Gli 87 anni di Nina Simone e l’incantesimo di I Put A Spell On You

Dai ruggiti dell'originale di Jay Hawkins all'orchestra noir del 1965, un brano di rara bellezza


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Il 21 febbraio 2020 ricorrono gli 87 anni di Nina Simone, al secolo Eunice Kathleen Waymon, che quando era ancora ragazzina sognava il jazz e si esibiva nei club ispirandosi a Billie Holiday.

Nata nella Carolina del Nord quando ancora la comunità nera viveva nell’incubo del razzismo, studiò pianoforte a New York e cambiò il suo nome in Nina Simone, un suo personale tributo all’attrice Simone Signoret.

La sua voce è entrata nell’immaginario mondiale per quel timbro viscerale, tipicamente black ma soprattutto per l’interpretazione di brani come I Loves You, Porgy di George Gershwin e Feeling Good di Anthony Newley e Leslie Bricusse.

No, non è tutto qui. Nina Simone è stata la voce più autorevole di quella I Put A Spell On You originariamente incisa da Screamin’ Jay Hawkins e nel corso della storia interpretata da tantissimi artisti, da Annie Lennox al Reverendo Marilyn Manson.

Con la sua interpretazione di I Put A Spell On You Nina Simone stravolse l’intento originario del brano di Hawkins, che la incise circa 10 anni prima. Era il 1955, infatti, quando Hawkins volle lanciare sul mercato un brano che si presentava come un lamento, un grido disperato di chi aveva perso la propria amata. Negli intenti iniziali si parlava di una ballata blues dal romanticismo spiccato ma dal tono sofferto, e proprio questo non piacque al produttore Arnold Maxin.

Maxin intuì il potenziale della metafora dell’incantesimo citato nel titolo, dunque si presentò negli studi con junk food e alcolici. Tutti – da Hawkins agli strumentisti, compreso il produttore – uscirono ubriachi e sfiniti da quella sessione e il risultato fu una versione di I Put A Spell On You delirante e demoniaca, pubblicata nel 1956 con la Okeh Records.

Ruggiti e sinistri sospiri adornavano l’intero brano tanto da ricevere una censura da molte stazioni radio che consideravano “cannibale” e “disturbante” quella che in origine doveva essere una canzone d’amore. Non a caso Hawkins, quando eseguiva I Put A Spell On You dal vivo, arrivava in scena con grosse zanne e un set che ricostruiva gli ambienti dei rituali voodoo.

Nel 1965 fu il turno di Nina Simone che registrò la versione più popolare del brano. Scomparvero le strida e i ruggiti: archi e fiati, oltre a una cascata di brillanti come pianoforte, trasformarono I Put A Spell On You in una canzone d’amore noir e intensa.

“I put a spell on you… “ cantava Nina, e già dalle prime due frasi seppe trasformare una carezza in uno schiaffo in pieno volto. La prima frase si insinuava su note più basse, dopo la memorabile intro in cui danzava l’orchestra puntellata su percussioni suonate con le spazzole.

“‘Cause you’re mine!” era la seconda frase, uno schianto crivellato un’ottava in su come un grido, un imperativo, un promemoria. La bellezza di un’ossessione era il tema del brano, e Nina Simone seppe riscriverlo senza ritoccare il testo, muovendosi dunque sulle dinamiche.

Chiunque chiude gli occhi dalle prime note della sua versione, occhi che non si riaprono nemmeno su: “You better stop the things you do”, terza frase che viaggia sulle stesse note di: “‘Cause you’re mine”. Occhi che si riaprono su: “I ain’t lying”, che scende su una quinta e diventa una minaccia: “Non sto scherzando”.

I Put A Spell On You fu anche il titolo del disco uscito nel 1965, lo stesso che conteneva la cover di Feeling Good e Ne Me Quitte Pas di Jacques Brel. Il merito di Nina Simone fu quello di aver dato dignità a un brano che in origine non arrivò nemmeno a occupare una classifica.

Gli 87 anni di Nina Simone sono anche questo: un incantesimo che nemmeno la sua morte, avvenuta nel 2003 dopo una lotta contro il tumore al seno, ha saputo spezzare.