Che Fine Ha Fatto Bernadette? Richard Linklater alla ricerca di Cate Blanchett

Una progettista di talento ha abbandonato l’architettura e vive come una reclusa. La vita le offre una seconda possibilità. Un film eccentrico, fragile, ma con un cuore e uno stile. Dal 12 dicembre al cinema

Che Fine Ha Fatto Bernadette?

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Forse è l’ambientazione in Antartide o l’apparente aria da feel good movie per famiglie che avrà spinto la Eagle Pictures a distribuire Che Fine Ha Fatto Bernadette? a ridosso delle feste natalizie. Trattandosi di un film di Richard Linklater – ricordiamo che il penultimo, amaro Last Flag Flying da noi non è nemmeno uscito – le cose non stanno esattamente così. Linklater è un autore che è riuscito a mantenere la sua cifra di cineasta indipendente: scultore del tempo (la trilogia Before, Boyhood), indagatore di nostalgie impalpabili (Tutti Vogliono Qualcosa), sperimentatore (i film in rotoscope Waking Life, A Scanner Darkly), narratore di personaggi eccentrici (School Of Rock, Bernie).

Eccentrica è senza dubbio la protagonista di Che Fine Ha Fatto Bernadette?, interpretata da Cate Blanchett, che conduce a Seattle, in una enorme casa in gran parte decadente ma con poche stanze curatissime, una vita da semireclusa, insieme al marito Elgie (Billy Crudup), ingegnere informatico workaholic della Microsoft e la figlia Bee (l’esordiente Emma Nelson).Mmisantropa, agorafobica, insofferente della “banalità della vita”, Bernadette riduce al minino i rapporti con gli altri esseri umani, in particolare una vicina pettegola che detesta (Kristen Wiig), si fa aiutare da una fantomatica assistente virtuale indiana cui fornisce tutti i suoi dati sensibili, ed è però per Bee una madre presente e affettuosa.

Giovane studentessa brillante, la figlia chiede e ottiene dai genitori la promessa di un viaggio premio in Antartide. Le paranoie di Bernadette raggiungono il punto di rottura e il mistero del personaggio si svela allo spettatore. Che Fine Ha Fatto Bernadette? è tratto dal romanzo omonimo di Maria Semple (anche nota sceneggiatrice tv) in cui il racconto era incentrato su documenti, lettere, email, certificati medici, documenti finanziari della protagonista, la cui storia e carattere dunque emergevano a partire da quel puzzle di materiali d’archivio.

Cate Blanchett e Richard Linklater sul set di Che Fine Ha Fatto Bernadette?

Sceneggiato dallo stesso Linklater con Holly Gent e Vincent Palmo Jr., il film semplifica la struttura ambigua e indiretta del romanzo, mantenendo la voce narrante della figlia Bee e seguendo in maniera più lineare le vicende della protagonista. Che, veniamo a sapere, era una grande promessa dell’architettura sostenibile, pioniera della filosofia del riuso dei materiali la quale, dopo due capolavori giovanili, un prestigioso premio e traumi professionali e personali, ha abbandonato Los Angeles e carriera per rinchiudersi nel ruolo di madre e moglie.

Però, la ammonisce un ex collega incontrato casualmente (Laurence Fishburne), “Persone come te devono creare, altrimenti diventano una minaccia per la società”. Così Bernadette, sul punto di collassare emotivamente, intraprende un percorso di rinascita che la condurrà fino al Polo Sud.

Che Fine Ha Fatto Bernadette? ha ottenuto in madrepatria una ricezione in gran parte negativa. Non sorprende, sul piano della costruzione narrativa il film è ondivago. Che il marito si accorga della deriva sociopatica della moglie con vent’anni di ritardo lascia perplessi, e la sottotrama con tanto di agente dell’FBI risulta inverosimile. Che poi il dare voce al sacro fuoco della vocazione artistica costituisca la soluzione a ogni disagio suona volontaristico. E non convince l’idea della protagonista spedita nelle terre vergini dell’estremo sud, col classico effetto del cittadino occidentale cresciuto nella dimensione artificiale della metropoli che, di fronte alla meraviglia del creato, ha una sorta di epifania e capisce il senso della vita.

Al netto di tutto questo, Che Fine Ha Fatto Bernadette? ha il fascino del tocco lieve di Linklater, l’adesione senza giudizio a protagonisti stravaganti, la capacità di mescolare toni diversi, la cura di scenografie trattate come personaggi – essendo l’architettura al centro del racconto era necessario che progetti e décor apparissero credibili. Emerge alla fine un ritratto femminile forse non particolarmente empatico – la Blanchett è sfuggente e scostante. Il film però si inoltra con sensibilità negli smarrimenti di Bernadette, come quei raggi cosmici di cui parla Bee che hanno permesso di individuare le camere segrete nel cuore della Piramide di Cheope. Un vuoto che era lì da ben quattromila anni, del quale ci accorgiamo solo adesso.