Tornare, da oggi in streaming l’ultimo film di Cristina Comencini (recensione)

Direttamente on demand il melodramma con Giovanna Mezzogiorno. La storia di una donna che torna a Napoli per ritrovare sé stessa. Una vicenda legnosa e prevedibile. Che assomiglia troppo a “La Bestia Nel Cuore”

Tornare

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L’uscita in sala di Tornare era prevista per il 12 marzo. Poi ovviamente, nel regime di emergenza Coronavirus, è finito nel pacchetto di film che la Vision Distribution ha deciso di lanciare direttamente in streaming, dopo la commedia di Giampaolo Morelli, 7 Ore Per farti Innamorare e D.N.A. di Lillo e Greg. Così da oggi, lunedì 4 maggio, il nuovo film di Cristina Comencini è disponibile on demand su Sky Prima Fila Première, TimVision, Chili, Google Play, Infinity e Rakuten Tv.

Tornare, prodotto da Lumière & Co. con Rai Cinema, fa parte del versante serio della produzione della Comencini. Agli inizi degli anni Novanta la quarantenne Alice (Giovanna Mezzogiorno), che vive negli Stati Uniti, rientra a Napoli per il funerale del padre. I luoghi della casa, rivisti dopo tanti anni, riattivano memorie che hanno la forza allucinatoria del presente. Alice, nelle stanze del grande appartamento di famiglia affacciato sul mare interagisce con una adolescente (Beattrice Grannò) che potrebbe essere la versione giovane di lei. L’accompagna in questa reimmersione nella sua storia personale un uomo, Marc (Vincenzo Amato), che ha assistito il padre durante la malattia e che sembra conoscere molti segreti su di lei.

È passato tanto tempo, eppure sembra tutto così presente, vicino”, dice programmaticamente Alice. E molto accade programmaticamente in un film che, già all’inizio, mostra un ragazzino giocare con le tre bambole di una matrioska. E allora uno spettatore un minimo smaliziato intende l’antifona e capisce che questa sarà la storia di una donna divisa per tre, secondo le età della sua vita, e che queste tre versioni di lei si conosceranno, e riconosceranno, cercando insieme di dare un senso e un volto a un passato enigmatico che nasconde, inevitabilmente, una ferita.

La sceneggiatura, scritta dalla Comencini insieme a Giulia Calenda e Ilaria Macchia, rimanda scopertamente, troppo, a uno dei film più fortunati della regista, La Bestia Nel Cuore. Anche qui c’è una donna angosciata – appena giunta, qualunque dettaglio della villa, persino un corrimano, le provoca un sussulto – che, per dare un senso alla persona che è adesso, deve immergersi nelle memorie rimosse di una famiglia altoborghese apparentemente perfetta.

Il padre era un ammiraglio inglese della marina che aveva scelto Napoli, sposando una donna bellissima eppure emotivamente distante. Come è lui, che quando torna a casa saluta prima il cane e poi, freddamente, la piccola Alice. Che cresce ribelle e diventa un’adolescente vogliosa di scoperta e di libertà. Tutto questo non lo vediamo in flashback, ma in un mescolamento di passato e presente, con Alice che si fa spettatrice della sua propria storia. La quale si svolge su piani temporali diversi e in luoghi, i corridoi che attraversano le stanze, le buie grotte sotterranee sul mare, che vorrebbero alludere ai vari strati di un’identità frammentata.

Tornare non trova mai la temperatura bruciante del melodramma che vorrebbe essere, anche per interpreti che non aderiscono sufficientemente ai personaggi. Così il racconto scorre convenzionale, prevedibile come il trauma che ha segnato la vita della protagonista. Il film un po’ occhieggia all’irraggiungibile Almodóvar, da cui prende il titolo (versione italiana di Volver) e la rappresentazione unilaterale dell’universo maschile (non c’è un uomo che si salvi). E un po’, trattandosi di una vicenda d’ambiente partenopeo e d’una storia di fantasmi, all’Ozpetek di Napoli Velata.

Rispetto al quale c’è uno slittamento dalla città sovraccarica e carnale verso una Napoli silenziosa e borghese. E se l’ambientazione tra Posillipo, Nisida e il Parco archeologico di Pausilypon serve a Tornare per mostrare eleganti inquadrature d’un paesaggio meridiano assolato e perfetto, almeno il ritratto ha qualcosa di non scontato, quasi metafisico, che scarta dall’oleografia. Una bellezza però che inganna – e questo è forse l’unico dettaglio esatto dal film, da rammentare a (noi) napoletani, gelosissimi di tanto infruttuoso splendore –, perché comunque diventa il teatro di violenze di fronte alle quali resta un fondale muto, che non redime.