Perché Achille Lauro non è Renato Zero

Su Achille Lauro si è detto tutto e il contrario di tutto, fino al paragone impietoso con Renato Zero

achille lauro non è renato zero

INTERAZIONI: 2912

Siamo tutti conformisti travestiti da ribelli. Ah no, scusate. Questo è Marco Masini. Riavvolgo. A Festival appena terminato, sono ancora tanti gli interrogativi che sarebbe il caso di porsi sul cast costruito da Amadeus – compreso il vincitore Diodato – ma quest’oggi vorrei porre ancora l’attenzione su Achille Lauro, colui di cui si è maggiormente parlato nel corso e subito dopo la settimana dedicata all’evento musicale di Rai1.

Ecco perché Achille Lauro non è Renato Zero

Achille Lauro non è Renato Zero. Partiamo semplicemente da questo presupposto. Achille Lauro non è Renato Zero e non vuole essere Renato Zero, per molti motivi che proviamo a elencare insieme, partendo proprio dalla prima esibizione con la quale ha richiamato l’attenzione su di sé.

Il leitmotiv di tutto il teatro messo in piedi da Lauro è il titolo della sua canzone, Me Ne Frego. E, fregandosene, vorrebbe anche dare una pedata agli stereotipi, alla discriminazione di genere, al finto perbenismo e a tutto quello che – a suo interpretare – ci renderebbe poco liberi.

I personaggi di Achille Lauro a Sanremo 2020

Il primo personaggio di questa commedia dell’arte è stato San Francesco, che ha scomodato per simboleggiare la rinuncia ai beni materiali ma anche per opporsi alla discriminazione di genere, esibendo una fisicità molto lontana dai canoni ai quali la società è abituata ormai da tempo. L’esibizione è piaciuta ma ha letteralmente spaccato la critica, fino a generare beceri insulti rivolti nella direzione di Achille Lauro, da condannare in maniera assoluta.

Il percorso studiato da Achille Lauro è quindi continuato con David Bowie, che ha scelto di omaggiare nella serata delle cover, la Marchesa Casati Stampa e, infine, la regina Elisabetta I Tudor. Scelte coraggiose, le sue, che hanno aggiunto un po’ di pepe a un Sanremo datato e logorroico, organizzato su serate torrenziali che hanno messo a dura prova il limite della sopportazione del pubblico.

Lo spettacolo di Achille Lauro è quindi costruito bene negli intenti, che rimangono vaghi per quelli che non conoscono la sua storia, non vogliono conoscerla o non vogliono ricordarla. I quattro travestimenti si perdono quindi in un fiume di parole che mortificano l’arte, perché l’arte è sì ascoltare ma anche sentire. Achille Lauro diverte e intrattiene, esiste un’idea in quello che propone ma non arriva – o perlomeno – non arriva tutti.

Conquista il pubblico social, che è entusiasta delle sue performance, ma è un’audience liquida. E, a dirlo, non sono io che sono nessuno, ma quello che si legge e che in questi giorni imbratta molte bacheche. Non una foto di Achille Lauro senza didascalia, non un messaggio che fosse universale per tutti. Ed è come scoccare una freccia che non arriva al bersaglio: parte forte, compie la sua parabola – piuttosto fuori fuoco – per poi piantarsi sul terreno a un passo dalla meta.

C’è chi si lancia in elucubrazioni esegetiche per supportarne l’originalità, lui spiega tutti i personaggi ma dimentica di specificare che gli abiti di San Francesco erano griffati Gucci, mentre nel mezzo c’è chi gli dà contro, perché quel messaggio che ha voluto veicolare non l’ha capito o non lo ha voluto capire. Per superficialità, forse, ma anche per scarsa efficacia della rappresentazione.

Ed è il travestimento che chiama Renato Zero, in questi giorni evocato a sproposito anche da parte del suo pubblico, che non ha voluto accettare il paragone tra Lauro e Fiacchini poiché blando e solamente basato sull’apparenza.

Achille Lauro non è Renato Zero e, in questi giorni, avrei voluto dirlo tante di quelle volte che mi sarebbe mancato il fiato. Achille Lauro non è Renato Zero, senza meriti né colpe. Achille Lauro sa intercettare i tempi, sa cosa piace al pubblico e lo asseconda. Sa che fa gioco rompere gli schemi, ribellarsi al sistema, presentarsi in tutina glam e portare Elisabetta Tudor sul palco dell’Ariston. Sa riconoscere le tendenze, racconta una storia che piace, conquista i giovani e i meno giovani ma è un elogio del superfluo. In altre parole: sa fare bene marketing.

E allora, voi direte, ce lo dici o no perché Achille Lauro non è Renato Zero?

Oh sì, come direbbe Achille Lauro. Avete trovato coraggiosa la scelta di esibirsi in tutina al Festival di Sanremo? Bravi. Avete ragione. Provate però a pensare a chi, quella tutina, la indossava negli anni ’70 e allora sì che si rischiava di prenderle (alla meglio) o di ammirare il sole a quadretti per qualche giorno. Quello era coraggio, ma non il coraggio di essere un simbolo: era il coraggio di essere se stessi.

I travestimenti di Renato Zero hanno fatto storia, la storia di un artista che ha rotto gli schemi, che ha rivoluzionato la maniera di fare spettacolo e che ha cantato – cantato, sottolineo – la sua verità e la verità di un’epoca che l’ha accolto, che l’ha cresciuto artisticamente e che l’ha accolto senza giudizi. I fischi ci sono stati, ben più forti di quelli subìti da Achille Lauro all’Ariston, così come le nottate in commissariato di fronte al papà Domenico sempre più incredulo.

Ci sono state le tutine, le canzoni dissacranti, i boa e lo show, ma c’è stata anche la sua verità. Ed ecco che emerge quello che manca ad Achille Lauro, ma che può ricercare: dietro il trucco di Renato Zero c’era – e c’è ancora – verità. Nessun percorso è semplice, poiché neanche la verità ha una lettura univoca, ma dietro una maschera non può e non deve esserci solo spettacolo.

Verità ma anche innata capacità di portare un linguaggio universale, quella di Renato Zero, che mai ha avuto bisogno di spiegare un simbolo, né un travestimento, né un’intenzione. Achille Lauro spiega le sue maschere, Renato Zero le interpreta. Achille Lauro bacia Boss Doms sul palco di Sanremo e spiega perché, Renato Zero amoreggia con un boa di peluche e manda in tilt il pubblico.

Ben vengano le idee, lo spettacolo e anche i travestimenti di Achille Lauro, che può di certo avere un maestro al quale ispirarsi, ma mai deve mancare la sostanza. La sostanza delle canzoni, che quelle Renato Zero ce le aveva per davvero, il rapporto col pubblico e la continua e instancabile ricerca di qualcosa che – anche un minimo – ti rappresenti.

Ad Achille Lauro rimane l’ingrato compito di provare a farsi spazio in una generazione arida, chiusa, bigotta e poco avvezza all’accoglienza del nuovo. Non spiegare e fare, sperimentare, scrivere, cantare (meglio di così), ricercare e fregarsene finché si è se stessi. Ed è così che la libertà ricercata non avrà bisogno di paragoni, talvolta addirittura impietosi.

Achille Lauro non è Renato Zero? Direi proprio di sì.