A Proposito Di Niente, la versione di Woody, un memoir per ristabilire la verità

Da ieri è disponibile in e-book l’autobiografia di Allen. L’attore e regista ripercorre la sua carriera. Ma il cuore del libro è lo scandalo sulle presunte molestie alla figlia. Allen ribadisce l’assurdità delle accuse e contrattacca. Edizione cartacea in uscita il 9 aprile

A Proposito Di Niente

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Il rimpianto che viene leggendo A Proposito Di Niente è che il memoir in cui Woody Allen ripercorre la sua carriera è stato pensato e scritto a partire dallo scandalo legato alle presunte molestie alla figlia adottiva Dylan. E in questa chiave lo leggerà il pubblico. Così finiranno in secondo piano i racconti e gli aneddoti relativi a una carriera straordinaria, cominciata a metà degli anni Cinquanta, in cui il suo protagonista, scrittore, stand-up comedian, poi attore e regista cinematografico, ha incrociato tanti personaggi della prestigiosa storia dello spettacolo americano, cui vanno aggiunte le pagine che lo riguardano, e che lui considera quasi superflue, con una modestia in parte autentica, in parte recitata.

È inevitabile che ciò accada, basta pensare alle traversie vissute dal libro. Hachette aveva deciso di pubblicarlo, ritirandosi poi per le proteste dei suoi stessi dipendenti. Alla fine un altro editore in patria s’è fatto avanti (Arcade, del gruppo Skyhorse), mentre nel frattempo in Italia il volume, pubblicato da La Nave di Teseo e tradotto da Alberto Pezzotta, è da ieri disponibile in e-book, nell’attesa della versione cartacea che uscirà il 9 aprile.

Woody Allen in A Proposito Di Niente parte dai suoi genitori, con un tono caustico e scoppiettante che ricorda la voce narrante di Radio Days. Il padre “che sfoggiava camicie sgargianti e capelli imbrillantinati pettinati all’indietro alla George Raft”, giocatore di biliardo, bookmaker e allibratore per piccoli malavitosi. La madre che “assomigliava a Groucho Marx”, con “cinque sorelle, una più brutta dell’altra, e lei verosimilmente le batteva tutte”. Da cui la riflessione che “la teoria freudiana secondo cui noi uomini desideriamo inconsciamente uccidere nostro padre e sposare nostra madre casca miseramente nel caso della mia genitrice”.

Il talento, emerge subito: “Sono un pessimo studente, lo ammetto, ma una cosa ho sempre saputo fare: scrivere. Sapevo scrivere prima di leggere”. E sebbene insista sul fatto di non essere un intellettuale e che questa è “l’autobiografia di un ignorante, di un solitario incolto”, sarà con la scrittura che comincerà nemmeno a vent’anni a guadagnarsi da vivere. La scrittura resta l’unica sua certezza, insieme alla consapevolezza, anche questa affiorata precocemente, di essere un misantropo, gettato in “un mondo in cui non mi sarei mai sentito a mio agio, che non avrei mai capito, che non avrei mai accettato o perdonato”.

Allen perciò s’immedesima con la Blanche DuBois di Un Tram Che Si Chiama Desiderio – “l’opera d’arte della mia vita” – che lo porta a dire “Non voglio la realtà, voglio la magia” e perciò subito ad appassionarsi al cinema, “sedotto da uno stile di vita alimentato dalla Metro-Goldwyn-Mayer”. In cui, se c’è una spinta a farsi una cultura, è solo “per poter uscire con le ragazze”.

Il libro procede fino a un certo punto lungo questo tono in bilico tra comicità e umor tetro, quello più proprio di Allen e della sua anedonia – l’incapacità di provare piacere, doveva essere il titolo di Io E Annie. Si gustano i ritratti di Jack Rollins, suo produttore di fiducia vissuto fino a 100 anni, grandi stand-up comedian come Mort Sahl – “Su di lui potrei andare avanti all’infinito, e questo libro diventerebbe più lungo di Guerra e pace” –, Danny Simon, fratello del commediografo Neil che gli diede l’insegnamento più importante, pensare con la propria testa e fidarsi del proprio giudizio, quello che Allen stesso consiglia ai giovani scrittori.

Il cuore di A proposito Di Niente, però è la versione di Woody sul caso innescato quasi trent’anni, il 4 agosto 1992 quando, secondo l’accusa della sua compagna di allora, Mia Farrow, Allen avrebbe molestato sessualmente la figlia adottiva Dylan, di sette anni. “Spero che non sia questo il motivo per cui avete comprato il libro”, dice l’autore, che prova a cercare un risvolto ironico: “La cosa ha portato acqua al mulino dello scrittore. Per uno il cui momento più eccitante della giornata è la passeggiata nell’Upper East Side, uno scandalo da tabloid è una botta di adrenalina”.

Ogni dettaglio, anche quelli relativi ai suoi matrimoni e alle storie importanti precedenti, con la prima e la seconda moglie Harlene Rosen e Louise Lasser, e poi Diane Keaton, Stacey Nelkin – scoppiato lo scandalo, tutte si sono espresse a suo favore – servono come elemento di difesa, anzi di contrattacco. Allen è costretto a ricordare cose note, sulle quali ci siamo già espressi. Ossia che, nonostante quel che crede parte dell’opinione pubblica, non c’è mai stato alcun processo, ed esistono due indagini ufficiali, dello Yale New Haven Hospital e dello Stato di New York, che scagionano il regista da qualunque accusa.

Mia Farrow e Woody Allen ai tempi della loro relazione

Sulle molestie Woody Allen ribadisce che “siamo davanti a una totale invenzione dall’inizio alla fine”. Non ce l’ha con sua figlia: “Non dovete pensare che stia accusando Dylan di mentire deliberatamente quando parla di abusi […] sono convinto che Dylan crede che sia vero ciò che le è stato ficcato in testa per anni e anni”. Ce l’ha con la ex compagna Mia Farrow, di cui ricostruisce la complessa storia familiare: “Nella famiglia di Mia, i comportamenti fuori dalla norma erano all’ordine del giorno […]. Alcolismo, tossicodipendenza, problemi con la legge: tra i suoi tre fratelli e le sue tre sorelle ci fu chi si suicidò, finì in manicomio o andò in prigione per avere molestato dei bambini. Ogni membro della famiglia Farrow sembrava uscito da una tragedia greca o almeno da Giorni perduti”.

Ce l’ha con suo figlio Ronan, bambino all’epoca dei presunti fatti, ma poi divenuto in questi ultimi anni il suo accusatore più deciso, nonché l’influente giornalista che ha scoperchiato il caso Weinstein: “Nostro figlio, istruito a disprezzarmi”; “A lui, certo, sta bene che le donne dicano la verità, basta che sia la verità approvata dalla mamma”. Ce l’ha con gli attori che prima hanno lavorato con lui e poi si sono pentiti: “Non lavorare con me era diventato il trend del momento”. E ce l’ha col Me Too, con attori e attrici che si sono messi a “fare a gara a chi fosse il più integerrimo. Per Dio, erano contro la pedofilia e non avevano paura di dirlo ad alta voce, soprattutto alla luce della nuova scoperta scientifica per cui la donna ha sempre ragione”.

In A Proposito Di Niente, Woody Allen poi affronta l’altro aspetto spinoso, la storia d’amore con la figlia adottiva di Mia Farrow, Soon-yi, che poi è divenuta sua moglie e madre dei loro due bambini adottivi, con cui è insieme da oltre vent’anni. Il libro è dedicato a lei, e per lei sono le parole più tenere: “Malgrado la mole di attacchi che ho subìto per stare con lei, ne è valsa la pena. A volte, quando la situazione si è fatta pesante, mi hanno chiesto: se avessi saputo quello che sarebbe successo, avrei iniziato ugualmente una relazione con lei? […] Avrei rifatto tutto, senza un attimo di esitazione […] da venticinque anni non abbiamo smesso di adorarci un solo secondo”.

Soon-yi e Woody Allen

Certo, “essere un paria presenta alcuni lati positivi. Per esempio, non ti chiedono in continuazione di partecipare a talk show, scrivere frasi di elogio per un libro, salvare le balene, pronunciare discorsi di inizio anno”. E alla fine, dice Allen, è il suo pessimismo esistenziale a salvarlo: “Se l’universo è un caos maligno e insensato, che importanza può avere una piccola, falsa accusa nell’ordine delle cose? In secondo luogo, essere un misantropo ha i suoi vantaggi – la gente non può mai deluderti”. Nella consapevolezza che, di fronte alla vanità del tutto, “qualunque cosa succederà ai miei lavori quando non ci sarò più, è assolutamente irrilevante”. Cosa che vale anche per quello che la gente potrebbe un giorno pensare di lui. “E adesso non so più dove volessi andare a parare, se non ribadire che la vita è troppo beffarda per sperare di capirci qualcosa”.