Mentre Minneapolis piange George Floyd l’hashtag #Bluefall svela nuove violenze e ipocrisie della polizia

Le immagini e i video pubblicati sui social incoraggiano a proseguire le proteste e dimostrano quanto ancora resti da fare per risolvere il problema della violenza ingiustificata da parte delle forze di polizia

Il murale a George Floyd

[CBS]


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Il memorial a George Floyd ha visto riunirsi familiari e amici, sconosciuti e celebrità per un ultimo saluto all’uomo diventato il simbolo della voglia di cambiamento in un’America ancora profondamente razzista. L’evento, trasmesso in diretta da un gran numero di reti televisive statunitensi, si è svolto in un santuario all’interno della North Central University di Minneapolis e ha permesso di riflettere sul momento storico attraversato dalle comunità afroamericane d’America.

La storia di George Floyd è la storia delle persone nere, ha commentato il reverendo Al Sharpton durante il suo elogio funebre. Negli ultimi 401 anni non abbiamo mai potuto essere chi volevamo o sognavamo di essere, perché voi non facevate che tenerci il ginocchio sul collo.

[…] Quel che è successo a Floyd accade ogni giorno in questo paese, nei settori dell’istruzione, dei servizi sanitari, e in qualsiasi ambito della vita in America. È arrivato il momento di risollevarci in nome di George e dire “Toglieteci il ginocchio dal collo”. […] Dobbiamo tornare a Washington e farci sentire – neri, bianchi, latinos, arabi – e dire “Adesso basta”.

Che il momento sia diverso da qualsiasi altra fase di protesta gli Stati Uniti abbiano conosciuto è parso evidente nella coordinazione delle manifestazioni nazionali. Oltre al memorial di Minneapolis, infatti, si sono svolte decine di marce di protesta e commemorazioni, alle quali hanno partecipato autorità locali e senatori, governatori e celebrità, tra cui il comico Kevin Hart, il rapper Ludacris, gli attori John Boyega e Tiffany Haddish.

Alla potenza delle parole del reverendo Sharpton e degli slogan intonati dai manifestanti – Non riusciamo a respirare; Senza giustizia non c’è pace. Incriminate la polizia! – si è sommata la forza evocativa di un murale concepito alcuni giorni fa dagli street artist Cadex Herrera, Greta McLain e Xena Goldman, e riprodotto in digitale all’interno del santuario in cui si è svolto il memorial.

In pochi giorni il murale ha smesso di essere una semplice opera d’arte di strada per diventare un punto di raccoglimento per amici e familiari di George Floyd, un luogo simbolo delle proteste e un omaggio a tutte le vittime della brutalità della polizia, compresi Eric Garner, Philando Castile e Sandra Bland.

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Ma mentre una buona parte dell’America si è fermata per piangere George Floyd, le strade delle principali città degli Stati Uniti hanno continuato a riempirsi di manifestanti. Con il proliferare delle iniziative di protesta contro il razzismo sistemico sono cresciuti anche gli scontri con la polizia, protagonista di nuovi casi di violenze e abusi.

Nelle ultime ore l’hashtag #Bluefall ha coagulato su Twitter un’enormità di commenti e testimonianze video della brutalità della polizia nei confronti dei manifestanti. Che fossero bianchi o neri, giovani o anziani, molti cittadini sono stati attaccati a mani nude, con manganelli, proiettili di gomma, spray al peperoncino e lacrimogeni. E indigna che solo ieri alcuni di quegli stessi agenti si fossero inginocchiati per mostrare vicinanza e solidarietà ai propri concittadini di colore.

Le immagini e i video pubblicati sui social incoraggiano a proseguire le proteste, ma smontano i facili entusiasmi e dimostrano quanto ancora resti da fare per risolvere il problema degli abusi di potere e della violenza ingiustificata da parte delle forze di polizia.