che non poter progettare ci porterà alla morte cerebrale, linea piatta, oggi vi invito a seguirmi in un delirio, che tanto delirio poi non è, un’idea per un futuro spero prossimo. Qualcosa su cui fantasticare, o anche solo distrarsi.

Parto dal Premio Bianca D’Aponte, appunto, ma sarei potuto partire da un qualsiasi altro premio, seppur il premio dedicato alla cantautrice campana è qualcosa di unico, speciale.

Parlo di premi.

Ecco.

Se penso ai premi, in genere io non ci azzecco mai. Mai proprio magari no, ma diciamo che ci azzecco davvero di raro, rarissimo. Quando si tratta di capire, al volo o anche dietro lungo ragionamento, chi vincerà un premio, una gara, un concorso, anche il Festival di Sanremo, in genere non ci azzecco mai. Anzi, di solito quello che penso arriverà ultimo si piazza in vetta, o se non in vetta da quelle parti, mentre i miei favoriti, anche quelli che sbandiero ai sette venti, sui social o con i miei pezzi, perdono clamorosamente. Fossi uno che alimenta i complotti avrei di che dire. Così fortunatamente non è. Non ci azzecco e basta, o ci azzecco a classifica invertita. Gli ultimi saranno i primi, e viceversa. Questo dovrebbe indurmi, per la proprietà inversa, a indicare come ipotetico vincitore colui o colei che penso perderà, e se penso che perderà è perché ne ravviso un evidente minor valore artistico, una minore qualità di scrittura e interpretazione, una inconsistenza anche sul lungo periodo. Se, cioè, una canzone mi fa cagare, usiamo i verbi giusti, dovrei dire che penso vincerà. Per contro, se di fronte a una canzone ho la sensazione di trovarmi al cospetto di un capolavoro, canzone quindi che è il caposaldo della carriera, seppur giovane, i premi, Festival a parte, sono spesso a appannaggio dei giovani, di un cantautore o una cantautrice, o comunque a qualcosa il cui valore è tale da indurmi a metterci la faccia pur di sponsorizzarlo, endorsarlo o chiamate come cavolo vi pare il mio star lì a dire a tutti di quanta bellezza c’è in quella canzone, che basta ascoltarla per capirlo, è vero, ma a volte serve una spinta suppletiva proprio per farla ascoltare, beh, mettetevi pure il cuore in pace, novantanove volte su cento siamo di fronte a una sconfitta. Anche clamorosa.

Parlo di premi, gare, concorsi, di sguincio anche del Festival di Sanremo, intendiamoci, tutte situazioni dove in teoria il termine sconfitta dovrebbe prendere sfumature assai meno brucianti di quel che succederebbe se si trattasse di un concorso per un posto di lavoro, per una cattedra universitaria, insomma, qualcosa che si basi, o si dovrebbe basare, su punteggi e votazioni esenti da dubbi, perché la musica non dovrebbe per sua natura entrare in competizione con se stessa, l’arte è immune per sua natura da questi meccanismi che, in quanto meccanismi, sono troppo terreni per riuscire anche solo a scalfirne l’aura di elevatezza. In poche parole, chi se ne frega dei concorsi, dovrebbero dire gli artisti che scrivono canzoni, si fottano giurie di esperti o popolari, l’arte è arte.

Quando è arte, almeno.

Così non è, quasi mai, per cui a ogni vittoria e sconfitta in questi contesti scattano micro polemiche, i premi, le gare e i concorsi, forse fatta eccezione proprio per il per altro inutile Festival di Sanremo, dove storicamente a decretare la vera vittoria è quel che succede solo una volta finita la kermesse, non se li incula quasi mai nessuno, per questo parlo di polemiche micro.

Gli sparuti seguaci degli artisti che hanno vinto festeggiano, a volte spropositatamente, perché, sempre lì, novantanove volte su dieci una volta vinto il Premio X Y o Z, perdonatemi se mi concentro sui premi ma sono quelli che seguo con più interesse, non succede assolutamente nulla, gli sparuti seguaci degli artisti che hanno perso si lamentano, fanno illazioni, sbraitano e dichiarano fatwe che l’Ayatollah Komeini, in confronto, era un dilettante allo sbaraglio.

A volte mi ci metto anche io, l’ho fatto recentemente, a fine estate, su Musicultura, che gridava davvero vendetta, e del resto star qui a rompere un po’ i coglioni a chi organizza premi e concorsi, quasi sempre con quella patina di morte e polvere sopra, è parte del divertimento del mio fare il critico musicale. Mica dovrò scassare la minchia solo alle major o a Salzano, no?

Ora, tutto questo mio ragionare, o forse sarebbe più corretto dire sragionare su gare, concorsi e premi mi ha indotto a fare una divagazione sul mondo della musica e della musica di qualità e della musica indipendente.

Divagare è parte integrante non solo del mio mestiere, poi li chiamiamo editoriali, ma in realtà quasi tutti i pezzi che scrivo e che scrivono anche quei pochi dei miei colleghi che non si limitino a riportare notizie, spesso copiando direttamente i comunicati stampa, sono proprio divagazioni, nel mio caso divagazioni volutamente stravaganti e sicuramente scritte assai meglio di quelle altre, ma un po’ della mia cifra personale, anche quando non si tratta di scrivere o di scrivere di musica. Divago, mi perdo, erro, lascio che la vita mi venga incontro inaspettatamente, sorprendendomi, e vado quindi a incontrare e conoscere aspetti nuovi, persone che non conoscevo, luoghi a me estranei. Psicogeografeggio, direbbe Guy Debord o Iain Sinclair. Quindi divagando e psicogeografeggiando sono giunto alla conclusione, ovviamente non definitiva, di definitivo, temo, c’è solo la morte e il fatto che Netflix non darà vita alla quarta serie di Anna con la A, sia messo agli atti la più bella serie tv di tutti i tempi, divagando e psicogeografeggiando, dicevo, sono giunto alla conclusione che nella musica di qualità, d’essai, d’autore o chiamatela come volete, passare per concorsi e premi, non parlo ovviamente tanto del Festival, parlo di tutti gli altri, dal Bindi, recentemente andato in scena, nel quale avrei fatto vincere ChiaraBlue, al De Andrè, vinto meritatamente da Lamine, dall’Amnesty, vinto meritatamente da H.E.R. al Bianca D’Aponte, quello dell’anno scorso, vinto meritatamente da Cristiana Verardo, ma lì erano tutte di altissimo livello, dal Bertoli al Graziani, dal Parodi al Lauzi, dal Ciampi al Panseri, dalle Targhe Tenco all’Artista che non c’era, e starli a elencare tutti è davvero operazione impossibile, ovviamente ho lasciato fuori Musicultura solo perché l’ho già citato sopra, ecco, passare per tutti questi premi e gare, o magari anche per altre, è il solo modo che c’è per promuovere la propria musica, far circolare il proprio nome tra addetti ai lavori e pubblico non troppo distratto, insomma, per esistere. Il che dovrebbe indurre me, e chiunque altro, a guardare a questi premi con ulteriore maggiore attenzione, come se già non ne prestassimo abbastanza, dove quel “chiunque altro” racchiude sia gli addetti ai lavori che chi appunto ascolta la musica con passione e attenzione, sia chiaro.

Quindi, premi e concorsi sono il solo modo per esserci pur in assenza di major o sponsor che spingano sulla promozione, ma in troppi premi e concorsi a vincere sono quelli che, qui è il critico musicale che è in me che parla, fanno le canzoni meno d’essai, d’autore o di valore in gara, o quasi sempre succede così. Qualcosa non va.

Perché è come, questa è una sensazione, ma una sensazione piuttosto radicata, come uno che senta particolarmente freddo perché si trova in mezzo alla neve senza essere abbastanza coperto, tipo il Jack Torrance interpretato da Jack Nicholson in Shining nella scena finale, del labirinto, per intendersi, ecco, perché, questa è una sensazione piuttosto radicata, mi sembra che un po’ troppo spesso i premi finiscano per assecondare proprio quel mainstream dal quale, in teoria, dovrebbero tenersi a debita distanza, per caratterizzarsi, per onorare i nomi degli artisti il cui ricordo tengono vivi, o più cinicamente per opportunismo, perché uno dovrebbe cagarsi il Premio Bindi se diventa un piccolo Festival di Sanremo? Dovrebbero quindi andare a premiare nomi che nel mainstream non hanno accesso perché non abbastanza patinati e per contro a snobbare quei nomi che rispetto a chi si muove nel mainstream sono una spanna sopra. Dovrebbero investire nel loro essere diversi, più che cercare di omologarsi, come invece quelli che diversi sono per loro natura, dal Bianca D’aponte, appunto, all’Amnesty, tanto per fare due nomi, dovrebbero provare a dare un colpo di reni e, una volta portati alla vittoria nomi interessanti, di valore, dovrebbero riuscire a tenerli sotto i riflettori più a lungo, protrarre all’infinito l’orgasmo.

Grazie al cazzo, dirà qualcuno.

Grazie al cazzo, convengo.

Ma siccome a volte è bene sottolineare l’ovvio, che viste come vanno le cose tanto ovvio evidentemente non è, son qui a fare il punto della situazione, e per una volta a provare a farlo in termini costruttivi, tanto per non lasciare spazio a quanti da anni stanno lì a dire “le tue sono critiche distruttive, dovresti essere più costruttivo”, e hai voglia a spiegar loro che le critiche costruttive sono una invenzione della televisione, di Maria De Filippi nello specifico, come il concetto di cronologia statica delle serie tv quando si chiamavano telefilm o l’idea che davvero dovremmo credere che nelle sit-com ci sia gente che sta lì a ridere a tutte le stronzate che dicono (lo so, lo so, quelli che ridono sono morti da anni, ma non è questo il punto).

Voglio essere propositivo, diciamo così, almeno lasciamo anche Immanuel Kant da parte e buona notte al secchio.

Cosa propongo?

Semplice, di sfruttare la visibilità che l’essere quello che solitamente stronca il sistema, il mainstream, ma non lesina critiche anche feroci ai concorsi e ai premi, si veda appunto quanto detto alle ultime due edizioni di Musicultura, sto parlando di me, non credo sia così complicato da capire, per andare a fare un bel giro promozionale in tutti i premi, i concorsi, le gare di cui sopra, perché no, magari attentando infine anche al castello del Festival di Sanremo. Parlo di quando il mondo riprenderà a girare, è ovvio, ma come ho scritto prima, lasciatemi un po’ fantasticare, lasciatevi fantasticare.

In sostanza farsi mezzo, nel senso proprio di mezzo di trasporto, per veicolare artisti più che meritevoli e consentire loro di sfruttare un’esperienza unica per sfondare quel muro di incomunicabilità che si chiama “essere parte di una nicchia”.

Come?

Anche qui, fantasia, ragazzi, mica posso fare tutto io. Unire le forze, cercare un nome comune, magari, come di un gruppo aperto, un ensamble, una comune artistica, un Luther Blisset della musica che sia capace di contenere personalità multiple, questo per iniziare. Poi rimboccarsi le maniche, usare la rubrica del telefono, far girare le rotelle si diceva quando ero un bambino che leggeva il Manuale delle Giovani Marmotte.

Quindi andare a creare un progetto nel quale possano convergere forze fresche, nomi giovani, nuovi, di quelli che appunto nelle mie aspettative dovrebbero di volta in volta vincere quei contesti d’autore, non credo serva ricordare quanto negli anni abbia spinto la scena delle cantautrici, per dire, metterci un po’ di forze, quindi tirare dentro BIG, con featuring, ospitate in qualità di musicista, produzioni, unire quei due mondi anche dal punto dell’autorato, cavoli tra chi scrive bellissime musiche e bellissimi testi c’è l’imbarazzo della scelta, mescolare il tutto bene e andare poi a proporlo in quei contesti, in tutti questi contesti.

Un tour nei premi, nei concorsi, nelle gare, nei festival.

Siccome mi piace giocare, e mi piace anche metterci la faccia, sporcarmi le mani o ditelo voi come vi viene più congeniale, sono disposto a essere di volta in volta il titolare dell’iscrizione ai vari concorsi, premi e gare, anche se secondo me non tocca tirare fuori troppe canzoni, se non viene richiesta una canzone inedita può andar bene anche una stessa canzone per più situazioni, altrimenti si giochi di repertorio.

Ovvio, l’idea non è di partecipare solo a tutte le gare, i premi e i concorsi su citati, ma anche di vincere in tutti i contesti, al fine poi di andare a dar vita a una versione del Premio dei Premi, lo speciale riconoscimento ideato da Enrico Deregibus e Giordano Sangiorgi all’interno del MEI- Il Meeting delle Etichette Indipendenti (quest’anno, causa Covid19, andato in scena in versione ridotta), con un unico concorrente, da lì assalire il Festival di Sanremo.

Una sorta di Circo Barnum della canzone d’autore, no, il Circo Barbum non va bene.

Una sorta di carrozzone alla Rolling Thunder Revue, se serve mi dipingo anche la faccia di bianco e indosso un cappello di velluto. Poi, ovviamente, la faccia ce la metto io, musica suonata, suonata davvero, e quindi tante tante chitarre, si ricomincia dalle basi.

Sono certo che l’amico Ruatti di Noah Guitars una dei suoi gioiellini ce li presterà per questa impresa epica, come già ha fatto a Sanremo, durante il Festival. Fossi una qualsiasi azienda che produce strumenti di qualità non vorrei altro che far parte di un’esperienza situazionista come questa, a dirla tutta.

Anzi, visto che ho parlato di circo e carrozzoni, sarebbe figo prendere un bus, magari proprio uno scuolabus tipo il Furthur di Ken Kesey e dei suoi Merry Pranksters e andare in tutte le città che ospitano questi premi e questi concorsi a bordo di quello, facendo anche del girovagare un gesto artistico. Ci ho fatto un Sanremo, con un bus nero con su la mia faccia e il mio nome, Monina Against the Machine, qui toccherebbe griffarci sopra il nome che si sceglierà per il progetto e via, a zonzo per l’Italia a vincere premi musicali.

A quel punto, un anno di promozione di qualità in giro per l’Italia, ognuno riprenderà il proprio posto, chi è artista indipendente riprenderà a fare le sue cose, che nel mentre avrà portato avanti, idem i BIG. Io, ca va sans dire, continuerò a dire la mia, lo farò anche raccontando dall’interno quei contesti, magari ci scappa pure fuori un libro, chissà.

Si tratta solo di organizzarsi, ci sarà da divertirsi, se e quando il mondo tornerà a girare nel verso giusto, sia chiaro.