Sono finito dentro una canzone del nuovo album capolavoro di Samuele Bersani

La prossima volta, però, Samuele, citami per nome e cognome, almeno posso bullarmi di essere finito dentro una canzone senza doverne scrivere un articolo


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Quello che capita nelle canzoni non può succedere in nessun posto del mondo, cantava ormai trent’anni fa una giovanissima Mietta.

Non è vero.

A volte capita che le canzoni descrivano in maniera precisa, millimetrica quel che succede nel mondo.

Succede quando si parla di sentimenti, al punto che finiamo spesso per identificarci nei testi di canzoni scritti da persone che, con buona probabilità, non conosceremo mai, o almeno non conoscerete voi.

A volte succede anche quando le canzoni raccontano storie, il che ovviamente è più raro, più singolare.

È il caso che vi sto per raccontare.

Sono finito dentro una canzone di Samuele Bersani. A sua insaputa, è proprio il caso di dirlo, e anche a mia insaputa, fino a poco fa.

È infatti da poco uscito uno dei lavori più importanti nella discografia degli ultimi anni, Cinema Samuele, il nuovo album di Samuele Bersani, tornato a pubblicare un lavoro di inediti dopo quasi otto anni.

Quella che state per leggere, lo dico per quanti necessitino una didascalia, magari anche di una didascalia scandita lentamente e a voce alta, non è una recensione del suo album, bellissimo, profondo come anno dopo anno si è fatta la sua voce, immaginifico come le storie che riesce a tratteggiare attingendo a un vocabolario adulto e letterario, storie vere, verosimili, pulsanti come i cuori di cui cantava in Harakiri, primo splendido singolo di cui vi ho scritto giorni fa. Un album che ci fa rimpiangere fin quasi alle lacrime il suo starsene così spesso in disparte, il suo essere parco nella produzione, anche se poi ascoltando le canzoni che ha scritto e cantato, prodotte da un magnifico Pietro Cantarelli, vien da capire se la prenda così con calma, con quella cura che un tempo si riservava all’arte e che sembra il nostro abbia in cuore di preservare.

Canzoni come Il tuo ricordo, lancinante nel descrivere come sia faticoso liberarsi del passato, impigliato dentro il nostro cervello, pronto lì a citofonarci per farci scendere, o come Distopici (Ti sto vicino), forse il brano più dalliano da che Dalla non è più tra noi, del già uscito Harakiri si è già detto, come di quella capacità unica di Bersani di regalarci immagini così potenti che difficilmente possono rimanere lì senza entrare nella nostra personale poetica, inutile star qui a citarle tutte, le canzoni di Cinema Samuele, mai come stavolta tutti i brani meritano più e più ascolti e, ripeto, questa non è una recensione. Non amo farne, di recensioni, perché superati i cinquanta non ho più gran voglia di ritrovarmi incastrato dentro codici e canoni che, ovviamente, non ho concepito a partire dalla mia cifra. Motivo per il quale non amo neanche fare interviste, nel senso di scrivere pezzi nei quali mie domande si susseguono a virgolettati degli artisti che ho di fronte, e questo è tema che a brevissimo diventerà centrale. Per spocchia, forse, ritengo che quel che i cantanti hanno da dire, a parte quel che hanno da dire nelle canzoni, non sia mai così interessante, e più in generale non sono bravo a riportare i pensieri degli altri, troppo indaffarato a inseguire i miei, anche i pensieri che escono da quelle canzoni, per altro. Non amo poi andare alle conferenze, l’ho più volte dichiarato, in pubblico come in privato, perché non trovo gran gusto nel sentirmi dire quel che sentono anche in tanti altri, e perché più in generale provo non poco disagio a trovarmi in luoghi frequentati dai miei colleghi, disagio che immagino la mia presenza induce in loro, se non fastidio.

Riguardo alle recensioni, preferisco parlare a ruota libera, chi avesse avuto la disgrazia di leggermi ben lo sa, e così è anche per Cinema Samuele, così sarà. Questa non è una recensione.

Per interviste e conferenze stampa, invece, tendo a farne, di interviste, singole, e quando non è possibile per ragioni che sfuggono al mio volere, ma ritengo che incontrare un artista sia cosa doverosa, perché qualcosa dell’ascolto del suo album ha colpito particolarmente la mia fantasia, mi armo di santa pazienza e vado, stando debitamente in ultima fila, non fermandomi poi a fraternizzare al buffet.

Tra le canzoni che compongono questo gioiello che si intitola Cinema Samuele ce n’è una che, la avessi ascoltata prima della sua uscita, alla mezzanotte tra giovedì 1 e venerdì 2 ottobre, cioè il giorno dopo il suo cinquantesimo compleanno, mi avrebbe indotto sicuramente a chiedere di poterlo intervistare, o quantomeno di partecipare alla conferenza stampa.

Si intitola L’intervista, e sembra parlare esattamente di me.

Ripeto, questa non è una recensione di Cinema Samuele, e non è neanche tecnicamente un pezzo sul suo album, se non tangenzialmente.

È più un pezzo sul mondo della discografia, a breve capirete, ma prende le mosse da una canzone contenuta nel nuovo bellissimo album di Samuele Bersani, Cinema Samuele, il titolo dell’album, L’intervista, il titolo della canzone in questione.

L’intervista parla di un artista arrogante e spocchioso, con tanto di alito cattivo, che durante le interviste di dimostra sgradevole verso l’intervistato, sgradevole e disinteressato a farla. L’intervistatore scrive il pezzo e dopo poco che l’ha spedita riceve un messaggio dal suo capo che lo rimprovera per aver trattato male l’artista, di cui il giornale ha bisogno, dopo di che lo licenzia.

Conosco assai bene il tema trattato in questa canzone, sembra davvero parli di me, lo conosco perché mi è capitato più volte di viverlo sulla mia pelle. Non in seguito a interviste, raramente mi è capitato di farne e in genere le faccio a artisti che apprezzo, ma, per dire, quando ho lasciato Rolling Stone, o il Fatto Quotidiano, in entrambi i casi il mio allontanamento è avvenuto, più o meno volontariamente, per pressioni subite dai giornali da parte di artisti e uffici stampa.

Gergalmente si dice “persona non gradita” e in genere assecondano questi modi di fare quei giornali che non hanno alla guida personalità forti (nel caso di Rolling Stone il problema non era la guida, era proprio l’editore), o che quantomeno non sanno controbattere a dette pressioni buttando sul piatto la libertà di espressione, il diritto di critica, insomma, le basi del mestiere.

Quindi L’Intervista è una po’ la rappresentazione scenica di una parte della mia vita professionale, quella per la quale mi ritrovo spesso a cambiare testata, inseguendo una libertà che evidentemente è il bene più prezioso.

Tutto bello, uno potrebbe dire, non fosse che la cosa, la presenza in Cinema Samuele di un brano che mi sono sentito così cucito addosso, ha dato vita a uno di quei paradossi davvero anomali, tipici del mondo dello spettacolo, appunto. Perché io la canzone l’ho sentita nottetempo, quando cioè l’album è uscito, non avendone ricevuta copia da casa discografica e ufficio stampa.

Avevo ricevuto un personale invito dal produttore Pietro Cantarelli, ma la cosa non si era potuta realizzare perché Pietro vive a Parma, io a Milano.

Non è però questo il punto, il punto è che, incuriosito da quel brano, e più in generale, affascinato, anzi, decisamente “sotto” a tutto Cinema Samuele, avrei assolutamente voluto partecipare alla conferenza stampa di lancio dell’album, che però c’è stata ieri,  il giorno precedente all’uscita del disco, senza che casa discografica e ufficio stampa me ne abbiano messo a conoscenza.

Ora, la cosa curiosissima è che io e Samuele, che ho avuto il piacere di conoscere a un suo concerto a Milano, ci scriviamo, di tanto in tanto, scambiandoci opinioni sul più e il meno, fatto che ha destato perplessità nello stesso Bersani per quel mio non essere presente alla sua conferenza stampa. Ce lo siamo scritti, oggi, cioè quando ho scoperto che la conferenza stampa era stata ieri. Gli ho anche scritto che L’intervista sembra scritta precisa precisa su di me, tanto per non lasciare spazio a fraintendimenti.

È vero, sono poco incline a partecipare a eventi pubblici, e lavoro alacremente da anni alla mia aura da orso scontroso e asociale, ma è evidente che non andare a una conferenza stampa di un album che stavo avidamente aspettando, di Harakiri, il singolo di lancio, avevo scritto giorni fa parole che non lasciavano dubbi a riguardo, diventa un gesto anomalo anche per me, una presa di posizione che onestamente faticherei a giustificare.

Una spiegazione però c’è e sta tutta nel testo di quella canzone, L’Intervista. Il suo ufficio stampa, credo e temo, ha optato per tagliarmi fuori dalla lista degli invitati, del resto da tempo non ricevo più album da loro e neanche mail di presentazioni, diciamo da quando, all’ultimo Sanremo, ho indicato un palese conflitto di interessi riguardo la presenza al fianco di Salini, AD della RAI, di un loro ex dipendente (il conflitto di interessi stava nel fatto che di colpo a loro era stata affidata la gestione della comunicazione del Festival).

Non è la prima volta che mi succede di vivere situazioni del genere, fossimo in clima fondamentalista direi una sorta di Fatwa, in passato ho avuto problemi simili con altre agenzie di uffici stampa, che mi hanno negato la possibilità di intervistare artisti per i quali lavoravano perché in precedenza avevo maltrattato altri artisti per i quali lavoravano, e come ho avuto agio di raccontarvi, negli ultimi due Festival di Sanremo non ho avuto il piacere di incontrare artisti della Universal, fatta eccezione dei Negrita, uomini liberi, perché un loro dirigente, che da quel momento dentro i miei articoli viene chiamato Gino con le Mutande, ha deciso che io fossi da mettere al bando, con buona pace mia e degli artisti del colosso francese.

Tutta roba già vista, quindi. Solo che credo questa non sia solo una anomalia, sia proprio un errore strategico, perché, immagino, a Bersani che io abbia indicato un conflitto di interessi di MN Holding, nel momento in cui li paga per promuovere il loro lavoro, non interesserà più che tanto, e se io non ho accesso alla sua conferenza stampa per miei scazzi pregressi con la agenzia, e non con lui, questo diventa una penalizzazione per lui (non scambiatemi per arrogante, non sto dicendo che il non poter incontrare me sia una penalizzazione in assoluto, ma suppongo che per artisti coi quali sono in rapporto, e che hanno evidenziato una attenzione alle mie parole, sì, lo sia).

Come dire, se non potessi intervistare Brunori perché ho parlato male di Biagio Antonacci, credo, Brunori si incazzerebbe, perché a lui di Biago non frega e si immagina, suppongo, che chi lavora alla sua promozione lo faccia tenendo ben in mente lui, non altri.

Ora, non sto certo qui a fare quello che piange perché non lo invitano alle conferenze stampa, non rientrerebbe esattamente in quelle caratteristiche di cui sopra. Spesso per me si tratta semplicemente di un No Grazie in meno da dover proferire. Non sto neanche facendo una denuncia tipo quella, metaforica, fatta a Sanremo. Sto raccontando una coincidenza curiosa, non ho potuto chiedere a Samuele Bersani di specificare se il testo de L’intervista parlasse di qualcuno in particolare, io che mi sento esattamente come il protagonista del brano, quello che viene licenziato perché tratta male un artista, perché mi è stato impedito di farlo da una agenzia di ufficio stampa che mi ha tenuto fuori dagli inviti per motivi pregressi, esattamente come raccontato nel brano.

Detto questo, ripeto, Cinema Samuele è un gioiello che tutti dovrebbero ascoltare, con la calma e dedizione che le cose belle richiedono. La prossima volta, però, Samuele, citami per nome e cognome, almeno posso bullarmi di essere finito davvero dentro una canzone senza bisogno di star qui a scrivere oltre undicimila battute di testo per spiegarlo nel dettaglio.