Troppi gradi di separazione tra Musicultura e WAP di Cardi B

Il pubblico dell'evento, a discapito di uno spettacolo di grande livello, si è dimostrato antico, vecchio, polveroso: le donne sono state lette come qualcosa di troppo innovativo, scandaloso, incomprensibile


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Riprovo a partire da WAP. Ma stavolta mi sposto in Italia, a Macerata nello specifico, e riprendo i fili di un discorso lasciato un anno fa sospeso.

Faccio un breve riassunto. L’anno scorso, era di giugno, il Covid19 sarebbe stato confuso per il nome di un codice di un qualche satellite in giro sopra le nostre teste, alle semifinali di Musicultura, giunto alla trentesima edizione, era presente una sola artista donna, Lavinia Mancusi. Donna che avrebbe superato le semifinali e sarebbe entrata tra gli otto finalisti, e poi tra i quattro che si sarebbero giocati la vittoria finale. Bene. Anzi, no, male. Cioè, bene perché Lavinia Mancusi è una delle nostre eccellenze, quando si parla di cantautorato, di recupero delle nostre radici, di arte in generale. Male perché il fatto che il nostro più ambizioso contesto dedicato alla musica d’autore e alla forma canzone intesa come arte e cultura, il titolo dice questo, no?, presentasse solo una donna mi sembrava una aberrazione. Quindi ne ho scritto, ripetutamente. Arrivando, quando la finale stava per entrare nel vivo, a proporre al mio amico Enrico Ruggeri, nelle vesti di presentatore, di presentarsi sul palco vestito da donna (qui il mio articolo su OM), come del resto erano soliti fare i suoi amati, e miei amati, New York Dolls. Nel contempo suggerivo a Lavinia, che per altro non conoscevo personalmente, va detto, di presentarsi sul palco con uno strap-on, cioè quelle cinture con attaccato sul davanti un fallo di gomma, se era il cazzo che volevano che il cazzo avessero.

Una provocazione, ovviamente, ci mancherebbe altro, che però come tutte le provocazioni aveva il senso di scuotere un po’ un contesto che appariva polveroso. Tutto ciò altrettanto ovviamente non successe. Enrico, casualmente, ma neanche troppo, l’amore per i New York Dolls è reale, aveva con sé una t-shirt della band e si fece un selfie con Lavinia mentre la indossava. Lavinia non vinse e, qui sarebbe da capire ragioni che, però, onestamente, non ho voglia di approfondire, finita la gara è praticamente scomparsa dai radar della manifestazione, mai invitata a partecipare agli eventi, si tratti di serate, di ospitate radiofoniche, di approfondimenti, dedicati ai finalisti dell’anno scorso.

Veniamo a quest’anno. Siamo partiti da WAP, non dimentichiamolo, qui trovate cosa ne penso.

L’edizione 2020 è stata per ragioni che non credo sia necessario specificare, diversa dalle altre. Da una parte, e qui siamo nello specifico proprio di Musicultura, a settembre 2019, è morto il suo ideatore, Piero Cesanelli, quindi questa è la prima edizione da orfana del suo padre spirituale e naturale, dall’altra questa è l’edizione, appunto, post-Covid19, non a caso si è tenuta a fine agosto, in uno Sferisterio coi posti dimezzati, le mascherine, i distanziamenti sociali e tutto il resto. A differenza dell’anno scorso, ma non voglio prendermi meriti che ovviamente non ho, tra gli otto finalisti erano presenti quattro donne, l’esatta metà. Nello specifico H.E.R., che per altro aveva già partecipato nell’edizione del 2001, quando ancora era Ermanno Castriota, unico caso credo al mondo di un’artista che decide e riesce a partecipare alla stessa manifestazione prima e dopo la transizione, come uomo e quindi come donna, il suo brano si intitola Il mondo non cambia mai, poi La Zero, con una canzone altrettanto “scandalosa”, uso questo termine esattamente come la userebbe uno dei tanti votanti alla manifestazione, a breve vi racconto, che racconta di una storia d’amore nata e morta dentro le mura di un convento, titolo del brano Mea Culpa, Hanami, cantautrice in odore d’oriente con Contro Volontà,  e Miele, con un brano che ancora una volta fa leva su una lettura al femminile del senso di colpa. Quattro artiste piuttosto differenti tra loro da un punto di vista musicale, il genere femminile non è un genere musicale anche se, mi sono quasi stancato di ripeterlo, proprio in virtù di questa forma di neanche troppo nascosto sessismo imperante, a volte lo diventa, tale è la libertà che l’essere fuori dal mercato consente alle artiste, libere di sperimentare e esprimersi senza dover fare i conti con l’idea di passare in radio, in tv, di finire dentro le playlist di Spotify.

Sono stato tra il pubblico, e quindi tra i votanti, della prima serata finale, quella nella quale gli otto concorrenti sarebbero diventati quattro. A presentare, anche quest’anno, Enrico Ruggeri, ottimo padrone di casa, grande artista che ha introdotto la serata proprio cantando un brano dello scomparso Cesanelli e poi omaggiando il grande Sergio Endrigo. Ero con mia moglie, seduti a distanza sociale, in mezzo a una platea che, già a prima vista, mi sembrava abbastanza attempata, parlo di età media.

Non voglio star qui a lasciarmi andare a giudizi sommari, non sono importanti, e non credo portino da nessuna parte. Lo spettacolo è stato davvero di qualità, grazie alla conduzione di Ruggeri, sicuramente, alla maestria degli ospiti, da una Tosca sempre più in stato di grazia, solo due giorni prima avevamo condiviso il palco di Adriatico Mediterraneo, nella mia Ancona, lei nei panni di artista io di suo sparring partner, a chiacchierare prima delle sue esibizioni accompagnata da quei due mostri di bravura di Giovanna Famulari e Massimo De Lorenzi, e poi Massimo Ranieri, in un sentito omaggio a Renato Carosone, Antonio Rezza, sempre delirante e quindi grande come ce lo ricordiamo dagli anni Novanta, un Salvador Sobral che avrebbe fatto impallidire buona parte dei nostri cantanti più famosi e, sorpresa e scoperta davvero gradita, la Bandakadabra, ensamble bandistico tra jazz e guitteria direttamente da Torino, ma anche e soprattutto grazie alla sfrontatezza delle proposta di parte degli otto partecipanti, le donne, appunto. Non me ne voglia colui che poi andrà a vincere la serata finale, Fabio Curto, già vincitore di The Voice anni fa, né gli altri maschietti in gara, Blindur è uno dei nostri artisti migliori in circolazione, un vero talento, da prendere in considerazione quando si parla di grandi cantautori, i Sienna non mi hanno detto praticamente nulla, band simpatica, ma musicalmente piuttosto ininfluente, mentre I miei migliori complimenti, nome a parte, non avrebbero meritato di trovarsi su quel palco, ma a lasciare il segno sono state proprio le donne, libere, sperimentatrici, portatrici su quel palco non solo di ottima musica, ma anche di performance all’altezza di questo nome, insomma, sicuramente più a fuoco dei colleghi. H.E.R. ha decisamente portato sul palco il set più spettacolare, sbattendo in faccia alle vecchie carampane, non parlo tanto e solo di età anagrafica, ma di età mentale, presenti nella splendida arena maceratese uno show anticonformista, internazionale, una canzone che è al tempo stesso manifesto ma capace di farci muovere il culo sulle sedie. La Zero ha credo portato la canzone più bella, un vero e proprio monologo teatrale in musica, la storia di un amore destinato a finire male, chiuso com’è dentro le mura di un convento, con una performance, lei a fine canzone rimane sul palco in una tutina color carne che potrebbe farla sembrare nuda, ha suscitato diversi mormorii. Hanami è stata la più delicata, ma non per questo meno incisiva, decidendo di lasciare alla sola canzone l’intento di presentare un modo diverso di intendere la forma canzone, meno paraculo di un Curto, ancora fermo al cantautorato anni Settanta, e decisamente più di classe. Miele, in completo fucsia con reggiseno nero in bella vista, anche se va detto che se decidi di presentarti così sul palco poi è bene che tu non ti vergogni troppo e la smetta di coprirti ogni due secondi, ha presentato il brano più prettamente pop, quello con più potenzialità proprio in quel mercato di cui si parlava in esergo, ottima voce e buona scrittura, sicuramente. Quattro vie per indicare una tavolozza piena di colori, quindi, in mezzo a mani di grigio che il solo Blindur è riuscito a colorare, lui che, ripeto, è una delle nostre eccellenze.

Il fatto che Ruggeri, nel presentare La Zero, mi abbia tirato in ballo (guardate il video in fondo all’articolo), salutandomi dal palco e indicandomi come uno che da sempre si batte per le cantautrici, a parte avermi lusingato, è normale, credo, ha in qualche modo indicato una sorta di legame non detto tra me e la stesa La Zero, ve ne avevo parlato qualche settimana fa proprio da queste parti, ma è verso tutte e quattro le artiste di cui vi ho appena parlato che andava il mio plauso, le avrei volute vedere tutte e quattro in finale. Solo che io voto solo per uno, e così mia moglie. Così abbiamo votato, e poi a fine serata abbiamo sentito Enrico Ruggeri dire che in finale ci andava la sola Miele, mentre H.E.R., La Zero e Hanami finivano la loro corsa a quel punto. Una grande delusione, lo confesso, perché almeno le prime due avrebbero sicuramente meritato la vittoria finale, pari a pari, ma soprattutto la constatazione che il pubblico presente, i soli chiamati a votare nella struttura forse da rivedere di Musicultura, hanno deciso di penalizzare chi ha osato, chi ha sperimentato, chi è uscito dai soliti cliché di cantautorato trito e ritrito. Certo, qualcuno potrebbe pensare che la presenza di I miei migliori complimenti, cantautore milanese che si muove tra elektropop e proto-rap, sia una scelta coraggiosa, nei fatti nulla di quel che ha portato a Macerata, non me ne voglia, è men che scontato. Il pubblico di Musicultura, a discapito di uno spettacolo di grande livello, si è dimostrato antico, vecchio, polveroso. Le donne sono state lette come qualcosa di troppo innovativo, scandaloso, incomprensibile, al punto che le due voci più innovative e importanti, H.E.R. e La Zero, sono state mandate a casa senza neanche ricevere una menzione, Miele almeno è andata in finale e ha vinto il premio come miglior testo, non a caso da parte di una giuria composta da studenti delle Università di Macerata e Camerino.

Niente di nuovo sotto il sole, quindi, ovvio, ma credo che, anche in virtù di questo momento di passaggio, la morte di Cesanelli ha lasciato ovviamente un vuoto, sarebbe il caso di rivedere il tutto. Non si leggano queste parole come una candidatura, sono marchigiano, ma vivo a Milano e non intendo certo propormi come niente in quell’ambito, sono solo uno che indica la luna sperando che non ci si concentri troppo sul dito. Se in un concorso per cantautori arrivano in finale, grazie alla selezione fatta da un comitato di artisti, voci innovative come quelle delle artiste finaliste ma poi vince Curto, beh, significa che qualche problema il voto in sala lo fornisce. Non me ne voglia nessuno, ma come potrebbero le anziane signore accompagnate dalla badante o i tromboni locali che hanno approfittato per fare salotto prima dell’inizio della serata avere qualcosa di interessante da dire rispetto allo stato dell’arte oggi?

Anzi, magari si potrebbe ipotizzare proprio una soluzione del genere, si prendano i voti in sala e li si rovescino, se il pubblico polveroso vota Tizio sia Caio a andare in finale. Sicuramente ne guadagnerà il buon nome del premio, e si farà un piccolo passo avanti nell’evoluzione della percezione delle cantautrici, almeno in un contesto che usa la parola “cultura” nel nome.