Nella Task Force contro il Coronavirus nessun artista, eppure dovremmo affidarci di più alle loro visioni, da Ammaniti alle Pussy Riot

Un tempo filosofi e scrittori erano tenuti decisamente più in conto, al punto da ritrovarsi spesso a suggerire mosse e strategie

Photo by Rodrigo Quezada


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Abbiamo tutti, chi più chi meno, commentato la notizia del riaprire le librerie, annunciato ormai diversi giorni fa da Conte nel suo discorso urbi et orbi prima di Pasqua, e poi concretizzatosi in alcune parti della nazione, non, per dire, qui a Milano e nel resto della Lombardia.

Era evidente che si trattava di un modo per far riaprire le cartolerie, con il medesimo codice Ateco, cioè lo stesso codice con cui ci si registra le attività economiche, lo so che sto parlandone come al bar, abbiate pietà di me, sono cinquantacinque giorni che sto murato vivo in casa, cartolerie sì importanti, perché se si deve lavorare da casa e soprattutto studiare da casa, avere quaderni e penne, per dire, è fondamentale, e i medesimi prodotti non li possono vendere neanche nei supermercati, bloccati dai decreti del presidente del consiglio, né attraverso Amazon, che ormai ha tempi e precisione degni di Dean Martin la mattina di capodanno, ma nei fatti il dichiararlo, riapriranno le librerie, ha provocato uno stridore rumorosissimo, perché in molti si sono detti inorriditi all’idea che in un momento di emergenza e clausura come questo la gente potesse tornare a uscire per andare a comprare libri, cosa che in genere non fa, è a molti suonata come l’ennesima scusa per uscire per i furbetti della passeggiatina, della corsetta, della piscitina di cane, sapete tutti come la penso degli sceriffi pronti a attaccare una qualche categoria pur di trovare un colpevole per una situazione che colpevoli ne ha eccome, ma che siedono nelle sale dei bottoni, non certo sono in strada.

Comprare libri no, non sembra opportuno, a morte i libri e i librai, nello specifico a morte potrebbero finirci perché se le librerie si ammasseranno di gente loro correrebbero magari rischi, ma è altro tema.

Abbiamo tutti, chi più chi meno, commentato la notizia del riaprire le librerie, annunciato ormai diversi giorni fa da Conte nel suo discorso urbi et orbi prima di Pasqua, e poi concretizzatosi in alcune parti della nazione, non, per dire, qui a Milano e nel resto della Lombardia, ma abbiamo anche tutti letto i nomi di chi lo stesso Conte, coi suoi collaboratori, ha subito dopo Pasqua indicato come destinati a far parte della Task Force che dovrebbe traghettarci verso questa benedetta, e lontanissima, temo, Fase 2, quella che freudianamente è la fase anale, mica a caso, Task Force guidata dall’AD di Vodafone Vittorio Colao, e infarcita di manager e imprenditori, oltre che di economisti, Task Force che però dovrebbe esprimersi in materia non solo economica, ma anche sociale.

Ora, proviamo a fare impattare le due parti di questo mio come sempre massimalista discorso.

Libri, quindi scrittori, e Task Force.

Ecco, se guardo ai nomi della Task Force del governo, tutti nomi immagino degni di star lì, non mi esprimo a riguardo, non li conosco per buona parte, non ho validi motivi per dubitarne, a parte una incredibile sfiducia che covo nei confronti di Conte e di questo governo, sfiducia che però voglio pure mettere momentaneamente da parte, altrimenti nello specifico scivolerei nel pregiudizio, pregiudizio cementato dalle tante brutte esperienze, sia chiaro, uno non tende a dare fiducia a chi gli ha strappato la borsa puntandogli una pistola in faccia nel momento in cui gli si ripresenta di fronte col sorriso in bocca, siamo onesti, e in quel caso non è pregiudizio ma il giudizio che viene applicato a una nuova situazione di tutt’altra specie, si chiama volontà di sopravvivenza, salvaguardia della specie, Darwin, che in questi giorni di quarantena mi sono prima trovato a studiare per conto mio nel bellissimo libro di Tom Wolfe Il regno della parola, poi a ripassare coi gemelli, nella versione più semplificata e anche non attinente al vero, stando a quanto ha scritto Tom Wolfe nel medesimo libro, Darwin a riguardo ci ha detto alcune cose, vai a capire se tutta farina del suo sacco, vedi sopra,  ecco, se guardo ai nomi della Task Force del governo, tutti nomi immagino degni di star lì, non mi esprimo a riguardo, non li conosco per buona parte, una cosa mi balza agli occhi, e non lo dico per una mera questione di categoria, per la difesa d’ufficio del mondo del quale faccio parte, sono un asociale, e sono anche un impenitente outsider, per scelta e per necessità, così mi dipingo e così mi dipingono, Jessica Rabbit lì a disegnare se stessa, lo sapete, considerato uno che scrive di musica per il mondo delle lettere e considerato un intruso, non so se uno scrittore ma sicuramente un intruso che è entrato a forza in un cerchio ristretto di amichetti, per il mondo della musica, cazzo me ne frega del corporativismo e della difesa della categoria di cui faccio parte?, non lo dico per una mera questione di categoria, ma più che altro per una pura lettura intellettuale dei fatti, se guardo ai nomi della Task Force del governo, tutti nomi immagino degni di star lì, noto una stridente assenza di scrittori.

Neanche uno.

Neanche per sbaglio.

Zero.

Niet.

Nada.

Niente.

Ora, tutti abbiamo, chi a ragione, chi per puro spirito di emulazione, citato gli scrittori che, in qualche modo, avevano raccontato quello che stiamo vivendo nei loro libri. Chi, in sostanza, aveva raccontato il tempo del Coronavirus prima del Coronavirus.

Non parlo di predizioni, l’ho già specificato in queste pagine, nessuno scrittore è un preveggente, ma parlo di visioni, di quello che cioè gli scrittori, quando in effetti sono scrittori e non meri scriventi, fanno, hanno visioni che mettono poi nelle loro pagine.

Chi ha letto L’Ombra dello Scorpione di Stephen King, chi ha letto i Promessi Sposi, tutti in Italia, si studiano male a scuola, chi ha letto L’Amore al Tempo del Colera di Gabriel Garcia Marquez, chi ha letto Cecità di Saramago, chi ha letto La Peste di Albert Camus, chi ha letto Happy Hour di Ferruccio Parazzoli, chi ha letto Anna di Niccolò Ammaniti, chi ha letto questi libri, tutti o anche solo uno, ha letto in sostanza una versione piuttosto fedele alla strana contemporaneità che ci stiamo trovando a vivere, non certo con i dettagli messi in campo da Soderbergh nel suo Contagion, ma in maniera altrettanto fedele, precisa, lucida e chirurgica per quello che riguarda le reazioni, le dinamiche sociali e personali, quelle globali.

Una visione, la loro, degli scrittori su citati, ma potrei allargare la cerchia, è ovvio, con le evidenti differenze di cifra, stile e genere, che in qualche modo ci ha fornito di strumenti coi quali affrontare questa situazione, chi non ha usato la parola untore, pescata a forza dal romanzo di Manzoni?, chi non ha pensato alle dinamiche messe in scena da Saramago nel suo Cecità?, per raccontare le nostre reazioni?, seppur con tutte le reticenze che ormai da tempo le opere intellettuali sembrano avere iscritte nel proprio codice genetico, guardate con diffidenza se non con ostilità.

E se è vero come è vero che Roosvelt ingaggiò tra gli altri Orson Welles per la sua Task Force per il New Deal, se è anche vero che ormai da anni le aziende, specie le multinazionali, guardano al mondo delle lettere e della filosofia per andare a pescare talenti e forze intellettuali da coinvolgere nella propria classe dirigente, lungi da me star qui a citare Marchionne, filosofo per formazione, un nome su tutti, non esattamente un nome a me ideologicamente vicino, per intendersi, tutt’altro, è anche vero che oggi, in piena emergenza pandemica, la totale assenza di letterati e uomini di cultura umanistica stride in uno scenario già stridente di suo.

Perché è come se di colpo chi dovrebbe guidarci, traghettarci fuori da queste sabbie mobili, avesse ulteriormente inasprita la propria diffidenza nei confronti della cultura, dell’arte, diamo alle parole il giusto peso, sancendo la veridicità plastica che con la cultura non si mangia, ricordiamo il dileggiare Dante nelle parole del Ministro dell’Economia Tremonti.

Fatto questo, lo dico da spettatore, non era certo a me che pensavo in un ipotetico coinvolgimento di uno scrittore o di un intellettuale nella Task Force diretta da Colao, ho autostima ma anche un senso pratico piuttosto sviluppato, e poi sono profondamente anarchico, l’ho già ripetuto anche troppe volte, fatto questo che mi impressiona, negativamente, come chi di fronte a un burrone non trova di meglio che rivolgersi a chi produce corde e arpioni coi quali sorreggersi e arrampicarsi piuttosto che a chi quelle corde e arpioni saprebbe usarli per sorreggersi e arrampicarli.

Non bastasse, ma questo è un tema che in parte ho già affrontato nelle scorse settimane, quando partendo dalle parole della Professoressa Capua immaginavo un futuro in mano alle donne, meno colpite statiscamente dal Covid19, che nella suddetta Task Force la presenza femminile è praticamente ridotta all’osso, e anche qui, tutta relativa a chi non si occupa di impresa e economia, evidentemente colonna portante del tutto, stando alla visione distorta che detta Task Force ha generato. Tutti uomini, o quasi tutti uomini, come nel resto della vita, del resto, si fottano le donne, fottiamole direttamente noi, a voler essere sardonici.

Ultimo aspetto, poi giuro che vado avanti nei miei ragionamenti, per quanto ragionamenti confusi di chi sta chiuso in casa da cinquantacinque giorni, non esattamente uno scherzo, resta il dilemma, costituzionale in primis, ma già i costituzionalisti immagino saranno ben indaffarati a ragionare sulla legittimità di andare avanti in barba al Parlamento, di fatto messo in standy by da Conte, a suon di decreti del presidente del consiglio dei ministri, uno via l’altro, forzatura muscolare della carta e vero e proprio attentato a quelli che sono, o a questo punto dovremmo dire erano, i nostri diritti di liberi cittadini, resta quindi il dilemma di affidare a un team di manager e esperti il diritto supremo di decidere sul nostro futuro, gente ovviamente non solo non eletta, ma anche chiamata senza passaggi parlamentari a stabilire cosa possiamo e non possiamo fare, nonché quando potremo o non potremo fare quel che facevamo in precedenza, titolari nostro malgrado di un diritto supremo sul nostro destino di cittadino e quindi di nazione.

E dire che un tempo filosofi e scrittori erano tenuti decisamente più in conto, al punto da ritrovarsi spesso a suggerire mosse e strategie, penso a un Platone, a un Machivelli e al suo Principe, ma anche a Marx e Engels per la Russia post-rivoluzione di ottobre, con tutto quello che ci sta nel mezzo, come erano e sono chiamati a pagare con la vita per le proprie parole considerate eversive, penso a Socrate, o più recentemente a un Salman Rushdie, condannato a morte dalla fatwa dell’Ayatollah Khomeini (ci metterei anche un Saviano condannato a morte dal clan dei casalesi, ma giusto per infastidire tutte le capre che ritengono Saviano stesso reo di aver dipinto Napoli per qualcosa diversa da quel che è, come se uno che entra in una stanza e dicesse “qui c’è puzza, chi ha scoreggiato” lo dovesse in qualche modo indicare come uno scoreggione), arrivando, più di recente, ai casi di Anna Politkovskaja, sulla cui morte aleggia neanche poco l’ombra di Vladimir Putin, ombra che aleggia, in questo caso assai più dichiaratamente, piuttosto si erge mefitica, pestilenziale sul tentativo, solo in parte riuscito, di azzittire le Pussy Riot, lì a spaccare pietre per tre anni in Siberia.

Le Pussy Riot, altro nodo narrativo di questo cinquantacinquesimo capitolo del mio personale diario del contagio, quindi.

Ora, lungi da me il voler azzardare che in una ipotetica Task Forse diretta dall’AD di Vodafone, Vittorio Colao, non certo un filosofo, un intellettuale di area umanistica, lui passato dalla Bocconi a Harvard, e neanche un visionario, lasciatemi continuare a guardare al mondo dell’impresa e dell’economia con lo sguardo irriverente e eversivo di chi è cresciuto nel punk e nell’hardcore, lungi da me il voler azzardare che in una ipotetica Task Force diretta dall’AD di Vodafone, Vittorio Colao, ci possa essere posto per una ipotetica versione italiana delle Pussy Riot, non esiste una versione italiana delle Pussy Riot, perché non abbiamo un despota come Vladimir Putin a guidarci, almeno non così chiaramente despota, perché in caso andrebbe detto che quella di Conte è una dittatura gentile, così usa fare nel caso di chi impone le proprie scelte in barba alla prassi democratica e alla carta costituzionale senza l’uso della forza ma semplicemente lavorando di cesello, tipo il moderno divide et impera che ci vuole tutti rintanati in casa, privati dei nostri comuni diritti di cittadini, impossibilitati a sapere cose certe riguardo al nostro futuro e anche a sapere esattamente come stanno le cose riguardo al nostro presente, Borrelli, capo della Protezione Civile che nel darci i dati non manca di sottolineare come non siano veritieri, che è un po’ come dire che si sta mentendo, di fatto mentendo anche nell’affermarlo, doppia negazione che dovrebbe in qualche modo ripristinare la verità, so che sto filosofeggiando, scusate, ho studiato per questo, Conte non è Orban, che prende i pieni poteri ma lo fa con l’approvazione di tutto il parlamento, lui se li prende senza passare dal via, e non è Putin, che rinchiude in siberia le Pussy Riot o, si dice, tra una lezione nella tv di stato di judo, o una foto mentre ammazza una tigre albina, non è un Putin che fa ammazzare gli avversari con metodi, appunto, da KGB, ente da lui un tempo presieduti, qui non voglio azzardare parallelismi, sono stanco ma non così stanco, una dittatura gentile, appunto, quella di Conte, tutto il potere in mano a un uomo, un uomo che ora lo ha affidato in parte a una Task Force diretta da un manager, in assenza di umanisti, si fotta la cultura, lungi da me il voler azzardare che in una ipotetica Task Force diretta dall’AD di Vodafone, Vittorio Colao, ci possa essere posto per una ipotetica versione italiana delle Pussy Riot, non esiste una versione italiana delle Pussy Riot, ribadisco, ma magari provare a immaginare un governo ombra, di intellettuali e artisti, intellettuali e artisti veri, intendo, visionari, appunto, mi sembrerebbe faccenda non solo suggestiva, ma assolutamente sensata, su cui riflettere e magari dalla quale partire davvero per ipotizzare una ripartenza, almeno culturale.

Sarà in fondo mica un caso se le Pussy Riot, continuo a parlare dell’ensemble punk femminista russo, i volti coperti dai caratteristici passamontagna colorati, gli stessi degli abiti al tempo stesso femminili ma rock, attivo, l’ensemble, attive loro, sul fronte della protesta per l’assenza di democrazia in Russia, note le performance situazioniste fatte nei primi anni dieci per i brogli elettorali dello stesso Putin o le proteste per la mancata emancipazione femminile, performance che hanno portato all’arresto e quindi alla condanna di tre delle presunte appartenenti alle Pussy Riot, Marija Alechina, Nadezda Tolokonnikova e Ekaterina Salucevic, quest’ultima poi scarcerata per un cavillo, arrestata prima che il crimine avesse luogo, ree, le Pussy Riot, di aver inscenato una occupazione non violenta della Cattedrale Ortodossa di Cristo Salvatore, a Mosca, dentro la quale si erano esibite eseguendo una preghiera punk alla Madonna nella quale si chiedeva esplicitamente la cacciata di Putin, preghiera punk di circa un minuto, alla Bad Religion, fatto ritenuto dai giudici una offesa premeditata ai danni della confessione ortodossa, lasciando quindi Putin letteralmente fuori dal processo, sarà mica un caso se le Pussy Riot sono state e in parte sono la principale fonte di opposizione a Putin nato in seno all’attuale Russia? Più di quanto non siano riusciti a fari oppositori politici, per dire. Perché il semplice messaggio delle Pussy Riot, con il loro usare il simbolismo punk, la provocazione situazionista, l’eversione tipica di chi usa la sessualità per scandalizzare, una delle loro performance prevedeva una sorta di orgia pubblica, gente che scopava una a fianco all’altra, in quella che poteva sembrare una chiesa sconsacrata, il loro indossare passamontagna che fanno pensare ai rapinatori dell’iconografia cinematografica americana, ma con colori vivi e solari dei cartoon, le chitarre e il basso al posto dei mitra, stesso tipo di impatto mediatico e volutamente rivoluzionario poi preso di sana pianta dagli sceneggiatori de La Casa di Carta, sì, ho capitolato anche io a questa serie, diciamolo, rispetto a Ozark, da poco finita, una sorta di versione infantile del medesimo attacco al capitalismo, come la Pimpa chiamata a parlare di fronte al Bieldeberg, maschere e colori scargianti, musica a fare da collante, messaggi semplici, rivoluzionari, capaci di toccare la pancia della gente, passando però dalla testa, testa alla quale ovviamente si torna, sempre.

Ecco, io vorrei, oggi, non tanto che Conte, parlo per paradossi, chiamasse a entrare nella Task Force diretta dall’AD di Vodafone, Vittorio Colao, un Niccolò Ammaniti o un Giovanni Lindo Ferretti, per quanto lo vorrei eccome, specie il primo, che mi sembra abbia a lungo indagato su scenari piuttosto simili a quello che stiamo vivendo, quanto vorrei che Conte venisse inchiodato al muro, uso una metafora, provate a non prendere alla lettera parole che non sono pensate per essere prese alla lettera, e che cazzo, dalle parole e dalle note, note dure, veloci, distorte, a la Bad Religion, di una nostra versione italiana delle Pussy Riot.

Niente di visibile all’orizzonte, sicuramente sul fronte femminile, lo dice, credo di poterlo affermare senza paura di smentita, il massimo esperto nazionale di musica al femminile in Italia, ma magari qualcosa che si sta cominciando a muovere dentro qualche cantina, o piuttosto in qualche cameretta, visto che gli assembramenti sono non solo ancora presenti, ma ipoteticamente entrati a far parte definitivamente del nostro aggiornato codice di comportamento sociale. Sì, ambisco a che esca una canzone, un album, che vada in scena una qualche performance, anche una performance virtuale, fatta da casa o solo visuale, in rete, che sottolinei quanto chiunque usi l’intelletto in questo periodo non può non aver notato.

Una contrapposizione punk, hardcore, eversiva, alla dittatura gentile, che come ci dovrebbe ormai essere chiaro, di gentile ha solo le apparenze, la piega dei capelli, la barba ben fatta, Giovanni, un linguaggio forbito da avvocato di Foggia, l’aria da imbonitore di chi vende materassi nelle televendite della fascia pomeridiana della televisione commerciale.

Siccome, però, sono uno scrittore, e mi abbandono come ogni scrittore alle mie visioni, ma sono anche un critico musicale, e i critici musicali analizzano la musica, non si lasciano sempre andare a suggestioni e pensieri non facilmente decodificabili nell’immediato, se mai ci fosse qualcuna o qualcuno disposto a incarnare la mia visione di una versione nostrana delle Pussy Riot pronte a reclamare un ritorno alla democrazia, sto viaggiando per paradossi, suggerirei, gentilmente, io gentilmente davvero, non impongo nulla perché nulla voglio imporre e perché nulla posso imporre, suggerirei gentilmente che la musica fosse un po’ meno dozzinale di quella delle Pussy Riot, performativamente e teoricamente gigantesche, un po’ meno quando si va a analizzare il loro scarno repertorio, perché è vero che il punk è prevalentemente istinto selvaggio, ma è anche vero che il punk oggi deve per forza anche essere altro, sul pianeta Terra da qualcosa come quasi cinquant’anni.

Penso piuttosto a quanto hanno fatto in America, prima con i Bush e poi con Trump, i Rage Against the Machine e la loro versione aggiornata che rispondeva al nome di Prophets of the Rage, con i tre quarti senza Zack de La Rocha dei Rage Against the Machine, vedi Tom Morello, Tim Commerford e Brad Wilk, accompagnati da Chuck D e Dj Lord dei Public Enemy e B-Real dei Cypress Hill.

Musica meticcia, tra hardcore e new metal, passando per rap, funk e il cosiddetto crossover, forse avrei dovuto dire direttamente crossover, ma siamo lontani dagli anni dei Limp Bizkit, mi andava di specificare, musica meticcia capace di veicolare testi sagaci di protesta, colti e immediati al tempo stesso, veri e propri manifesti politici anti sovranisti, sferzanti come i riff di chitarra che li accompagnano.

I Prophets of Rage, dicevo, una band, quest’ultima, nata proprio durante la campagna elettorale di Trump, i concerti tenuti su un camion in giro per le città che il magnate ora presidente degli USA toccava, in giro la nazione, durante la campagna elettorale, e che poi hanno dato vita a veri e propri tour e a una vera e propria discografia nel momento in cui quella campagna si è conclusa e Donald Trump quelle elezioni le ha vinte, diventando in qualche maniera il capo del mondo.

È noto come Tom Morello, grande chitarrista, uno dei migliori della mia generazione, senza ombra di dubbio, abbia zittito un fan di Trump che lo redarguiva sui social con un commento piccato, “Ecco che un altro musicista di successo diventa istantaneamente un esperto di politica”, lui lì a rispondere dicendo: “Non serve essere laureato con lode in Scienze Politiche all’Università di Harvard per rendersi conto della natura disumana e senza etica di questa amministrazione, ma il caso vuole che io sia laureato con lode in Scienze Politiche all’Università di Harvard, quindi posso confermartelo”, per dire la natura intellettuale di un progetto come Prophets of Rage, quello che ambirei trovare anche nella nostra terra.

Una band, i Prophets of Rage, che, terminato questo iter dichiaratamente politico, ancor più che musicale, si è infine sciolta e dalle cui ceneri è tornata a ardere l’originaria formazione dei Rage Against the Machine, con Zack de La Rocha tornato alla musica dopo anni e anni, Morello aveva già dato vita con gli altri e il compianto Chris Cornell agli Audioslave, oltre che aver collaborato con Sprignsteen e aver dato vita a tanti altri progetti paralleli, Rage Against the Machine per altro attesi non poco ferventemente dal sottoscritto anche in Italia proprio nella prossima estate, quella che presumibilmente verrà ricordata come l’estate senza musica, se non, ma mi auguro proprio di no, visione sbagliata come il Negroni, come la prima estate senza musica, anno zero di una nuova epoca di segregazione e di divide et impera 2.0.

Sono uno scrittore, inseguo le mie visioni, a volte mi lascio andare anche a sogni a occhi aperti, come oggi. Voi datemi le Pussy Riot italiane o i Rage Against the Machine italiani, vi prego, ho bisogno di qualcosa cui aggrapparmi.