Cetto C’È, Senzadubbiamente: la maschera di Albanese ormai è stanca

Il comico veste per la terza volta i panni di Cetto la Qualunque. Un maschio alfa rozzo e gaglioffo, amante dell’illegalità e delle belle donne. Stavolta vuole diventare re. Un personaggio dell’Italia dell’altro ieri, che a quella di oggi non ha nulla da dire

Cetto C’È Senzadubbiamente

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Cetto C’È, Senzadubbiamente dopo il primo weekend di programmazione si assesta su un incasso di 2,5 milioni di euro. Un risultato tutto sommato soddisfacente, anche se sarà impossibile ripetere gli exploit dei due primi episodi della “saga” di Cetto la Qualunque, Qualunquemente (2011), 15,8 milioni e Tutto Tutto Niente Niente (2012), 8,5 milioni, sempre diretti, come quest’ultimo, da Giulio Manfredonia.

Non è soltanto una questione di flessione al botteghino. Si tratta, semmai, dell’involuzione inevitabile di una maschera che si è usurata col tempo o che, per meglio dire, è stata superata dai tempi. Con la sua ossessione sessuale (il “pilu”) e la sua propensione spasmodica all’illegalità, Cetto ha fotografato in una forma grottesca ed estremizzata una fase della vita politica italiana legata alla satrapia e al libertinaggio berlusconiani.

Quella stagione però è ormai lontana, l’ultimo governo guidato dal Cavaliere fu disarcionato nel 2011, cioè l’anno del primo film della trilogia di Cetto. Dopo è passata moltissima acqua sotto i ponti, dalle illusioni di governo tecnico alla Monti al giovanilismo renziano, dal movimentismo grillino al populismo aggressivo di Salvini, fino alla istantanea fusione/scissione di questi ultimi nel fallimentare governo giallo-verde.

Insomma, lo scenario politico italiano è drasticamente cambiato e una maschera fortemente tipizzata, che nasce fissa e fissata sulla fame di sesso e soldi, è la meno adatta per riuscire a darne una lettura aggiornata. Eppure, a leggere le sue interviste per il lancio del film, le ambizioni di Albanese sono proprio queste, costruire un discorso critico all’altezza, o alla bassezza a scelta, delle passioni tristi della contemporaneità.

Il comico alla fine opta per il tratto più vistoso dei nostri tempi e, insieme al cosceneggiatore Piero Guerrera, parte dall’idea di sovranismo, reinterpretando la voglia di sovranità delle destre europee come voglia di sovrano tout court. Ed ecco allora che Cetto, corso in tutta fretta, non si sa bene perché, dalla Germania in cui è emigrato – con tanto di capello fluente biondo – al capezzale della vecchia zia calabrese (Aurora Quattrocchi), scopre di essere figlio illegittimo del principe Buffo di Calabria. Per questo viene invitato dal conte Venanzio (Gianfelice Imparato) ad accettare il suo lignaggio, ponendosi alla guida di un movimento che mira alla ricostituzione del Regno borbonico delle due Sicilie. Che però Cetto vuole intitolare, perché gli è più consono, delle due Calabrie.

Uno scettro si aggira per l’Europa”, dice Cetto con uno dei suoi soliti calembour linguistici, che continuano a costituire l’architrave della comicità del personaggio (nelle sue poche varianti, soprattutto sessuali: “Petra, sei il pilu dei miei occhi”, dice alla bellissima e giovane moglie tedesca). Detto questo, però, Cetto C’È, Senzadubbiamente s’affanna in una commedia povera di scrittura, in cui soprattutto i riferimenti alla politica e al carattere degli italiani suonano posticci e generici. Come quando dichiara, investito della missione di riportare la monarchia nel Belpaese, che “Gli italiani sono un gregge che segue il cane, e io abbaio benissimo”, oppure che “ Siamo la minchiata giusta al momento giusto”.

La comparsa del figlio Melo (Davide Giordano), divenuto giovane sindaco di Marina di Sopra a colpi di comunicazione social e bike sharing, dovrebbe essere l’espediente attraverso cui il film si raccorda allo spirito dei tempi. Ma gli scampoli di comicità mostrano di essere attardati su uno scenario precedente: il discorso elettorale sull’“Italia è il paese che amo”, l’augurio di “un regno di serenità e pilu” oppure la selezione/casting delle numerose e discinte concubine – perché per questioni di opportunità è obbligato a sposare una nobile portoghese ovviamente racchia.

Le feste di Cetto La Qualunque profumano ancora di Seconda Repubblica

E qui c’è un altro elemento caratteristico del film: se il modello di satira politica guarda ancora a Berlusconi, la comicità in generale è ancora più antiquata e incardinata su stereotipi immodificabili. Gag ripetitive sulla faticosa educazione al bon ton del rozzissimo Cetto, zie moribonde che nel letto di morte però preparano la conserva di pomodoro, suoceri tedeschi che a tavola ascoltano Wagner a tutto volume. Cetto La Qualunque è stato ineluttabilmente superato dai tempi, ma Albanese non sembra volersene accorgere.